“Riflessione sui segni dei tempi: una sfida per contrastare ogni forma di schiavitù” di Giulio Albanese (IIIª parte)

Scuola di Pace “Frate Jacopa” 3- 5 gennaio 2015

Pubblichiamo la terza parte della relazione proposta da p. Giulio Albanese alla Scuola di Pace “Non più schiavi ma fratelli”. Quest’ultima parte completa la “Riflessione sui segni dei tempi: una sfida per contrastare ogni forma di schiavitù” pubblicata per la prima parte in riferimento al segno del tempo “La globalizzazione” nel Cantico online 2/2015 e per la seconda parte relativa al segno “Il fondamentalismo” nel Cantico 3/2015.

Uno dei segni dei tempi che credo meriti infine di essere menzionato e che spesso sottovalutiamo nella pastorale ordinaria, è quello della costante e crescente affermazione della società civile. Una realtà trasversale che abbraccia il consesso delle nazioni: associazioni, gruppi, movimenti, organizzazioni fatte di uomini e di donne di buona volontà che trovano nell’impegno, soprattutto volontario, un modo per rispondere alle sfide di una società in cui la politica è in grave affanno. Spirito di cittadinanza e senso della partecipazione al “bene comune” evidenziano, antropologicamente parlando, una voglia di riscatto di fronte al crollo delle vecchie ideologie, che la Chiesa non può sottovalutare. Se vogliamo dunque trarre un qualcosa di utile e fecondo da ciò, la valorizzazione dei laici va davvero messa in cima all’agenda pastorale, contro la tentazione sempre in agguato del clericalismo che alla lunga comporta una conseguente svalutazione della fede, resa così un vuoto senza alcuna esperienza.
albanese 3 parteÈ bene rammentare, in tal senso, che l’angustia della verità amministrata, quali pastori, toglie ai laici non solo i mezzi per cogliere le sfide dell’età moderna, che essi quindi devono affrontare da soli, ma anche la possibilità di accostarsi alla vita di fede per valorizzare la loro stessa esistenza. Partendo dal presupposto che la comunità ecclesiale è un dono di Dio, bene della Chiesa per la Chiesa e insieme per la società, sarebbe auspicabile che, alla luce di quanto accade ai nostri giorni, vi fosse lo snodarsi di comunione, collaborazione, corresponsabilità, tre momenti strettamente legati fra loro, poiché la comunione porta alla collaborazione e quest’ultima implica un’autentica corresponsabilità. Le mie considerazioni muovono, perciò, da queste necessarie premesse.
Alla definizione di christifideles29 ha dedicato grandissima attenzione il Concilio Vaticano II, riprendendo l’originale ispirazione della Chiesa, ricusando i lunghi secoli bui in cui il laicato era divenuto secondario nella vita ecclesiale. Questo non era vero nei primi tempi della cristianità, basti pensare ai vari collaboratori laici di San Paolo, come i coniugi Aquila e Priscilla, come leggiamo nel libro degli atti degli Apostoli. Dal Concilio Vaticano II in poi si è tentato di ridare al laicato il suo ruolo specifico. Il documento conciliare che fa da primo riferimento in tal senso è la Lumen Gentium che prima di parlare del Papa e dei vescovi, afferma la centralità della comunione, utilizzando la metafora del “Popolo di Dio”.
Il Concilio sottolinea che fanno parte della Chiesa, in virtù del principio di uguaglianza e di varietà30, tutti i battezzati, con stessa dignità e stesse caratteristiche, e dentro questo popolo vengono svolti vari compiti, ruoli, ministeri. Ma il dato originario è l’uguaglianza, il far parte della comunità cristiana con la stessa dignità,secondo la volontà di Cristo. Ecco che allora la definizione dei laici intesi come fedeli i quali, “dopo essere stati incorporati a Cristo col Battesimo e costituiti Popolo di Dio e, a loro modo, resi partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, per la loro parte compiono nella Chiesa e nel mondo la missione propria di tutto il popolo cristiano”.
Ma per entrare meglio nella comprensione di chi sono e cosa fanno i laici, prendiamo in esame la Christifideles Laici di Giovanni Paolo II. Come nel suo stile, il Papa usa un’icona che fa da filo conduttore al documento: “I laici nella Chiesa sono come quelli chiamati a lavorare nella vigna all’ultima ora”. Nel Vangelo altre due volte si parla di vigna (a dire il vero una volta di vigna ed una volta di vite): sia nella parabola della vigna, quando coloro che erano stati incaricati di accudirla se ne sono appropriati senza rispettare più il padrone né il figlio, sia quando Gesù usa l’immagine della vigna dicendo: “io sono la vite e voi i tralci; se non rimanete uniti a me non porterete frutto”. In realtà della vigna si parla anche nell’Antico Testamento; citiamo a tale proposito Isaia: “Questo popolo è come una vigna che Dio coltiva… poi viene a cercare i frutti e invece di trovare uva…”.
Era il rimprovero al popolo che costituiva la vigna che Dio curava e coltivava, ma poi, quando doveva dare i frutti, deludeva. Riprendendo il discorso iniziale del confronto con la vigna, dobbiamo considerare che i lavoratori sono invitati a tutte le ore e in tutte le situazioni, come donna o come uomo, come studente o come lavoratore, come handicappato o in buona salute, come sano o come malato. In questa prospettiva ciò che caratterizza i fedeli laici è l’indole secolare, il vivere la realtà del mondo.schiavitù
La caratteristica del laico è di essere chiamato alla pienezza della santità operando all’interno delle realtà del mondo quali la società, il lavoro, la politica, l’economia, lo sport, la stampa, insomma in tutto ciò che fa la vita di un uomo. Tutti sono chiamati a diventare santi, ma i laici, per diventarlo, non devono stare in convento o vivere segregati in un eremo. Piuttosto devono sporcarsi le mani per la causa del Regno, nella Vigna del Signore.
La fede cristiana, incarnata nella storia degli uomini, non evita le sfide, neppure quella della modernità. Non elude le crisi, né si rifugia in cima ad un monte per starsene al sicuro. La fede cristiana ha una forza in sé, in ragione della sua singolarità: la forza dello Spirito che può cambiare la storia. Sicuramente, rispetto al periodo preconciliare, la Chiesa non è più segnata, prevalentemente, dagli aspetti visibili, organizzativi ed istituzionali. Ma è comunque vero che, per il fatto di essere ancora appesantita da troppi condizionamenti morali e temporali, non riesce sempre ad esprimere e a realizzare storicamente quel mistero di salvezza e di fede che dovrebbe essere la sua dimensione costitutiva, la fonte ispiratrice della sua missione.
Dal Concilio Vaticano II, come accennato prima, è venuta una nuova concezione di Chiesa come Popolo di Dio, posta prima rispetto alla Chiesa gerarchica. Giovanni Paolo II, per primo, si è impegnato a moderare gli eccessi di clericalismo e nello stesso tempo a sostenere apertamente la valorizzazione del laicato. Cosi, dalla realtà profonda del cattolicesimo, sono emersi nuovi carismi, nuovi protagonisti: i giovani, i movimenti, specialmente le donne. Ebbene, c’è stato tutto questo, ma si può dire di essere arrivati davvero ad una Chiesa che sia un insieme virtuoso di unità e molteplicità, di identità e di diversità?
Certamente è il laicato, vero tesoro che rimane spesso nascosto nella grande massa, che abbiamo lasciato troppo ai margini. Ma è proprio qui che si trova il vero vissuto della fede praticata nelle pieghe della vita di ogni giorno; quella ordinaria, normale, di chi, tra l’altro, si impegna all’aiuto di quanti hanno più bisogno perché dimenticati, non solo dalla società, ma anche dallo Stato.
Anche questa è Chiesa, ma non si può certo dire che i laici e le donne, in particolare, abbiano raggiunto una vera corresponsabilità; anzi, diciamo pure che vi è un certo squilibrio rispetto alle aspettative conciliari. Non solo, infatti, non hanno una qualche parte, perlomeno a livello di consultazione, nelle decisioni che vengono prese in diocesi o nell’individuare tratti caratteristici del nuovo vescovo che dovrà essere nominato; non hanno nemmeno quella spiritualità di comunione propriamente laicale che aiuti ad affrontare le tante contraddizioni del mondo moderno. La sensazione che si ha, dunque, è quella di mantenere il laico in uno stato, se non proprio di minorità, comunque sempre dipendente dai chierici.
Bisogna rendersi conto che è decisivo avere un popolo, soprattutto per la Chiesa che verrà. Una generazione di cristiani, dalla fede più personale, più consapevole, che dia un ruolo diverso alla donna, sganciata da “tutele clericali”, portatrice di creatività nei diversi ambiti della vita, specialmente in politica. Cristiani che siano uomini della speranza, della libertà, della tolleranza e della pace. E allora, ancora di più, è necessario andare al fondo delle cose e cercare di leggere il futuro che Dio ha riservato alla sua Chiesa e a quanti credono in Lui. Nei suoi disegni imperscrutabili, si potrebbe riuscire a capire come da un gran male potrebbe venir fuori un gran bene.
Annullare definitivamente le distanze è l’occasione buona per metterci in un ascolto aperto e fiducioso con chi, in forza del comune battesimo, ha stessa dignità e responsabilità.

Per concludere…

Queste prospettive sui segni dei tempi, di cui abbiamo parlato, per quanto approssimazioni di un futuro per certi versi incerto, suppongono fondamentalmente due cose. Anzitutto l’impegno a testimoniare il Vangelo della Pace. D’altronde, come cristiani, noi crediamo con Paolo che: “Cristo è la nostra Pace. Egli ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia” (Ef 2,14).
Inoltre, lungi da ogni retorica, è fondamentale che vi siano delle persone che si consacrano alla missione evangelizzatrice della Chiesa, per la causa del Regno. In tal senso il momento presente non ci offre molte illusioni; non per disfattismo, ma per il fatto che la realtà è sotto gli occhi di tutti. Vediamo, ad esempio, che le vocazioni missionarie in Italia e all’estero stanno diminuendo, anche in quelle Chiese che finora ne hanno avute molte, mentre quelle che nascono nelle nuove comunità del Sud del mondo, non riescono ancora a rimpiazzarle in modo da dare continuità al passato. Sarà questo un dato di fatto scoraggiante che ci fa cadere le braccia come davanti ad un fatto inevitabile e irreparabile?
O non sarà invece un’indicazione provvidenziale che Dio ci fa giungere per rinnovare evangelicamente la figura stessa del missionario, aprendola a tutti coloro – sacerdoti, religiosi e religiose, laici e laiche – che sentono il bisogno di rispondere all’amore di Cristo? Non resta che pregare e discernere per fare la Sua volontà.

29 La nuova figura del christifideles diviene fondamentale in quanto teologicamente e giuridicamente ingloba allo stesso tempo quella del laico, quella dell’ordinato e quella del religioso (nel senso ampio di tutti coloro che assumono i consigli evangelici), senza mai confondersi con uno di questi stati.
30 L.G., 32, 41. Tali principi inoltre sono stati recepiti dal can. 204 del nuovo Codex Iuris Canonici.