Proponiamo la riflessione svolta a Bologna presso la Parrocchia S. Maria Goretti da p. Serafino Tognetti (Comunità dei Figli di Dio) durante il ciclo di conferenze per la Decennale Eucaristica promosso dalla Parrocchia in collaborazione con la Fraternità Francescana Frate Jacopa

eucarstiajpegIl salto delle Fede
Che il pane eucaristico sia realmente il corpo di Cristo e che il vino consacrato sia realmente il suo sangue, è la cosa più difficile da credere.
Noi pensiamo che gli apostoli siano stati facilitati rispetto a noi nel credere che Gesù fosse il figlio di Dio, giacché Egli disse: “Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Gv 14,9). Ma in realtà, anche vedendo i grandi miracoli di Gesù, che Egli fosse realmente Dio non era certo semplice da credere. Ci voleva una fede grande, e finché non vi fu fede pura non vi fu accesso a questa verità: i due discepoli di Emmaus non riconobbero Gesù immediatamente, ci volle la loro fede. Allo stesso modo Maria di Magdala scambiò il Signore con l’ortolano, anche se Egli le apparve con l’aspetto che lei conosceva bene. Essa lo riconobbe solo quando Gesù la chiamò per nome: “Maria!”. Allora Maria ebbe fede e riconobbe il Signore. Riconoscere la presenza e la divinità del Cristo anche per i contemporanei che credevano in Lui esigeva il salto della fede, perché per un israelita del tempo la divinità di Jawhè era assoluta e incomunicabile.
Vedere il Signore con i propri occhi non facilita, perché la visione esterna di Dio, oggi, non è la visione definitiva del Signore. Infatti, se in questo momento apparisse qui, chi ci darebbe la sicurezza che quello che sta apparendo sia veramente il Cristo e non, che so, il diavolo?
Dopo la resurrezione, la vera visione di Gesù (a parte quella dei giorni tra la Resurrezione e l’Ascensione) è quella di san Paolo che sulla via di Damasco (At 9,3 e ss; Gal 1,12) non vide Gesù, ma una grande luce e una voce. “Chi sei?” chiese Saulo, che non vedeva niente. Da quel momento però l’esistenza di Paolo cambiò completamente. Ciò significa che la vera apparizione del Signore risorto è interiore, nel cuore. Anche noi, se siamo qui, è perché portiamo in noi una traccia più o meno profonda di questa apparizione.

La rivelazione di Dio attraverso il creato
San Francesco visse un contatto reale con Dio attraverso la rivelazione cosmica. Tutti più o meno hanno la percezione di Dio attraverso il creato, e intuiscono la bellezza della natura come una voce del Creatore. Purtroppo noi abbiamo un po’ perso la capacità di meravigliarci della bellezza della creazione e del mistero che è presente nel mondo, siamo troppo presi dal mistero del male, ma dobbiamo sapere che prima del male c’è il bene! Il bene è originario; viene prima del peccato originale.
Dobbiamo quindi tornare a gustare il mistero di bene che è in noi e che è il primo messaggio che ci viene dalla creazione, se vogliamo cogliere in pienezza il mistero di Dio. Il bambino si meraviglia perché è innocente ed è più vicino a Dio di noi. Noi dovremmo partecipare alla sua meraviglia.
Don Divo Barsotti ogni tanto si faceva portare in giardino e faceva mediazione davanti a un cipresso, la cui visone lo riempiva di stupore. L’albero gli appariva come un dito puntato verso l’alto. Chi non sa fare l’adorazione davanti al cipresso, non sa farla neanche davanti all’Altissimo – diceva.
Mi dicono che un bambino sorride circa cinquecento volte al giorno; l’adulto cinque. Mi domando: perché crescendo perdiamo per strada 490 sorrisi ogni giorno? Che cosa è successo nella nostra crescita? Quando Dostoevskij fu mandato in un lager gli sembrò di essere finito in un inferno, e descrisse quel posto con queste parole: “Era un luogo in cui nessuno più si stupiva più di nulla”. Egli identificava l’inferno nell’apatia totale in cui non esistono più segnali che ci richiamano a Dio.
Viceversa, quando san Francesco vede l’acqua, il fuoco, eccetera, canta: “Laudato sii, mi Signore, per sora acqua” e “per frate focu”. Egli dalla creatura risale immediatamente al Creatore, tanto che anche nella morte riconosce un segno della rivelazione di Dio, se la chiama “sorella”. Noi occidentali abbiamo perduto questo gusto del bello e del buono che è nella creazione, e se non lo ritroveremo faremo forse più fatica anche a credere nella presenza di Cristo nell’Eucaristia.


La rivelazione di Dio nel mondo morale
“Perché mi dici buono? Nessuno è buono, se non uno solo, Dio”, dice Gesù (Lc 18,19). In ognuno di noi c’è una forza oblativa che ci spinge al dono di noi stessi, ma c’è anche una forza centripeta che ci porta all’egoismo. La rivelazione del mondo morale fa sì che sviluppiamo soprattutto quella forza oblativa che è presente in noi in quanto creature di Dio, anche se non siamo battezzati e, tanto più, se lo siamo.
San Paolo nella Lettera ai Romani dice che il popolo pagano si salva se segue la sua coscienza che comanda di vivere la vita oblativa, di servizio, di amore. Di fatto, è anche vero che la vera gioia si ha nel vivere la vita oblativa.
Nel donarsi c’è una forza misteriosa che il Signore ha messo in tutti noi (anche negli atei) che ci dice che il bene va fatto e il male no. Il protagonista del romanzo di Dostoevskij “Delitto e castigo” sente che deve confessare l’omicidio delle due vecchie usuraie, nonostante nessuno sospetti di lui: è la voce della coscienza che glielo chiede. Io ho conosciuto un caso simile: Leonardo Marino fece parte del gruppetto che uccise il commissario di polizia Luigi Calabresi nel 1972. Non lo presero mai; si sposò e non rivelò nemmeno alla moglie il suo passato. Poi cominciò dentro di lui un grave turbinio al quale non poté resistere; non riuscì più a sopportare il peso di quel segreto. Dopo diciotto anni andò a confessarsi. Il sacerdote lo mandò a costituirsi. Fu così che dovette scontare la pena in prigione. Poi uscì, e da allora iniziò una vita cristiana. La molla allora non fu l’Eucaristia (questo fu il punto di arrivo), ma il mondo morale.
Qualche tempo dopo l’incontro con Marino, lessi di un domenicano che si spretò e trascorse anni turbato dal rimorso, poi finalmente dichiarò: “Ci ho messo molti anni a uccidere la mia coscienza, ma finalmente ci sono riuscito” Terribile! Marino e il domenicano sono le due immagini contrarie dell’obbedienza alla voce di Dio che parla nella coscienza umana.

La rivelazione di Dio attraverso Cristo
Adesso arriviamo all’atto di fede presente in noi attraverso l’Eucaristia. Non si crede in Dio come si crede negli UFO, come qualcosa di esterno cui prestare più o meno l’assenso della ragione rimanendo quelli che siamo. No, la fede in Dio postula un coinvolgimento, perché Dio è amore. E l’amore chiede, esige un ricambio.
Molti Padri della Chiesa (soprattutto Ippolito) affermano: “Dio si è fatto uomo, perché l’uomo si faccia Dio”. Gesù dice: “Prendete e mangiate, questo è il mio corpo” proprio per realizzare questo passaggio, affinché l’uomo “diventi” Dio. E lo diventa nell’accogliere la divinizzazione che ci viene dal mistero dell’Incarnazione, attraverso il dono che Egli fa di sé. Kierkegaard scriveva che Dio non vuole ammiratori, ma seguaci; Dio non vuole applausi, l’amore esige piuttosto totalità, dono.
Credere che tutto si riassuma nel sacramento dell’Eucaristia è l’atto di fede più elevato. Anche gli Apostoli non capirono subito come potessero mangiare il suo corpo e bere il suo sangue. Solo più tardi con l’aiuto dello Spirito di Dio compresero.
Ecco la rivelazione di Dio: un Dio che si fa mangiare, che vuol essere “dipendente” da te, che vuole avere bisogno di te. Sembra che Dio trovi la sua pienezza solo quando la realizza in te. Dio vuole avere bisogno di te, poiché Dio, che è pura soddisfazione in sé, ha voluto in qualche maniera che senza di te non fosse totale il suo processo diffusivo. Se Dio ti ha creato, vuol essere pieno con te. E farà di tutto per convincerti della sua divina presenza. Ovviamente sul piano ontologico Dio non è dipendente da noi, ma il suo amore è così.gesùjpeg
Non è possibile che Dio non ami, perché Dio è amore, mentre è purtroppo possibile che noi non lo amiamo. Dio è movimento continuo, perché vuole vivere in me, se l’amore esige di vivere nell’altro. Se un bambino sta male, anche la mamma sta male, e forse più di lui. Ciò significa che la mamma vive più nel bambino che in se stessa. Se questo è vero per noi uomini, tanto più è vero per Dio. Il Padre si realizza nel Figlio e il Figlio nel Padre, e così è per tutte le Persone della S.S. Trinità. Noi siamo immagine di Dio, per cui io trovo il mio vero io in te, nel dono che faccio di me stesso. Sul piano dell’amore, io non esisto in me, esisto in te.
Dio è così: Egli vive in me e vuole che io viva in Lui. Per questo ha detto: “Prendete e mangiate, questo è il mio corpo”. E lo manifesta apparendo bambino, lavando i piedi agli apostoli, morendo sulla croce. Quando facciamo la Comunione soddisfiamo non solo il nostro bisogno di infinito, ma soprattutto il “bisogno” che Dio ha di noi. Dio non è contento se gli manco io, mi ha messo al mondo per darmi Se stesso e per essere la mia gioia.
Non è semplice accedere all’Eucaristia; come detto, ci vuole un grande atto di fede. Fede che sarà più difficile se togliamo gli elementi esterni, adatti a noi uomini, che aiutano ad entrare in questo sacramento: stare in ginocchio, emanare l’incenso, mettere i fiori, le luci. Abbiamo bisogno di questi segni.
Dio è presente nell’Eucaristia per trasformarmi in sé. Dio si fa uomo perché l’uomo si faccia Dio, come detto, quindi l’atto di fede nell’Eucaristia e la consumazione di essa è un atto trasformante, perché io passo da un mondo vecchio a un mondo nuovo, anche se non me ne accorgo con i sensi esterni.
San Paolo dice che l’uomo si rinnova di giorno in giorno, perché quando mangia l’Eucaristia permette il passaggio da questo mondo al mondo di Dio, accetta di essere amato da Lui e di impostare tutta la sua vita su Dio, facendo delle scelte, da quel momento in poi, che non possono più essere in contraddizione con l’amore di Dio.
Quindi io ricevo per donarmi. Mi dono per ricevere: la mia vita è questa. Altrimenti rimarremo sempre da soli, su un terreno sterile dove tanti nemici porranno indisturbati la loro tenda.
Se Dio è risorto, è vivo. Se è vivo, è presente. Se è presente, è attivo. Se è attivo trasforma. Se trasforma, divinizza il mio povero e piccolo essere, e i miei atti umani che divengono atti divini. San Giovanni della Croce scrive: un’azione piccola fatta interamente per Dio crea tutto un regno per chi la fa: il Regno di Dio. Il Signore ha istituito la nuova alleanza per chi vuole vivere in questo Regno.
Gesù appare a suor Josefa Menendez (mistica spagnola del secolo scorso) e le dice: “Se tu sapessi il mio dolore di amare e di non essere amato!”. Anche se quando facciamo la Comunione non sentiamo di vivere un gran che, dobbiamo sapere che un piccolo atto di amore al Cristo trasforma tutto il nostro mondo interiore.
Benedetta Bianchi Porro fu colpita da una malattia progressiva per la quale perse la vista, l’udito, la sensibilità. Mantenne la sensibilità solo in una mano e con questa in qualche modo comunicava. Poco prima di morire disse alla madre: “Dio non poteva darmi una vita migliore di questa”. In questa spoliazione continua di tutte le sue facoltà, aveva trovato un ingresso progressivo nel Regno di Dio, fatto con un atto di fede nell’Eucaristia che creò in lei un mondo in cui Dio venne ad abitare. E nello sfacelo del corpo, ella trovò la sua gioia somma.

P. Serafino Tognetti