Le migrazioni e i cambiamenti climatici
Entro il 2050 il pianeta dovrà fare i conti con 200 milioni di migranti forzati a causa dei cambiamenti climatici. Solamente nel 2008 sono stati 20 milioni. E nei prossimi 20 anni il numero dei rifugiati “climatici” (o “ambientali”), adesso pari al 10% del totale, supererà quello dei rifugiati per guerre o violazioni dei diritti umani. In una situazione di rischio, nel mondo, sono circa 2 miliardi di persone, che dipendono da ecosistemi fragili, nelle zone aride o semiaride o sulle coste. Sono le drammatiche cifre illustrate da Christine Campeau, di Caritas internationalis, nel workshop su “Migrazioni forzate e cambiamenti climatici” organizzato l’8 febbraio al Forum sociale mondiale in corso a Dakar.
Definire lo status di “rifugiati climatici”
“In questo momento si discute sull’inclusione o meno dei rifugiati ambientali nel protocollo Onu per i rifugiati – ha spiegato Campeau -. Alcuni hanno paura che una presenza così massiccia possa ridurre il livello generale di protezione e assistenza”. Ma la comunità internazionale, ha sottolineato, “dovrebbe farsi carico dell’assistenza e della riduzione del numero dei rifugiati, investire in tecnologie, risorse umane e assistenza finanziaria”.
Secondo Ahmadou Kante, dell’ufficio regionale dell’Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni), “il quadro giuridico attuale è insufficiente, perché i migranti ambientali non rientrano in nessuna categoria internazionale”. L’Oim sta lavorando su una definizione di questa categoria “chiara e precisa”. “Solo 30 Paesi hanno tentato di elaborare delle strategie di protezione dei migranti ambientali – ha detto –. Ci sono degli sforzi ma molto è ancora da fare”.
In Niger e Bangladesh…
Nel frattempo alcuni Paesi devono fare i conti con disagi enormi a causa dei cambiamenti climatici. In Niger l’aumento delle temperature ha allungato la stagione secca e ridotto la stagione delle piogge, con gravi ripercussioni sulla vita degli agricoltori: “Prima nei villaggi i contadini sapevano dell’arrivo delle piogge dalla direzione del vento e dagli uccelli – ha raccontato Raymond Yoro, di Caritas Niger –. Ora non più, perché i venti soffiano in tutte le direzioni. Sono sparite alcune specie floreali, foreste e alberi. C’è più deserto e meno terre coltivabili. Sono state abbandonate colture tradizionali come la manioca, perché meno redditizie”. Altrettanti problemi per gli allevatori, costretti a pascolare nelle zone agricole, a combattere con nuove malattie del bestiame e con seri conflitti sociali sull’uso dell’acqua e della terra. Questo ha provocato migrazioni dalle campagne alle città e verso Ghana, Benin, Burkina Faso, Togo. In Bangladesh, invece, si combatte con l’aumento delle temperature e numerosi cicloni e alluvioni. In 20 anni circa 30 milioni di persone hanno subito inondazioni. “Nel 2009 – ha detto Francis Atul Sarker, di Caritas Bangladesh – abbiamo seguito 700 famiglie costrette ad emigrare in altre comunità. L’arrivo degli sfollati ha portato tensioni enormi e violenza etnica”. Un grande problema è costituito “dall’impossibilità di assicurare anche il bestiame, vitale per la sopravvivenza delle famiglie”.
…in Senegal e Cambogia
In Senegal l’effetto più eclatante dei cambiamenti climatici, oltre alla siccità, è il “nuovo fenomeno delle inondazioni improvvise – ha spiegato Marcellin Ndiaye, di Caritas Senegal – e l’erosione delle coste, che ha distrutto infrastrutture ed edifici. C’è un fortissimo esodo rurale verso le città”. Ma è la Cambogia, ha detto Sok Sakhan, di Caritas Cambogia, “il Paese più colpito dai cambiamenti climatici”: il clima è impazzito e ha portato “siccità, tempeste tropicali, tifoni, nuove infezioni a causa della presenza di insetti, e migrazioni forzate verso la Thailandia e il Vietnam”. Dal 1996 al 2008, 1.800.000 persone sono state colpite dalle alluvioni, centinaia di migliaia di case e strade sono andate distrutte. Il governo è stato costretto ad istituire un Comitato nazionale per i cambiamenti climatici, di cui fa parte anche la Caritas.