La fede in Cristo è l’opposto dell’idolatria
L’enciclica sulla fede “Lumen Fidei” introduce il tema dell’opposizione tra fede e idolatria ricordando l’episodio in cui il popolo di Israele, non sopportando il tempo dell’attesa del ritorno di Mosè dal monte Sinai, rinuncia a ricevere la rivelazione della volontà dell’unico e vero Dio e, in sostituzione, si costruisce l’idolo del vitello d’oro.
In esso possiamo vedere simboleggiate le nostre opinioni sul modo migliore di vivere la vita. Esse diventano idoli quando non siamo disposti a metterci in discussione né ad uscire da noi stessi.
Sospinti dalla cultura relativista del nostro tempo, che enfatizza l’io, non esitiamo a farci sostenitori delle nostre opinioni sul modo di condurre la vita, alle quali attribuiamo un valore assoluto, quasi irrinunciabile divenendo dio di noi stessi.
L’uomo post-moderno fa della propria opinione su Dio un idolo e lo pone al di sopra di tutto in un atteggiamento di superbia nei confronti di Dio dal quale vive spiritualmente indipendente e lontano.
Come sostiene il papa: “L’idolo è un pretesto per porre se stessi al centro della realtà, nell’adorazione dell’opera delle proprie mani” (LF 13).
Per svuotarci della fede nei nostri idoli e adorare il vero Dio occorre avere fede in Cristo che è l’unico mediatore che ci può rivelare chi è Dio e chi siamo noi. Attraverso la sequela delle sue orme possiamo convertirci e formare con Lui “un solo spirito” (1 Cor 6,17).
Al contrario chi non si vuole convertire unendosi spiritualmente a Lui pone inevitabilmente se stesso al centro dei suoi criteri e del suo agire e vive secondo la carne (cfr. Rm 8,5)!
L’idolo offre una molteplicità di sentieri che configurano un “labirinto” (LF 13). Si fa e si disfa continuamente. Come cambia il vento così cambia il nostro agire sempre insoddisfatto. Solo chi crede in Cristo e lo segue può entrare nel suo regno in un tempo nuovo, il tempo della fede, in cui esce da se stesso, dai suoi labirinti che lo fanno girare a vuoto intorno a sé e che non sopportano il “tempo dell’attesa” (LF 13), come Israele ai piedi del Sinai.
“La fede in quanto legata alla conversione è l’opposto dell’idolatria; è separazione dagli idoli per tornare al Dio vivente mediante un incontro personale… La fede consiste nella disponibilità a lasciarsi trasformare sempre di nuovo dalla chiamata di Dio” (LF 13). La fede autentica in Dio ci consente di lasciarci introdurre nel suo pensiero, nella sua volontà, nella sua opera.

L’umiltà è uscire da sé
“Il Vangelo invita prima di tutto a rispondere al Dio che ci ama e che ci salva, riconoscendolo negli altri e uscendo da se stessi per cercare il bene di tutti.
Quest’invito non va oscurato in nessuna circostanza!
Tutte le virtù sono al servizio di questa risposta di amore” (EG 39).
Secondo S. Bonaventura la virtù che il fedele deve imparare “più specialmente” (S. Bonaventura, La vita perfetta, I mistici sec. XIII, Ed. Francescane, p. 429) dal Figlio di Dio è l’umiltà “perché Egli dice: «Imparate da me che sono mite ed umile di cuore»…
Questa umiltà [S. Francesco] amò e predilesse dall’inizio della sua vocazione sino alla fine”(S. Bonaventura, ibidem).
Però essa, come tutte le altre virtù, può essere fraintesa e perciò ha bisogno di essere salvata dal Signore dal quale proviene e procede (cfr. FF 256). Per questo S. Bonaventura esorta il fedele ad essere umile veramente e non “fallacemente” (S. Bonaventura, ibidem).
E lo si può riconoscere dal fatto che non vuole essere lodato per la sua umiltà.
Come tutte le altre virtù, l’umiltà richiede al fedele di morire a se stesso (cfr. FF 256). Per uscire da sé deve ascoltare, fidarsi di Cristo e seguirlo per essere trasformato nello spirito, anche se questo non gli risulta facile né naturale.
Tuttavia è consolante e incoraggiante sapere che è “beato quel servo che rimane sotto la verga della correzione” (FF 173). È la verga che lo valorizza conformandolo a Cristo! È la verga della correzione che lo rende fratello dei sudditi come dei signori (cfr. FF173), cioè capace di accogliere e valorizzare gli altri per quello che sono e non di rifiutare i diversi da lui.
Nello spirito del servo umile non ci può essere orgoglio per il compimento di un’opera buona, poiché è lo spirito di Dio che agisce per mezzo di lui (cfr. FF 161).
L’umiltà è il contrario della presunzione, della superbia che pone la propria volontà al di sopra della volontà di Dio. Come il peccato originale, radice degli altri peccati, è la superbia che rifiuta la propria dipendenza da Dio, così il fondamento delle virtù è l’umiltà che è l’opposto della superbia e pone l’uomo alla completa dipendenza da Dio, sottomettendolo alla volontà divina. “Difatti, se principio di ogni peccato è superbia, fondamento di ogni virtù è umiltà” (S. Bonaventura, ibidem).

Graziella Baldo

Il Cantico
ISSN 1974-2339
Pubblicazione riservata