Due pesci giovani guizzano veloci nell’acqua del mare. Incontrano un pesce anziano che domanda loro: “Com’è l’acqua oggi?”. I giovani pesci, arrestando all’improvviso la loro corsa spensierata, si guardano negli occhi con stupore e si chiedono: “Che cos’è l’acqua?” (Da un racconto di David Foster Wallace).
Questa metafora indica il divario tra i nativi digitali che si muovono nell’ambiente mediatico con grande disinvoltura, ma non sanno nemmeno di essere immersi in tale ambiente, in questa metafora rappresentato dall’acqua. Il pesce grosso è l’adulto che si muove più goffamente, ma riconosce di essere in un ambiente e ne cerca il senso. Oggi occorre ricuperare la consapevolezza che i media non sono strumenti, da usare bene o male, ma sono un ambiente, come diceva McLuhan già negli anni ’60.
Lo strumento non ci cambia quando lo usiamo, invece l’ambiente influenza la nostra forma mentis, accentuando alcune nostre capacità, ma limitandone altre. Questo è vero soprattutto per i nuovi media perché non c’è più uno strumento per una sola funzione, ma ci sono piattaforme che supportano funzioni diverse. L’ambiente mediatico è sempre più saturo di stimoli ipermediali. Pensiamo ai luoghi affollati, come le stazioni, dove si è bersagliati da video pubblicitari. Pensiamo ai viaggi in treno che sono un’occasione per estraniarsi dal paesaggio esterno e tuffarsi in connessioni tecnologiche audio-visive che ci isolano dal contesto che ci circonda. Siamo sicuri che questo significhi comunicare? Comunicare non è prima di tutto ascoltare, fare silenzio dentro e intorno a noi?
Noi non possiamo essere immuni dall’ambiente in cui abitiamo, ma dobbiamo conoscerlo meglio per adattarci ad esso in modo creativo, valorizzando quanto vi è di positivo, nella consapevolezza dei rischi, delle debolezze, ma anche delle risorse e delle opportunità insite nella rete. Conoscere in modo critico e riflessivo ci mette al riparo dai rischi e ci permette di affrontare le novità con circospezione e vigilanza. Questo processo può realizzarsi con un’alleanza intergenerazionale in cui i giovani mettano a disposizione le loro capacità tecnologiche di nativi digitali e gli adulti la loro esperienza della vita e l’essere depositari di un sapere acquisito secondo modelli educativi fondati sulla trasmissione di valori consolidati e riconosciuti universalmente.
Nessuno è solo emittente o solo ricevente nella comunicazione, ma tutti sono entrambe le cose. I ruoli non sono più nettamente distinti, ma si alternano anche se non in maniera simmetrica, poiché lo scambio, la reciprocità che si verifica non è alla pari. Le differenze vanno rispettate e valorizzate come risorse. Riprendendo il racconto dei pesciolini di Wallace, non ci dovrebbe più essere chi si chiede: “Che cos’è l’ambiente in cui vivo?”, ma tutti dovremmo essere consapevoli di essere immersi in una realtà esterna che ci influenza e che, se noi stiamo a guardare senza riuscire a vedere, ci può trascinare là dove non vorremmo mai arrivare.
Lucia Baldo