La Legge ci supera
Quando si parla di giustizia il pensiero corre veloce alla Legge e alle considerazioni espresse da S. Paolo che, nella Lettera ai Romani, ci indica come fare per essere giustificati, cioè resi giusti.
Tra le varie problematiche egli solleva il tema della nostra incapacità di fare il bene che vorremmo fare e perciò pone in risalto la nostra mancanza di libertà, cioè l’incapacità di scegliere il bene facendo leva solo sulle nostre forze.
Per quanto possiamo desiderare di fare il bene secondo la Legge, la realizzazione pratica è sempre insufficiente rispetto all’ideale: vogliamo perdonare, ma non ci riusciamo e pensiamo che perdonare significhi dimenticare; vogliamo essere generosi e ci riusciamo solo in parte; vogliamo metterci al servizio del bene, ma banalizziamo la misericordia intendendola come una forma di buonismo…
Di più. Posti di fronte ad una Legge che supera le nostre forze, siamo bravissimi a modificarla adattandola al nostro senso di giustizia. In questo modo diventiamo legislatori o giudici, ci attribuiamo dei meriti e ci illudiamo di essere resi giusti in virtù delle opere della Legge interpretata da noi.

Una persona come tante altre
Può servire come esemplificazione di quanto detto sopra, donna Prassede, la celebre figura manzoniana, che era “molto inclinata a fare del bene”. A lei, come a noi, accadeva di conoscere il bene “in mezzo alle nostre passioni, per mezzo dei nostri giudizi, con le nostre idee… le accadeva di non vedere nel fatto ciò che c’era di reale, o di vederci ciò che non c’era; e molte altre cose simili, che possono accadere, e che accadono a tutti, senza eccettuare i migliori”.
Dice il Manzoni che donna Prassede “s’esibì di prender la giovine [Lucia] in casa”, ma oltre a quest’opera buona, che era un bene “chiaro e immediato… se ne proponeva un altro, forse più considerabile, secondo lei, di raddrizzare il cervello, di mettere sulla buona strada chi n’aveva un gran bisogno. Perché, fin da quando aveva sentito la prima volta parlar di Lucia, s’era subito persuasa che una giovine la quale aveva potuto promettersi a un poco di buono, a un sedizioso, a uno scampaforca insomma, qualche pecca nascosta la doveva avere… Tutto il suo studio era di secondare i voleri del cielo: ma faceva spesso uno sbaglio grosso, ch’era di prendere per cielo il suo cervello”.

“La fede è l’opposto dell’idolatria”(LF 13)
Donna Prassede s’è esibita e si è orgogliosamente spinta a compiere un’opera buona a partire da un suo pregiudizio finalizzato alla redenzione di una ragazza che, a suo parere, “qualche pecca nascosta la doveva avere”. Questo modo di fare il bene è idolatrico, perché deriva dal culto dei propri pregiudizi e quindi dal porre “se stessi al centro della realtà, nell’adorazione dell’opera delle proprie mani” (LF 13).
L’idolatria chiude nel culto delle proprie valutazioni e non fa sentire l’esigenza di rinnovarsi o di rinascere lasciandosi guidare dallo Spirito di Gesù. Non consente di percorrere quello che la “Gaudete et Exultate” indica come il cammino della santità, che consiste nell’uscire da sé per aprirsi al mistero di Dio (cfr. GE 175). L’idolatria non offre un cammino di conversione, ma mille sentieri in cui perdersi nel “labirinto” (LF 13) delle proprie idee.
Invece la fede in Cristo ci rende dimora dello Spirito e ci conduce dove noi da soli non potremmo andare. Ci dà una comprensione della realtà che da soli non potremmo avere.

L’umiltà necessaria
L’enciclica “Lumen Fidei” ricorda che “la fede è un dono gratuito di Dio che chiede l’umiltà e il coraggio di fidarsi e affidarsi, per vedere il luminoso cammino dell’incontro tra Dio e gli uomini, la storia di salvezza” (LF 14).
Secondo S. Francesco il vero servo del Signore “quando il Signore fa, per mezzo di lui, qualcosa di buono… si ritiene ancora più vile ai propri occhi e si stima minore di tutti gli uomini” (FF 161).
L’umile non pretende di comprendere ed esercitare la giustizia con le sue sole forze, poiché sa che l’uomo è “incapace di comprendere la giustizia” (Sap 9,5). Sente la necessità della mediazione di Cristo e sente che solo nella comunione con Lui riesce a dare compimento alla Legge nella carità.
Donna Prassede rappresenta coloro che hanno la presunzione di stare davanti a Dio come giusti in quanto si illudono di essere giustificati con le opere della Legge. E ritengono che sia la loro bravura a renderli giusti.
Invece abbiamo bisogno di essere giustificati dalla fede in Cristo. Solo seguendolo in un cammino di conversione possiamo portare a compimento la Legge e salvare noi e gli altri attraverso la comunione, l’amicizia, l’alleanza con Lui. È il suo spirito in noi che ci indirizza lungo il cammino verso la realizzazione in pienezza della Legge che fissa una norma altissima impossibile da seguire nell’autoreferenzialità.
Lasciamo che Cristo rinasca nei nostri cuori, “poiché l’uomo è giustificato per la fede indipendentemente dalle opere della Legge” (Rm 3,28)!

Graziella Baldo

Il Cantico
ISSN 1974-2339
Pubblicazione riservata