II parte

Martin Carbajo Nùñez, ofm *

Pubblichiamo la seconda parte della riflessione proposta domenica 29 novembre 2020 in diretta streaming del 2° incontro del Ciclo “Il tempo della cura. Vivere con sobrietà, giustizia, fraternità”, promosso dalla Fraternità Frate Jacopa in collaborazione con la Parrocchia S. Maria Annunziata di Fossolo. L’incontro, finalizzato ad introdurre all’enciclica “Fratelli tutti”, ha posto al centro la dimensione profonda della fraternità colta in S. Francesco e nell’enciclica. Dopo aver incentrato la prima parte sulla dimensione teologica e trascendente della fraternità, proponendo le chiavi di lettura del documento, la seconda parte presenta le conclusioni con l’approfondimento del tema dell’amicizia come categoria sociale. È possibile visionare il video dell’intero incontro sulla pagina youtube Fraternità Francescana Frate Jacopa e sulla pagina fb Santa Maria Annunziata di Fossolo.

3. L’AMICIZIA COME CATEGORIA SOCIALE
La modernità ha relegato le relazioni amichevoli alla sfera privata, poiché ritiene che queste dipendenze emotive ostacolino il corretto funzionamento dell’ingranaggio pubblico. Propone invece il contratto sociale, che prescinde dalla fraternità e dall’amicizia sociale.
I liberali sostengono che, nella sfera pubblica, l’individuo deve essere libero dalla famiglia e dai legami sociali che lo limitavano nella precedente società gerarchica. Liberi da essi, sarà in grado di “cooperare senza sacrificio” (Hume), in modo razionale e metodico, avendo come unico referente la giustizia. Le nuove relazioni mercantili e impersonali (cash nexus) renderebbero possibile una socialità matura e autentica nella vita pubblica.
Questa impostazione risulta oggi particolarmente evidente in campo economico, dove la persona è ridotta a una variabile. L’altro non è visto come un tu, ma come un essere anonimo, senza volto (nontuismo). Si ritiene che il mercato funzioni meglio se ognuno difende i propri interessi, senza alcuna considerazione altruistica. L’altro non è un prossimo, ma un avversario da sconfiggere o ingannare (darwinismo sociale) perché, come diceva Hobbes, “la tua morte è la mia vita”.
Contraddicendo questa mentalità, l’enciclica FT promuove la “fraternità e l’amicizia sociale”.
Mettendo insieme queste due espressioni, già dallo stesso titolo, il Papa presenta l’amicizia come una categoria non solo privata, ma anche sociale; cioè, mette il rapporto affettuoso “io-tu” al centro delle relazioni pubbliche e internazionali. Infatti, “la carità è al cuore di ogni vita sociale sana e aperta” (184). Aristotele aveva già indicato la necessità dell’amicizia sociale, protesa al bene dell’altro e quindi libera da quell’attaccamento affettivo che solo cerca il piacere o l’utilità.
Francesco d’Assisi si sentiva fratello di tutti. Perciò, sebbene si considerasse “ignorante e illetterato” (Lord 39), scrisse una lettera a “tutti i podestà e ai consoli, ai giudici e ai reggitori di ogni parte del mondo e a tutti gli altri” (Lrp 1). Questa iniziativa risultava sorprendente nell’Alto Medioevo e nemmeno i Papi dell’epoca intrapresero iniziative del genere.

3.1. UNITÀ NELLA DIVERSITÀ
Il concetto cristiano di fraternità universale si basa sul riconoscimento della dignità umana inalienabile e serve di base all’amore sociale e alla giustizia.
La fraternità si costruisce valorizzando la ricchezza e “la peculiarità di ciascuna persona e di ciascun popolo” (100); cioè costruendo l’unità senza rinunciare alla differenza. In questo modo si valorizza l’individualità di ogni persona, senza cadere nell’individualismo o nell’omogeneizzazione.
Francesco d’Assisi cercava l’unità di tutti senza rinunciare alla specificità di ciascuno. Anche all’interno dell’Ordine, il poverello non ha mai presentato un modello idealizzato di frate minore al quale tutti dovrebbero conformarsi. Al contrario, egli descrive il fratello ideale come colui che riunirebbe in sé le migliori qualità di ciascuno dei suoi frati (Ep 85). Valorizza così la diversità di ogni singolo frate e invita a potenziare e valorizzare le qualità di ognuno di essi.

3.1.1. FRATERNITÀ POLIEDRICA E OPPOSIZIONE POLARE
Il poverello di Assisi intende la fraternità come una realtà interpersonale. L’incontro “iotu” ha la precedenza sul rapporto di ciascuno con il gruppo. Piuttosto che garantire l’uniformità esterna della “communitas”, egli preferisce favorire i rapporti fraterni, spontanei e compassionevoli. L’individualità di ogni frate deve essere rafforzata e armoniosamente integrata nel gruppo, come se si trattasse di un poliedro o un mosaico nel quale ogni elemento contribuisce alla bellezza dell’insieme, conservando le proprie peculiarità.
Parlando della Chiesa e della società, Papa Francesco propone anche il modello del poliedro, “che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità” (EG 236). La fraternità, infatti, permette che gli uguali siano persone diverse, cioè che ognuno possa essere sé stesso. In linea con la dialettica dell’opposizione polare proposta da Romano Guardini, Papa Francesco intende la fraternità come unità nella diversità. Questa dialettica non è sinonimo di contraddizione tra elementi che si escludono a vicenda senza alcuna possibilità di giungere a una sintesi. Nell’opposizione polare, gli elementi si condizionano, si completano l’un l’altro e si integrano in un’unità che non annulla la differenza.
“Tutta l’estensione della vita umana sembra dominata dal dato di fatto degli opposti. […]
Probabilmente non soltanto nella vita umana; essi stanno, forse, alla base di ogni realtà viva e forse d’ogni realtà concreta”4.
In questa prospettiva, la fraternità sarà possibile se verrà mantenuto il giusto dinamismo tra l’universale e il particolare, il globale e il locale, la differenza e la complementarità.

3.1.2. SUSSIDIARIETÀ, VICINANZA E INDIVIDUALITÀ
L’unità nella diversità si rompe quando la società sottovaluta il locale e ostacola la creatività delle persone e delle associazioni intermedie. “È vero che le differenze generano conflitti, ma l’uniformità genera asfissia e fa sì che ci fagocitiamo culturalmente” (191). Dobbiamo essere gioiosamente aperti all’incontro con “l’umanità al di là del proprio gruppo” (90), poiché “la propria identità culturale si approfondisce e si arricchisce nel dialogo con realtà differenti” (148).
Il Papa lamenta che, nel nostro mondo iperconnesso, le distanze si riducono o spariscono “fino al punto che viene meno il diritto all’intimità”. Il rispetto per l’altro si perde e “tutto diventa una specie di spettacolo” (42). Dobbiamo recuperare la venerazione per il mistero dell’essere umano, che è un tempio della Trinità e, quindi, non deve essere sottoposto alla curiosità indiscreta e a una vicinanza travolgente. Bisogna evitare le relazioni paternalistiche o possessive, che tentano di dominare o plagiare l’altro, privandolo del dovuto rispetto e dello spazio di libertà di cui ha bisogno per diventare pienamente sé stesso.
Oltre a garantire la necessaria discrezione e venerazione, la comunicazione deve anche evitare l’estremo opposto dell’indifferenza e dell’anonimato.
Abbiamo bisogno della vicinanza di gesti fisici, di espressioni del volto, di silenzi, di linguaggio corporeo” (43) per poter costruire un “noi”.

3.2. AMORE SOCIALE
L’enciclica FT organizza tutto il discorso intorno all’amore fraterno. Benedetto XVI aveva già insistito sul fatto che “la carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa” e da essa emanano tutte le sue indicazioni. Non è solo il principio delle micro-relazioni nella sfera privata, “ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici” (CV 2). La nostra società individualista, tuttavia, ha innalzato l’io egoista e dominatore, aprendo la via al paradigma tecnocratico,all’antropocentrismo irresponsabile e alla cultura dello scarto.

3.2.1. PASSARE DAL “DOMINUS” AL “FRATER”
Papa Francesco insiste sulla necessità di passare dal “dominus” al “frater”, dal dominio dispotico alla fraternità, dall’interesse individualistico all’etica della cura, così come mostra la parabola del buon Samaritano.
Nella vita monastica medievale, solo le persone di origine nobile potevano accedere alla categoria di monaci. Francesco d’Assisi, tuttavia, voleva che tra i suoi frati regnasse l’uguaglianza più assoluta, indipendentemente dalla loro origine o dalla loro condizione sociale. Infatti, egli “voleva che si fondessero maggiori e minori che i dotti si legassero con affetto fraterno ai semplici” (2Cel 191). Coloro che occupano posizioni di responsabilità devono comportarsi come “ministri e servi”. Nessuno dovrebbe cercare di essere chiamato maestro, priore o sapiente. Inoltre, tutti devono accettare con misericordia le debolezze altrui, senza arrabbiarsi o disturbarsi a causa del peccato del prossimo.
L’Enciclica FT sottolinea anche che “la consapevolezza del limite o della parzialità, lungi dall’essere una minaccia, diventa la chiave secondo la quale sognare ed elaborare un progetto comune” (150).
Per questo motivo, ci invita ad “avere cura di coloro che sono fragili” (115) e a “formare una comunità composta da fratelli che si accolgono reciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri” (96).

3.2.2. DIALOGO E COLLABORAZIONE
FT ci invita ad assumere un’antropologia dialogica e relazionale, in sintonia con il personalismo etico. Il Vaticano II aveva affermato che “l’essere umano è fatto in modo tale che non si realizza, non si sviluppa e non può trovare la propria pienezza «se non attraverso un dono sincero di sé»” (GS 24; FT 87).
Siamo esseri intrinsecamente sociali, frutto del dono e chiamati alla donazione. Senza comunità non possiamo avere una vita piena. Infatti, “la vita sussiste dove c’è legame, comunione, fratellanza” (87).
La buona politica si basa sull’amicizia sociale, sulla fiducia “nelle riserve di bene che ci sono nel cuore della gente” (196) e quindi cerca il dialogo e il consenso. Al contrario, la politica negativa si riduce a “ricette effimere di marketing” (15),dimentica il bene comune e usa lo scontro per raggiungere i propri obiettivi  egoistici. La pandemia di Covid-19 ha dimostrato che, nonostante l’iperconnettività, non siamo stati in grado di affrontare insieme l’emergenza sanitaria.

3.3. UNA FAMIGLIA UNIVERSALE
La fede che Francesco d’Assisi professa al Padre di tutti lo porta a sentirsi fratello universale, senza barriere né pregiudizi. Nell’incontro con il lebbroso aveva abbattuto le barriere mentali, sociali ed ecclesiali che separavano i lebbrosi dalla comunità; nell’incontro con il sultano aveva costruito nuovi ponti verso la fratellanza universale; nel cantico di fratello sole aveva abbracciato tutte le creature, includendo sorella morte.

3.2.1. L’INCONTRO DI FRANCESCO CON IL SULTANO
Ai tempi di Francesco, il cristianesimo era completamente focalizzato sulla promozione e il finanziamento delle crociate per far fronte all’impellente nemico musulmano. Il Papa Urbano II, nel Concilio di Clermont (1095), aveva concesso l’indulgenza plenaria a chi si fosse arruolato nelle crociate e, al Concilio Lateranense IV (1215), Innocenzo III la estese a chi avesse collaborato economicamente. Non erano previsti altri obiettivi per le indulgenze.
Appare quindi straordinario che il Papa, accedendo ad una richiesta di Francesco, concedesse una nuova indulgenza plenaria a Santa Maria della Porziuncola (1216), centrata sulla riconciliazione e, per di più, senza esigere alcuna prestazione materiale.
Seguendo questa linea di apertura fraterna e incondizionata, Francesco chiede ai suoi frati che, quando vanno tra i saraceni e gli altri infedeli, “non facciano liti né dispute” (Rnb 16,6). Egli stesso rischia la vita per incontrare personalmente il sultano Mélek-al-Kamel a Damietta, nel 1219, in mezzo alla quinta crociata. Umile e disarmato, parla al sultano come a un fratello e l’altro risponde trattando a Francesco con benevolenza.

3.2.2. L’INCONTRO DI PAPA FRANCESCO CON IL GRANDE IMAM
Il 4 febbraio 2019, in occasione della celebrazione dell’ottavo centenario di quello straordinario incontro, Papa Francesco e il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb hanno firmato, ad Abu Dhabi, il “Documento sulla Fraternità umana”. Questo documento è stato riprodotto nell’enciclica (FT 285), dandole così una notevole rilevanza all’interno degli insegnamenti del Magistero ecclesiale.
FT “raccoglie e sviluppa grandi temi esposti in quel Documento” (5). Ad esempio, che Dio “ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro” (5). Tuttavia, FT constata che “ci sono ancora coloro che ritengono di sentirsi incoraggiati o almeno autorizzati dalla loro fede a sostenere varie forme di nazionalismo chiuso e violento, atteggiamenti xenofobi, disprezzo e persino maltrattamenti verso coloro che sono diversi” (86).

3.2.3. TUTTI INVITATI AD INCONTRARCI
Dobbiamo “cercare punti di contatto, gettare ponti, progettare qualcosa che coinvolga tutti” (216). Il Papa ci ricorda che “il giusto atteggiamento non è né l’uniformità forzata, né il sincretismo conciliante”. Il dialogo deve essere incoraggiato tenendo conto dell’identità specifica di ogni popolo, religione e cultura.
L’apertura alla fraternità universale non deve essere confusa con il falso universalismo di chi non ama il proprio popolo e non accetta le proprie radici. Non possiamo neanche accettare l’abuso di chi cerca di cancellare le differenze, omogeneizzando tutti sulla base dei propri interessi. Il Papa ci ricorda l’importanza di assumere la propria identità personale e di gruppo. “Ognuno è pienamente persona quando appartiene a un popolo, e al tempo stesso non c’è vero popolo senza rispetto per il volto di ogni persona” (182).

CONCLUSIONE
Seguendo l’esempio e le indicazioni del loro fondatore, i francescani affermano il principio della fraternità come caratteristica nucleare del loro carisma e lo propongono come guida e orizzonte del nostro essere nel mondo. Quando promuovono i Monti di Pietà e altre iniziative economiche, cercano di implicare tutti, ricchi e poveri, nella costruzione del bene comune. In questo modo, imitano il Buon Samaritano, che riesce a coinvolgere il proprietario dell’albergo nella cura del ferito, invece di fare tutto da solo.
All’inizio del primo capitolo, FT indica alcuni grandi sogni sociali che sono stati rotti per mancanza di collaborazione. Riconoscendo Francesco d’Assisi come modello universale, l’enciclica FT vuole ispirare “un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale” (6) e ci invita a parteciparvi.
“Sogniamo come un’unica umanità […], ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!” (8).
Chi cerca di sognare da solo cade facilmente nei miraggi.
Helder Cámara, vescovo di Recife, ha insistito sull’importanza di sognare: “Beati quelli che sognano: porteranno speranza a molti cuori e correranno il dolce rischio di vedere il loro sogno realizzato”. In questa linea, FT conferma che “è molto difficile progettare qualcosa di grande a lungo termine se non si ottiene che diventi un sogno collettivo” (157).
Già prima, papa Francesco aveva organizzato l’esortazione post-sinodale Querida Amazonia (QA) attorno a quattro grandi sogni e aveva insistito sul bisogno di sviluppare la nostra capacità di “ammirare ed apprezzare il bello” (QA 56), ampliando così “gli orizzonti al di là dei conflitti” (QA 104).
L’indifferenza globalizzata e la mancanza di fraternità non possono essere superate se non alziamo lo sguardo verso un orizzonte simbolico e se non usiamo la via della bellezza.
Per intercessione di San Francesco d’Assisi, chiediamo all’Altissimo di ispirarci “il sogno di un nuovo incontro, di dialogo, di giustizia e di pace” (287).
Accogliamo, quindi, la grazia divina e uniamo le forze per farlo diventare realtà.

* Teologia morale e Etica della comunicazione
(Pontificia Università Antonianum)

4 GUARDINI R., L’opposizione polare. Saggio per una filosofia del concreto vivente,
Morcelliana, Brescia 2007, 29

Il Cantico
ISSN 1974-2339
Pubblicazione riservata