La celebrazione della memoria del Transito di San Francesco da questo mondo al Padre quest’anno assume un significato e una ricchezza particolare. Infatti siamo in una confluenza di alcuni centenari che ricordano avvenimenti importanti della vita del Santo di Assisi: ottocento anni della composizione della Regola, ottocento anni della celebrazione del S. Natale a Greccio, ottocento anni della impressione delle Stimmate sul monte Verna.
Tutto è prezioso e anche oggi ricco di significato nella vita del padre S. Francesco, ma qui abbiamo la memoria della sua maturità. Sono gli ultimi due anni della sua vita, possiamo dire anche gli anni dei frutti meravigliosi che l’accoglienza dell’azione dello Spirito Santo ha maturato in lui.
Pensiamo alla sua maturità come termine ultimo del suo cammino di liberazione: ha spogliato se stesso fino ad arrivare alla natura originaria voluta dal Creatore, all’uomo semplicemente creato a immagine e somiglianza di Dio, come Gesù Cristo, suo unico modello.
Ricordiamo prima di tutto gli ottocento anni della Regola che lui raccolse e assemblò per i suoi fratelli, generandola con i dolori del parto, perché molti suoi fratelli non lo compresero. Francesco stesso nel suo Testamento ci dice che quando si vide circondato da tanti fratelli, non sapeva cosa proporre loro e “nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del Santo Vangelo. E io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il Papa me la confermò” (FF 116).
E così la Regola, composta di frammenti del Vangelo, prezioso mosaico indicato da Dio stesso, divenne la via sulla quale da ottocento anni ha camminato il popolo francescano portando il Vangelo in ogni angolo della terra e portando copiosi frutti per la vita dell’umanità.
Nello stesso periodo della sua vita, all’approssimarsi della Festa del S. Natale, a Greccio, Francesco pensò a un gesto veramente innovativo nel campo della preghiera e della fede. Tommaso Da Celano ci racconta come egli fece chiamare un certo Giovanni e gli disse: “Vorrei fare memoria di quel Bambino che è nato a Betlemme, e in qualche modo intravedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per le cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una mangiatoia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello” (FF 468).
Francesco vuole toccare con mano la umiltà della Incarnazione, vuole osservare con i suoi occhi la povertà e la semplicità che il Figlio di Dio ha accettato per divenire nostro fratello. Non si è accontentato di una pia riflessione, ma è entrato fisicamente nel mistero, si è reso presente a Betlemme tra Maria, Giuseppe e i pastori. In questo modo ha indicato anche a noi un modo di pregare la Parola di Dio, rendendoci protagonisti e non spettatori dei misteri della nostra fede.
Sempre nei due ultimi anni della sua vita, in Francesco accadde qualcosa che possiamo definire solo mistero, un fatto che possiamo provare solo a contemplare, con stupore. Dopo un periodo di intenso apostolato, Francesco si ritirò sulla Verna per vivere una quaresima di digiuno e di preghiera. Fece di tutto per trovare la solitudine e per vivere a contatto solo con il suo Signore. In lui era forte il desiderio di conformarsi a Gesù Cristo e di vivere nel suo amore. Un mattino vicino alla festa della Esaltazione della S. Croce, mentre era in preghiera gli apparì una visione di un Serafino che scese dal cielo e si avvicinò a lui: aveva sei ali e aveva l’immagine del Crocifisso. Francesco fu preso dallo stupore e avvenne un dialogo tra lui e Gesù Cristo.
Non sappiamo cosa disse il Crocifisso, ma sappiamo cosa aveva nel cuore Francesco: “O signor mio Gesù Cristo, due grazie ti prego che tu mi faccia, innanzi che io muoia: la prima, che in vita mia io senta nell’anima e nel corpo mio, quanto è possibile, quel dolore che tu, dolce Gesù, sostenesti nella ora della tua acerbissima passione; la seconda ch’io senta nel cuor mio, quanto è possibile, quell’eccessivo amore del quale tu, Figliuolo di Dio, eri acceso a sostenere volentieri tanta passione per noi peccatori” (FF 1919).
Francesco, pur nei suoi limiti di creatura – per quanto è possibile – desiderava condividere l ‘amore che spingeva Gesù nella passione: l’amore verso il Padre e l’amore verso i fratelli. Il ricordo della impressione delle Stimmate, ci dice quanto amore scorresse tra S. Francesco e Gesù Cristo, tanto che al termine dell’incontro sul corpo di Francesco apparvero come sigillo le piaghe del Crocifisso: l’amore che lo aveva reso simile all’amato e veramente l’amato si era trasferito nell’amante.
Viviamo questo anno con tutta l’intensità possibile. I vari centenari ci danno l’opportunità di incontrare il Francesco vero, l’uomo meraviglioso, pietra viva scolpita dall’amore di Gesù Cristo e dall’opera dello Spirito Santo, esperienza viva anche per l’uomo d’oggi. Non possiamo viverli come una parata, come un motivo di vuoto compiacimento.
Amore profondo a Gesù Cristo e desiderio di condivisione fare la volontà del Padre. Amore ai fratelli fino a dare la vita per loro. Bello è essere consapevole che qui c’è un mistero profondo difficilmente comprensibile: “per quello che è possibile”.
La celebrazione del Transito del Padre S. Francesco in questo anno 2024 ci viene incontro particolarmente ricca di significato e ci invita a riflettere su alcuni aspetti della vita de Santo. L’incontro con S. Francesco è sempre una gioia, e sempre ci sorprende con nuove scoperte non considerate in passato. La sua vita infatti è di una semplicità così profonda che sempre ci stupisce e ci sorprende. Il segreto sta nel fatto della sua spogliazione, della sua incessante liberazione fino ad arrivare ad essere semplicemente uomo secondo il disegno del Creatore che ha creato l’uomo a immagine e somiglianza di Dio Creatore, uomo prima del peccato

p. Lorenzo Di Giuseppe ofm