Relazione presentata al Convegno Pastorale: “Educare alla vita buona del Vangelo…
Verso Firenze 2015” (Diocesi di Massa Carrara- Pontremoli, 21/9/2013)- 2ª parte
Camminare per comunicare
La fede vede nella misura in cui cammina’, ha scritto Papa Francesco (Lumen Fidei, 9). Che è poi il ‘vieni e vedi’ di Gv 1,46. La fede non è un’adesione intellettuale, o un sentimento interiore, ma è la capacità di metterci in movimento, in cammino, ascoltando un invito e fidandoci di una promessa di pienezza. E questo movimento di uscita da noi stessi, dalle nostre certezze e sicurezze, è anche un movimento di avvicinamento ad altri, di accorciamento delle distanze, di costruzione di prossimità1. Per sciogliere un po’ alla volta ciò che ci divide, allargare lo spazio comune, donare qualcosa di sé agli altri, trasformare la frammentazione in unità. ‘Il prossimo è colui sul quale posso posare la mano’, scrive lo psicanalista italiano Luigi Zoja. Farsi vicini, così da poter toccare l’altro, ed essere toccati: il tatto è per definizione il senso della reciprocità. E, nella fiducia di questo contatto, comunicare la vicinanza, prima ancora che un messaggio specifico.
Questo movimento verso l’altro va recuperato, per dare autenticità alla comunicazione e per rendere possibile ogni tipo di processo educativo e formativo. Ce lo sta insegnando con la sua catechesi non verbale Papa Francesco, che cammina a piedi con il ritmo (e la fatica) delle persone, si avvicina a tutti, accarezza, abbraccia, bacia. Il primo messaggio di ogni comunicazione è ‘sono con te’. Prima ancora, ce l’ha insegnato Gesù, che non ha mai avuto paura di avvicinare, accogliere, ascoltare e farsi toccare proprio da coloro che il senso comune riteneva ‘intoccabili’ e inavvicinabili. Solo questo movimento di tutto il corpo verso l’altro ci regala uno sguardo nuovo. Solo la nostra sollecitudine sincera può renderci autorevoli, degni di fiducia, credibili nel nostro dire.
Questo movimento verso l’altro ha un effetto curativo su almeno due dei disagi della modernità che abbiamo individuato.
Rispetto al soggetto frammentato, produce un effetto di riconoscimento che consente di ritrovarsi, vedendosi negli occhi dell’altro come esseri degni di attenzione, di rispetto, di amicizia, di affetto. Un riconoscimento reciproco fondamentale anche per ritessere la trama sfilacciata delle relazioni, per superare le tante barriere invisibili che costruiscono mondi di solitudine e isolamento e per arrivare fino alle ‘periferie esistenziali’.
Comminare verso l’altro, esprimere con semplicità il messaggio della vicinanza, ascoltare prima che chiedere di essere ascoltati (‘sono con te’ e ‘dimmi di te’ prima che ‘ascolta cosa devo dirti’).
Il secondo effetto riguarda la ‘nostalgia del padre’: una figura che ci manca, in questo mondo dove tutto è possibile e così niente è reale (come afferma Benasayag nel suo L’epoca delle passioni tristi), ma che non può tornare nella forma della ‘legge’. L’unica legge di cui oggi c’è davvero bisogno è la legge dell’amore. La legge del padre che ama, che sa rispettare la libertà del figlio anche quando vede che lo porta alla perdizione, come nella parabola del ‘figliol prodigo’: un padre che ha fiducia nel fatto che ciò che è stato seminato, prima o poi darà frutto; che non incatena il figlio nel ‘posto giusto’ perché sa che solo ciò che scegliamo nella libertà è veramente nostro; che comunque attende il figlio a braccia aperte, felice per il ritrovamento anziché irato per l’errore. La festa, e non la punizione, è il sigillo di questo legame ritrovato. Qualcosa che il ‘figlio giusto’ non riesce a capire. L’abbraccio tra il figlio prodigo e il padre misericordioso è l’abbraccio tra il desiderio e la legge: il riconoscimento che non è la trasgressione della legge che realizza il desiderio, come la parabola dimostra; e la legge (dell’amore) non è ciò che mortifica il desiderio, ma la forma che consente di esprimerlo.
Il messaggio del formatore è questa buona notizia. “San Gregorio Magno ha scritto che «amor ipse notitia est», l’amore stesso è una conoscenza, porta con sé una logica nuova. Si tratta di un modo relazionale di guardare il mondo, che diventa conoscenza condivisa, visione nella visione dell’altro e visione comune su tutte le cose” (Lumen Fidei 27). In questa prospettiva di enunciazione gestuale, di prossemica della fratellanza, di accoglienza reciproca la formazione non è dunque la richiesta di adesione a un modello preconfezionato di perfezione cui aspirare, ma la ricerca, insieme, di una ‘forma’ che ci aiuti ad esprimere la pienezza cui siamo chiamati; che risponda a quel desiderio inestinguibile che ciascuno porta in sé e che possiamo cercare di ingannare, riducendolo a ricerca di godimento e soddisfazione immediata, ma che non riusciremo mai a spegnere; che comunichi il messaggio dell’amore, che cambia il nostro sguardo sul mondo e sugli altri.
La formazione altro non è che un invito alla pienezza. Secondo il noto aforisma: “Se vuoi costruire una nave, non radunare uomini solo per raccogliere il legno e distribuire i compiti, ma insegna loro la nostalgia del mare ampio e infinito (A.M.Roger de Saint-Exupery).
Ma come formulare questo invito, in un mondo pieno di ‘sirene’ che tentano di sedurci e di grida che tentano di stordirci?
Mons. Domenico Pompili,
Vice Segretario CEI, Direttore UCS
1 A. Spadaro, Intervista a Papa Francesco, in CivCatt 2013 III, 468: “Dio si manifesta in una rivelazione storica, nel tempo. Il tempo inizia i processi, lo spazio li cristallizza. Dio si trova nel tempo, nei processi in corso. Non bisogna privilegiare gli spazi di potere rispetto ai tempi, anche lunghi, dei processi. Noi dobbiamo avviare processi, più che occupare spazi. Dio si manifesta nel tempo ed è presente nei processi della storia. Questa fa privilegiare le azioni che generano dinamiche nuove. E richiede, pazienza, attesa”.