Fame cronica e malnutrizione non solo non spariscono ma aumentano, rendendo sempre più difficile il raggiungimento degli Obiettivi di assistenza alimentare per tutti entro il 2030. E il 2020 potrebbe segnare il drammatico record di 130 milioni di nuove vittime di carenze alimentari per le ripercussioni economiche del Covid-19. La Santa Sede chiede solidarietà, maggiore cooperazione internazionale, strategie a favore dei piccoli produttori e politiche di riduzione dei prezzi degli alimenti nutrienti.

Quasi 690 milioni di persone hanno sofferto la fame nel 2019, con un aumento di 10 milioni rispetto al 2018 e di 60 milioni negli ultimi cinque anni. E’ quanto denuncia l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), nel documento intitolato “State of Food Security and Nutrition in the World”. Il rapporto sullo Stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo è il più autorevole monitoraggio globale degli studi sui progressi verso l’obiettivo indicato della fine della fame e della malnutrizione nel mondo. È elaborato grazie al lavoro congiunto della Fao, del Fondo internazionale per l’agricoltura (Ifad), del Fondo per l’infanzia (Unicef), del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (Pam) e dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms). Nella prefazione, i capi delle cinque agenzie avvertono che “cinque anni dopo che i leader mondiali si sono impegnati a porre fine alla fame, all’insicurezza alimentare e a tutte le forme di malnutrizione, siamo ancora fuori strada rispetto all’obiettivo fissato entro il 2030”. Dei dati emersi e della necessità di rafforzare la cooperazione internazionale abbiamo parlato con l’Osservatore Permanente della Santa Sede, mons. Fernando Chica Arellano.
L’Asia è tristemente la patria del maggior numero di denutriti (381 milioni). L’Africa è seconda (250 milioni), seguita da America Latina e Caraibi (48 milioni). La percentuale complessiva di persone affamate è cambiata poco, ma i numeri assoluti sono in deciso aumento e questo si spiega perchè negli ultimi cinque anni la fame è cresciuta al passo con la popolazione globale. Questo, dunque, significa che si rilevano grandi disparità regionali: in termini percentuali, l‘Africa è la regione più colpita: arriva al 19,1 per cento della sua gente denutrita. Si tratta di un tasso più che doppio rispetto a quello registrato in Asia (8,3 per cento) e a quello rilevato in America Latina e Caraibi (7,4 per cento). Considerando, però, i trend riscontrati in ogni continente, gli studiosi che hanno redatto il rapporto affermano che nel 2030 sarà l’Africa ad ospitare più della metà della fame cronica del mondo.

Il prezzo della pandemia
Secondo le previsioni del rapporto, la pandemia di Covid-19 potrebbe spingere oltre 130 milioni di persone ad aggiungersi ai casi di fame cronica entro la fine dell’anno. Il maggior numero di persone alle prese con drammatiche carenze nell’alimentazione si riscontrano in Asia, ma il fenomeno si sta espandendo rapidamente in Africa. Man mano che i progressi nella lotta contro la fame dopo aver rallentato si stanno arrestando, la pandemia da Covid-19 sta moltiplicando le vulnerabilità e favorendo le inadeguatezze dei sistemi alimentari globali, intendendo le attività e i processi che incidono sulla produzione, sulla distribuzione e sul consumo di alimenti. Certamente è troppo presto per valutare il pieno impatto delle varie misure di blocco delle attività, del cosiddetto lockdown in atto con modalità diverse ma analoghe in vari contesti, il rapporto al momento fotografa 83 milioni di persone destinate a finire in condizioni di fame, ai quali potrebbero aggiungersi altri fino ad arrivare a 132 milioni di persone che potrebbero finire nel computo di quanti soffrono la fame nel 2020 a causa della recessione economica innescata dalle conseguenze dell’infezione da coronavirus.

Non è solo una questione umanitaria

Il rapporto delle Nazioni Unite avverte: garantire una dieta sana a quanti non possono permettersela non sarebbe solo un dovere della comunità internazionale nei confronti di altri esseri umani ma anche un provvedimento “utile” a risparmiare miliardi di costi per le conseguenze in termini sociali. Si stima che il contenimento della fame nel mondo potrebbe assicurare ogni anno un risparmio di 1,3 miliardi di dollari. E si legge anche che una diversa gestione delle risorse e dei meccanismi della catena alimentare potrebbe contribuire a ridurre del 75 per cento le emissioni di gas a effetto serra, che si stima abbiano un costo di 1,7 miliardi di dollari ogni anno. Prezzi elevati per l’approvvigionamento di cibi sani significa anche che miliardi di persone non possono permettersi di mangiare in modo equilibrato e nutriente. E questo provoca negli anni ricadute pesanti in termini di costi sociali. Bisogna superare la malnutrizione in tutte le sue forme: dalla denutrizione con carenze di sostanze nutrienti – come quelle contenute ad esempio nei latticini, nella frutta, verdura e cibi ricchi di proteine che sono i gruppi alimentari più costosi a livello globale – ma si parla di disfunzioni nutrizionali e danni gravi per la salute anche nel caso di un’alimentazione scorretta o povera che porta sovrappeso e obesità, a volte per eccesso di aminoacidi a basso costo o per eccesso di zuccheri, bibite adulcorate o cibi grassi nelle fasce sociali più basse di Paesi ricchi come gli Stati Uniti e l’Europa. Non si tratta solo di assicurare cibo sufficiente per sopravvivere: è fondamentale affrontare la questione di cosa le persone mangino e, soprattutto, valutare ciò che mangiano i bambini. Il rapporto evidenzia che una dieta sana costa molto di più di 1,90 dollari al giorno, cifra stabilita a livello internazionale quale soglia di povertà. E le ultime stime indicano che l’incredibile cifra di 3 miliardi di persone o più non può permettersi una dieta sana. Nell’Africa subsahariana e in Asia meridionale, questo è il caso del 57% della popolazione, ma il fenomeno non risparmia, anche se non in queste percentuali, il Nord America e il vecchio continente.

L’obesità altra faccia della fame Secondo il rapporto, nel 2019, tra un quarto e un terzo dei bambini sotto i cinque anni nel mondo – 191 milioni – denunciavano carenze della crescita. Altri 38 milioni di minori sempre sotto i cinque anni di vita, erano in sovrappeso. Nel rapporto si legge anche che “tra gli adulti, nel frattempo, l’obesità è diventata globale pandemia a sé stante”.

La parabola degli ultimi anni
Gli esperti scrivono che gli aggiornamenti dei dati critici relativi alla Cina – che ha un quinto della popolazione mondiale – e altri Paesi densamente popolati hanno portato a un taglio del numero globale di persone affamate agli attuali 690 milioni rispetto agli 822 milioni del 2019. Tuttavia – spiegano – non c’è stato alcun cambiamento nella tendenza di crescita che si è ripresentata a partire dal 2014 dopo che dal 2000 si era registrata invece una diminuzione. Le edizioni 2017 e 2018 di questo rapporto hanno mostrato che i conflitti e la variabilità climatica minano gli sforzi per porre fine alla fame, all’insicurezza alimentare e alla malnutrizione. Nel 2019, il rapporto ha mostrato che sono sopraggiunte anche le fasi di rallentamento dell’economia a frenare ulteriormente. Nel 2020, la pandemia da Covid-19, nonché alcuni casi di invasione di locuste senza precedenti nell’Africa orientale, stanno gettando un’ombra sulle prospettive economiche in termini che nessuno avrebbe potuto prevedere e la situazione potrebbe solo peggiorare se non si agisce con urgenza e non si intraprendono azioni senza precedenti.

Un invito all’azione
Il rapporto sollecita una trasformazione dei sistemi alimentari per ridurre i costi degli alimenti nutrienti e aumentare l’accessibilità economica di diete sane.
Mentre le soluzioni specifiche differiranno da Paese a Paese, e anche al loro interno, le risposte generali si trovano con interventi lungo l’intera catena di approvvigionamento alimentare, nell’ambiente e nelle politiche economiche che modellano il commercio, la spesa pubblica e gli investimenti a livello sociale. Lo studio invita i governi a rivedere le strategie in tema di alimentazione e agricoltura; a lavorare per ridurre i fattori di aumento dei costi nella produzione, stoccaggio, trasporto, distribuzione e commercializzazione di prodotti alimentari, anche riducendo le inefficienze e gli sprechi di cibo e la gestione dei rifiuti; a sostenere i produttori locali di piccole dimensioni che vogliono coltivare e vendere alimenti più nutrienti e garantire loro accesso ai mercati; a dare la priorità all’alimentazione dei bambini in quanto categoria più bisognosa; a promuovere nuovi comportamenti attraverso le agenzie educative e i media; a far rientrare la nutrizione nei sistemi di protezione sociale nazionali e nelle strategie di investimento. I capi delle cinque agenzie delle Nazioni Unite assicurano il loro impegno a sostenere i governi per uno sviluppo sostenibile per le persone e per il pianeta.

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Il Cantico
ISSN 1974-2339
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