Oggi nella civiltà occidentale è comune avvertire la dignità della persona, mentre in altri tempi tale dignità non era così marcata e centrale, poiché l’uomo era strumentalizzato e trattato come un oggetto vile. Finalmente dopo tante sventure (pensiamo alle due guerre mondiali) la coscienza si è ribellata e ha fissato l’attenzione sul nucleo della dignità dell’uomo, che è costituito dal suo essere persona e non soltanto individuo, come invece è per tutti gli altri enti.
Tuttavia nella cultura attuale i problemi sono ben lungi dall’essere risolti, poiché esistono idee molto contrastanti riguardo al significato del termine “persona”: c’è chi considera persona tutti gli individui che hanno l’uso di ragione o solo coloro che sono in grado di rappresentare se stessi. Ecco allora che un neonato o un individuo nella sua fase prenatale non sono considerati persona, mentre lo può essere un cane, una tigre…
Il termine “persona” nel linguaggio della rivelazione cristiana fonda la dignità dell’uomo nel mistero della S. S. Trinità. In questa visione la consapevolezza di tale dignità non viene dall’esterno (da una nascita, da un’eredità, da una potenza economica, politica, sociale), bensì costituisce lo stesso nucleo di ogni uomo. Ogni singolo è persona e, come tale, non lo si può dominare come fosse un oggetto, ma è sempre nell’ordine della soggettività.
La persona è un soggetto che agisce liberamente e, pertanto, non può essere ridotta a strumento per altri fini superiori. Essa è centro di atti che superano le sfere della sensibilità umana e si protendono verso gli spazi dello spirito (l’arte, la morale, la filosofia, la teologia, la scienza). La persona si costituisce come soggettività irripetibile che si pone in relazione, ma che è difficile conoscere. Per conoscere una persona non si deve giudicarla, esaminarla come fosse una cosa, altrimenti la si scorona della sua regalità soggettiva. I veri rapporti personali sono possibili soltanto nella famiglia e in quei rapporti in cui la scintilla della relazione è l’amore.
Il cristianesimo ha tanto influito sulla valorizzazione della persona proprio perché comanda l’amore come rapporto vicendevole. Il fondamento della persona è l’amore, perché mediante esso io non oggettivo l’altro, ma lo faccio emergere nella sua soggettività, singolarità e irripetibilità. L’ideale cristiano sarebbe quello di amare anche i nemici, cioè di istituire un rapporto d’amore in un modo assoluto e non limitato né da condizionamenti di efficienza né dall’opposizione.
L’amore è la relazione che suscita il valore in colui che è amato. Chi è amato scopre, nel fatto di essere amato, il proprio valore di persona. Soltanto l’amore fa crescere la consapevolezza della propria dignità: in quanto sono amato, sono sollecitato a crescere e ad essere sensibile alla mia dignità di persona; in quanto amo, sollecito negli altri la crescita di se stessi.
Dio mi ama e mi trae all’essere persona proprio per questo suo amore. Io non sono nulla più di questo essere in relazione d’amore. Sono un niente che Dio ama e, perciò, fa essere. Nella misura in cui gli rispondo, io realizzo la mia dignità che è relazione.
Quando noi parliamo d’amore, ci riferiamo a quello tra le persone umane; invece bisognerebbe notare che, essendo la persona umana non assoluta o infinita (come è Dio), nei suoi livelli più profondi di coscienza ha l’imperativo di porsi in relazione d’amore con la Persona infinita. Nella nostra cultura è molto difficile che questo accada.
Basti pensare alla situazione attuale in cui i media ci appiattiscono in una dimensione orizzontale, cosicché non sentiamo l’imperativo o l’attrattiva di porci in una relazione d’amore con la Persona divina. Tutt’al più riusciamo a temerla o ad osservare le sue leggi o ad avere ideologicamente un certo orizzonte di Dio, ma non altro. Per questo noi oggi siamo particolarmente soggetti alla solitudine che è uno dei mali del nostro tempo. Per superare questa condizione, non c’è altro mezzo che essere soggetti di relazione con la Persona assoluta che è amore assoluto da cui io sono stato amato e per la quale esisto. Il suo amore mi ha costituito persona; perciò io devo rispondere come soggetto d’amore, altrimenti non supero la solitudine.
Il valore di S. Francesco è stato quello di risuscitare l’amore nel mondo. Egli fu sorpreso mentre piangeva lungo le strade vicino alla Porziuncola e gli fu chiesto il motivo. Rispose che piangeva l’amore del Crocifisso. Se noi riflettiamo sul senso della presenza di S. Francesco nel mondo, troviamo che esso si riduce a questo: riscattare, riproporre, rinnovare, risuscitare la cultura dell’amore nel mondo.
Nostro compito è portare al linguaggio questa radicalità di rapporto d’amore che costituisce la nostra vera dignità.
(Tratto da “Chi sono io? Per un nuovo umanesimo” Dialoghi con il francescano Vincenzo Cherubino Bigi [a cura di] Lucia Baldo,
Ed. Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa).
Il Cantico
ISSN 1974-2339
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