Nel corso della Settimana di formazione nazionale è stata effettuata una uscita nei pressi di Assisi, “Il percorso dei lebbrosari”. Ecco qualche nota sull’originale iniziativa; un particolare ringraziamento va rivolto a P. Lorenzo Di Giuseppe e Giorgio Grillini per le puntuali considerazioni storico religiose svolte lungo il percorso.
Francesco si è fermato a Rivotorto perché da lì poteva servire insieme ai suoi compagni i lebbrosi. I lebbrosari erano situati tra S. Rufino in Arce (denominato S. Rufinuccio, come lo chiamavano gli assisiani), S. Maria degli Angeli e Rivotorto; quindi la prima comunità di Francesco era vicina ai lebbrosari anche quando si trasferì a S. Maria degli Angeli. La chiesetta di riferimento prima si chiamò S. Lazzaro, poi S. Maria Maddalena, il nome attuale. La cappella di S. Rufino in Arce si trova oggi dentro il convento delle Suore Missionarie Francescane di Susa. La valle di Assisi era di transito, era un luogo popolato; a quel tempo, una città come Assisi era importante e densamente popolata. C’erano una dozzina di lebbrosari nella zona.
Quando 10.000 anni fa l’uomo è passato dall’agricoltura all’allevamento, ha contratto molte malattie, tra cui la lebbra che era una malattia tipica del medioriente. Iniziò a diffondersi ai tempi di Cristo; il lebbroso era “inesistente”, non faceva parte della società. Nel periodo tra il trecento e il cinquecento, la lebbra iniziò a diffondersi nel mondo ….. occidentale. Nel 331 d.C. un alto funzionario dell’imperatore Costantino, Zoticos, decise di aprire un lebbrosario nella città di Pera. Per questo motivo il figlio dell’imperatore, nel frattempo salito al trono, lo condannò a morte perché aveva utilizzato denaro che gli era stato dato da Costantino per altri scopi. Però la popolarità dell’imperatore cadde a picco e il lebbrosario fu aperto; Zoticos divenne santo.
A quel tempo c’erano altre malattie oltre alla lebbra, la popolazione moriva a milioni nel giro di pochi anni. C’era anche “il fuoco di S. Antonio”; gli antonini furono i primi a fregiarsi del Tau, poi mutuato dai frati francescani che assistevano i lebbrosi. In Europa ci fu un’ondata di lebbra portata dai crociati di ritorno dalla Terrasanta. Si arrivò fino a punte del 50% di popolazione colpita dalla lebbra in Europa. I lebbrosi per legge erano reclusi; si celebrava una Messa che aveva il significato di un funerale. Si credeva che i lebbrosi dovessero portare il segno del peccato, ma erano anche prediletti perché si identificava la loro malattia come una preferenza da parte di Cristo. Erano maledetti e benedetti contemporaneamente, ecco perché venivano seguiti da molte strutture gestite da religiosi. C’erano organizzazioni laicali e religiose; S. Bernardo da Chiaravalle (la sua memoria è il 20 agosto, il giorno che è stato scelto per l’uscita) si occupò delle sofferenze di questi malati, come pure erano attivi nel settore il movimento delle Beghine e l’ordine di S. Lazzaro (da cui il termine “lazzaretto”). Siccome c’era un abbinamento “peccaminoso”, dopo qualche tempo si cominciò ad affiancare a S. Lazzaro anche S. Maddalena.
In Europa c’erano 19.000 lazzaretti lebbrosari; i frati, le clarisse e i penitenti si dedicarono ai lebbrosari. Quando Francesco torna dalla prigionia di Perugia, i lebbrosi sono cacciati come cani rabbiosi. All’inizio della sua conversione, Francesco comincia a dedicarsi ai lebbrosi; mentre gli altri li considerano inesistenti, Francesco li considera persone non emarginate, con tutte le conseguenze e i significati di una impostazione di questo tipo. I lebbrosi non possono essere tenuti in casa per nessun motivo; secondo lo statuto di Bologna, devono essere tenuti alla distanza di “cinquanta pertiche” da ogni centro abitato. Sempre in questo periodo (1250), i poveri fuggono nei lebbrosari per non morire di fame. Questo costringe la società a distinguere il povero dal malato, la povertà dalla cura; quindi si comincia a distinguere tra ospizi e ospedali e tra accoglienza e terapia. Nel XIV secolo la lebbra inizia a scomparire in Europa. A Parigi viene effettuata una ricognizione ai lebbrosari e vengono trovati 35 lebbrosi; si prende atto che la lebbra inizia a scomparire e i beni dei lebbrosari vengono destinati con il passare del tempo agli altri “incurabili”: i sifilitici. Quello del servizio ai lebbrosi era un aspetto importante del noviziato dei frati.
Poi c’è un altro particolare da considerare: secondo lo storico assisiano Fortini, i campi del padre di Francesco erano vicini ai lebbrosari. L’uscita in questi luoghi si è svolta nel corso della settimana di formazione nazionale perché Francesco ha incontrato qui i lebbrosi, i più poveri: “Il Signore dette a me, frate Francesco, d’incominciare a far penitenza così: quando ero nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi; e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo” (2Test, FF 110). Questo cammino di formazione è dovuto alla grazia di Dio, una cosa che con le sue forze Francesco non avrebbe mai raggiunto; arriva così a dare il bacio al lebbroso.
Riconosce il grande dono di Dio e capisce che ogni uomo deve essere considerato fratello, per dono di Dio nella sua vita. Da qui inizia il suo cammino penitenziale e aggiunge: “E di poi, stetti un poco e uscii dal mondo” (2Test, FF 110). Oggi chi sono gli “incurabili”? Le persone “diverse” ci sono ancora, i “lebbrosi” ci sono ancora. Vaste zone dell’Africa sono flagellate dall’Aids. Allora ci si può chiedere: “Ma io cosa posso fare?” Bisogna cominciare ad amare queste persone, come Francesco che ha superato la barriera con gli altri diventando capace di amare.
Renato Dal Corso