S.E Mario Toso

1. I PRESUPPOSTI ANTROPOLOGICI ED ETICI DEL BENE COMUNE
In un contesto di cultura tecnocratica, di tipo neoindividualista, libertaria ed utilitarista, tutti i cittadini e i loro rappresentanti sono chiamati a far rinascere la passione per il bene comune.1 Senza il riferimento al bene comune non è possibile né il senso compiuto della vita politica né l’asse portante della democrazia rappresentativa, partecipativa e deliberativa.
Ma il rinascimento della passione per il bene comune avviene mettendo al centro una visione integrale della persona, intesa come soggetto libero, responsabile, solidale, trascendente, una visione peraltro codificata nella Costituzione italiana.
Non basta, dunque, riferirsi ad un bene comune qualsiasi. Occorre ancorarsi ad un bene comune permeato da un personalismo comunitario. La persona non si sviluppa senza la comunità. Non può crescere sulla tomba della comunità. Pertanto, nel concepire e nell’amare il bene comune dobbiamo superare la cultura ormai prevalente del neoindividualismo libertario ed utilitarista, del transumanesimo. Questi appaiono tra i principali nemici della cultura del bene comune inteso in senso personalista e comunitario, aperto alla trascendenza.
Un altro nemico è la visione tecnocratica della vita umana secondo cui il primato nella soluzione dei molteplici problemi odierni, compreso quello ecologico, va assegnato alle nuove tecnologie, ad un umanesimo tecnocratico.
Le concezioni del bene comune e della politica dipendono, dunque, dalla antropologia su cui poggiano. Per cui, quando la visione del bene comune dipende dall’individualismo libertario ed utilitarista non si può sperare di poter disporre di un bene comune concepito in termini di solidarietà, di reciprocità, di collaborazione da parte di tutti. La cultura neoindividualista e libertaria trancia o indebolisce i legami sociali di cui ha bisogno il bene comune per concretizzarsi storicamente a favore dello sviluppo integrale delle persone e delle comunità.
Oggi, ai fini di ritrovare la passione per il bene comune, dobbiamo rimettere alla base della società civile e della politica una cultura personalista, solidarista, aperta alla trascendenza. Ossia, una cultura analoga a quella che è stata scelta quale matrice della Carta costituzionale della Repubblica italiana, ma anche delle carte costituzionali di altre Nazioni Europee, dopo la Seconda guerra mondiale.
E, tuttavia, dobbiamo registrare che una non piccola parte di tale cultura personalista e comunitaria è già stata, purtroppo, erosa. In Europa, infatti, il neoindividualismo utilitarista guida l’avanzata di quelli che ormai sono generalmente qualificati come diritti civili, quali il diritto alla liberalizzazione della droga, il diritto all’aborto, al divorzio lampo, all’eutanasia, all’utero in affitto, alla fecondazione eterologa, ai «matrimoni» gay, ma guida anche il transumanesimo e l’accrescersi della finanza oligarchica il cui credo è il profitto a breve brevissimo termine, e non certo il bene comune.
In definitiva, se si intende rinnovare la passione per il bene comune presso i cittadini e i loro rappresentanti, occorre contrastare quella cultura che esalta le libertà individualistiche e, inoltre, dispiegare un’ampia opera di formazione culturale, a vari livelli, affinché siano rafforzati i legami sociali nell’economia, nella finanza, nella società civile. Tollerare o assecondare altre pericolose lacerazioni nell’ordito solidale della Carta costituzionale significa ostacolare o indebolire la passione per il bene comune.
Questo ruota attorno ad un bene umano non solo convenuto ma radicato oggettivamente nella coscienza morale di ogni persona, nella quale si trovano i principi fondamentali ed universali, presenti in tutti i cittadini del mondo: «fa il bene ed evita il male»; «fai agli altri tutto ciò che desideri sia fatto a te». Una tale piattaforma morale costituisce la base incontrovertibile dei doveri e dei diritti, i quali rappresentano le direttrici secondo cui il bene comune va realizzato nelle società politiche.
Lo Stato laico di diritto non è fonte ultima della verità e della morale in base ad una propria dottrina o ideologia. Esso riceve la sua misura etica dall’esterno, ossia dalla società civile pluralista. È da essa che riceve l’indispensabile misura di conoscenza e di verità circa il bene dell’uomo e dei gruppi sociali. Non la riceve da una conoscenza avulsa dalla storia, in quanto non esiste una pura evidenza razionale ed etica del bene, dei doveri e dei diritti, fuori dall’esperienza umana. Ciò vuole anche dire che non esiste concezione del bene comune fuori dalla storia. Occorre, pertanto, prendere atto che la concezione odierna del bene comune va ripensata dall’interno di una società storica, in movimento.
Nella nostra società il substrato etico e culturale è notevolmente mutato, come già detto, rispetto a quello che teneva uniti i costituenti.

2. QUALE CONCEZIONE DEL BENE COMUNE?
Per parlare del bene comune torna senz’altro utile la definizione che si trova prospettata nella Costituzione pastorale della Gaudium et spes. Si tratta di una concezione laica, liberale, formale, ma non neutra dal punto di vista morale. Infatti, include il riferimento al bene globale delle persone e dei gruppi o soggetti comunitari, quali la famiglia, gli enti intermedi, le istituzioni pubbliche. Tale riferimento si trova nella definizione del bene comune stesso che, secondo la GS, «si concreta nell’insieme di quelle condizioni sociali, con le quali gli uomini, la famiglia e le associazioni possono ottenere il conseguimento più o meno spedito della propria perfezione umana» (n. 74). È bene sottolineare qui che la definizione formale del bene comune della GS non esclude la definizione «sostanziale» del bene comune, ossia la definizione secondo cui il bene comune, com’era concepito dagli autori classici, si pensi ad es. a san Tommaso d’Aquino, era da intendersi come vita retta della moltitudine. Infatti, per concretare condizioni sociali tali da realizzare il compimento umano di persone e di comunità è necessario vivere secondo virtù, ossia secondo atteggiamenti perseveranti che consentono il raggiungimento del bene comune.
Quanto detto sin qui ci offre una base concettuale e morale per parlare del bene comune in termini di concretezza storica e di riferimento all’essenza morale comunità politica. Questa esiste proprio in funzione del bene comune, che le offre piena giustificazione e significato.
Vediamo, dunque, il bene comune con riferimento ad alcune condizioni sociali indispensabili alla sua realizzazione concreta.

3. LE CONDIZIONI ODIERNE DELLA SICCITÀ PONGONO IN CRISI IL BENE COMUNE
Perché partire dalla considerazione delle condizioni della siccità per parlare del bene comune? Ciò potrebbe apparire un approccio superficiale o limitato ad un tema specifico. In realtà, la siccità è anche crisi del bene comune, perché crisi di una risorsa essenziale per la vita, fondamentale per l’agricoltura, per il cibo, per gli allevamenti, la salute, l’energia idroelettrica, per l’industria, per risolvere il problema della povertà. L’acqua potabile e pulita rappresenta una questione di primaria importanza, perché è indispensabile per la vita umana e per sostenere gli ecosistemi terrestri e acquatici.2 Le fonti di acqua dolce riforniscono i settori sanitari, agropastorali e industriali.L’acqua si mostra sempre più, specie nelle attuali condizioni climatiche, un fattore chiave per la pace e per la sicurezza mondiale.
L’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani. La crescente scarsità dell’acqua richiede cambio di mentalità, stili di vita più sobri e condivisi. I ghiacciai si ritirano in silenzio o con fragore (si pensi alla Marmolada in questi giorni) riducendo fortemente la quantità di acqua disponibile e influendo negativamente sul clima dell’intero pianeta.
La siccità mette a rischio coltivazioni e raccolti. È necessario correre presto ai ripari. Quali strategie perseguire? Basta il razionamento? A tutt’oggi rimane il problema dello spreco dell’acqua per motivi di cattiva gestione e di mancata manutenzione delle condotte. Ogni cento litri se ne perdono quarantadue. Non possiamo permetterci di avere perdite nelle reti acquedottistiche che arrivano fino al 60- 70%, con una media nazionale che si attesta attorno al 40-50%. Sono indispensabili interventi costanti di cura della rete idrica, ma anche la costruzione di invasi che raccolgano l’acqua piovana e la conservino per i momenti di carenza, come aveva più volte rimarcato il Presidente Segni originario della Sardegna.
A suo tempo sottolineava Segni, a fronte di acque pluviali che scorrevano verso il mare senza beneficare pendii e ambienti pastorali e rurali, come fosse saggio costruire invasi che la conservassero per i tempi di scarsità. Da allora di invasi ne sono stati costruiti, ma ancora se ne potrebbero costruire, a fronte dell’aumento del fenomeno della siccità.
L’acqua più che un bene comune è un bene collettivo. Come tale richiede la condivisione e la responsabilità di tutti per evitare che essa sia un bene a disposizione di pochi. Bisogna educare a vedere nell’acqua non tanto una merce – essa senza dubbio ha una valenza economica, ma non solo questa – quanto un bene di tutti, che serve a tutti, alla comunità intera. In proposito sono necessarie politiche di salvaguardia e investimenti. Questi sono da prevedere in vista dell’acqua pulita e la sanitizzazione che, a loro volta, possono essere un motore per l’accelerazione della crescita economica, lo sviluppo sostenibile, il miglioramento della salute e la riduzione della povertà.
Oggi, in cui si è accentuata la crisi ecologica, occorre che l’autorità, ma anche la società civile vigilino, affinché le falde acquifere non siano minacciate da attività estrattive, agricole ed industriali inquinanti. Siamo tutti in gioco. Papa Francesco nella Laudato sì mette in guardia affinché il controllo dell’acqua da parte di grandi imprese mondiali non si trasformi in una delle principali fonti di conflitto. Ivano Fossati, cantava profeticamente: «la guerra dell’acqua è già cominciata…».

4. L’IMPORTANTE CONDIZIONE SOCIALE DELLA PACE
Un’altra condizione sociale per realizzare il bene comune è la pace. Essa, come scrisse Giovanni XXIII nell’enciclica Pacem in terris, è costituita da un ordine sociale o da una convivenza poggiante sui pilastri della libertà, verità, giustizia, solidarietà o amore. A tali pilastri papa Benedetto XVI e papa Francesco ci hanno insegnato ad aggiungere il pilastro della fraternità. Ma attualmente noi viviamo in una «terza guerra mondiale a pezzi», in un contesto in cui la Russia ha invaso l’Ucraina, producendo distruzioni enormi, uccisioni di persone e di bambini, quasi un genocidio, milioni di profughi, forti squilibri nelle relazioni internazionali e nell’UE, col pericolo di accrescere i problemi della fame e della povertà nel mondo, del rifornimento energetico.
Tutti siamo chiamati ad essere costruttori di pace. Come?
A fronte dei gravi problemi che stanno tragicamente manifestandosi oggi – basti pensare alla guerra in Ucraina – non basta per i credenti sostenere un pacifismo di testimonianza, che da solo non sarebbe in grado di far avanzare la causa della pace. Il pacifismo di semplice testimonianza rischia di coltivare il sogno di eliminare la guerra dal mondo senza distruggere il mondo della guerra. Occorre, invece, decisamente impegnarsi sulla via di una non violenza pacifica, attiva e creatrice.
Ossia una via che non solo condanna la guerra, ma che costruisce alacremente la pace. È la via di un nuovo pacifismo, il cui slogan potrebbe essere espresso così: se vuoi la pace, prepara istituzioni di pace.3 Detto in altro modo ancora: si vis pacem, para civitatem. La guerra va sconfitta predisponendo, a livello spirituale, sociale, economico, politico ed istituzionale, tutto ciò che la previene o che la rimuove.

S.E. Mons. Mario Toso
Vescovo di Faenza-Modigliana

1 Il bene comune appare sfuggente e impalpabile. Nonostante la sua difficile individuazione, il bene comune esiste ed è estremamente importante per una società e per le persone che la compongono. Su questo tema si veda: AA.VV., Alla ricerca del bene. Prospettive teoretiche e implicazioni pedagogiche per una nuova solidarietà, a cura di G. Quinzi-U. Montisci-M. Toso, LAS, Roma 2008.
2 Su questo è ancora attuale il volume del PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE, Acqua, Un elemento essenziale per la vita. Contributi della Santa Sede ai Forum Mondiali dell’Acqua, Lev, Città del Vaticano 2013.
3 Su questo tema si legga M. TOSO, Se vuoi la pace, prepara istituzioni di pace, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2022.

La seconda parte della riflessione sarà pubblicata nel prossimo numero del Cantico.

Il Cantico
ISSN 1974-2339
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