INTENTO DELL’OPERA

La teologia della storia in S. Bonaventura di Joseph Ratzinger | ilcantico.fratejacopa.net

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Il volume “San Bonaventura. La teologia della storia” (Porziuncola 2008) scritto da Joseph Ratzinger nel 1959, inizialmente incontrò non poche resistenze per il nuovo modo introdotto dall’autore di considerare il rapporto di S. Bonaventura, in particolare nella sua opera “Collationes in Hexaëmeron”, con le idee dell’abate calabrese Gioacchino da Fiore a cui si rifaceva l’ala dei francescani spirituali più rigorosi nell’osservare la Regola di S. Francesco. Nel volume di Ratzinger risulta che Bonaventura non condannò mai nella sua globalità il pensiero di Gioacchino, ma respinse le sue inclinazioni “a dividere il Cristo e lo Spirito, la Chiesa organizzata secondo un ordinamento cristologicosacramentale e la Chiesa pneumatico-profetica dei nuovi poveri” (J. Ratzinger, San Bonaventura. La teologia della storia, p. 8). Le “Collationes in Hexaëmeron” sono la risposta di Bonaventura (allora Generale dell’Ordine) alla questione gioachimita che minava l’unità dell’Ordine. “Intento dell’Hexaemëron è contrapporre ai traviamenti spirituali del tempo l’immagine dell’autentica sapienza cristiana” (ibidem, p. 27). L’edizione del 2008 dell’opera di Ratzinger costituisce un punto di riferimento imprescindibile nel panorama degli studi su S. Bonaventura, per quanti intendono accostarsi alla temperie sorico-culturale- spirituale del XIII secolo.

LE “COLLATIONES IN HEXAËMERON”
La prima traduzione in lingua italiana delle Collationes in Hexaëmeron, impresa non facile mai tentata prima, dato il carattere frammentario ed enigmatico del linguaggio, risale al 1985 ed è ad opera del pensatore francescano p. Vincenzo Cherubino Bigi (V.C. Bigi, San Bonaventura. La sapienza cristiana. Le Collationes in Hexaëmeron, 1985 Jaca Book). Le Collationes in Hexaëmeron (“Conferenze sull’opera dei sei giorni della creazione” riportate da uditori del maestro Bonaventura) si rivolgono “alla Chiesa come popolo di Dio in esodo verso la terra promessa”. L’immagine della Chiesa in esodo indica che per comprendere la Scrittura occorre fare un difficile e rischioso cammino dalla vanità e dalla curiosità alla sapienza cristiana in cui si attua il ritorno a Dio. Ma per compiere questo passaggio si richiede la mediazione della santità della vita. La Chiesa è intesa come la comunità dei credenti che, sulla terra, guidata dallo Spirito Santo, vive unita al capo, Cristo, e al suo vicario. Il senso delle Collationes bonaventuriane è quello di illuminare l’orizzonte spirituale e culturale di questo popolo in cammino che è la Chiesa, affinché non disattenda la sua condizione di esodo.

S. Bonaventura sottolinea “il carattere storico delle affermazioni scritturistiche”. Infatti la vita della Chiesa è come “un seme che cresce nel tempo” (ibidem, p. 11). Similmente la Sacra Scrittura è vista come la terra che produce germogli (cfr Gn 1,11) in modo molteplice in quanto produce nell’anima “un pullulare di vita” (Coll. XIV, 1).
“Da un punto di vista oggettivo la Scrittura è certamente compiuta, ma il suo significato è da ricercarsi in uno sviluppo continuo che si snoda lungo tutta la storia e che non si è ancora concluso” (J. Ratzinger, San Bonaventura, p. 29). Noi siamo oggi in grado di spiegare molte cose che i Padri non erano ancora in grado di esprimere, poiché ciò che per loro si trovava ancora nell’oscurità del futuro per noi rappresenta un passato già accessibile. Dalla Scrittura si sviluppano dunque conoscenze sempre nuove. In essa, per così dire, accade ancora qualcosa; e questo accadere, questa storia andrà avanti fintantoché ci sarà una storia. Nella Sacra Scrittura si scoprono nuovi significati, le “multiformi teorie”, che sono come gocce nell’oceano infinito. Nella Sacra Scrittura è contenuto il futuro che si può interpretare solo se si conosce il passato. Queste “multiformi teorie”, significati illimitati, sono come i semi racchiusi nei frutti. E chi li può conoscere tutti, dato che una sola semenza dà luogo a foreste che, a loro volta, producono infiniti semi? Così è dei “semi di senso” della Sacra Scrittura che, “con il trascorrere del tempo, sono coinvolti in un costante processo di crescita” (ibidem). E nonostante ciò, rimane ancora molto di oscuro. “Ciò rappresenta per il teologo, interprete della Scrittura, un’importante consapevolezza: essa gli dimostra che nella sua interpretazione non può prescindere dalla storia, né da quella del passato né da quella del futuro. In questo modo l’interpretazione della Scrittura diviene teologia della storia, illuminazione del passato come profezia sull’avvenire” (ibidem, p. 30).

LE “COLLATIONES IN HEXAËMERON” E IL “DE CIVITATE DEI”
La teologia della storiaLe “Collationes in Hexaëmeron” richiamano il “De Civitate Dei” di S. Agostino in quanto entrambe le opere si prefiggono lo scopo di “rendere comprensibile il presente e il futuro della Chiesa a partire dal suo passato” (ibidem). Il “De Civitate Dei” è il primo momento del modo cristiano di pensare la storia. Le Collationes sono il secondo (ibidem, p.16). In entrambe le opere si profila una storia della salvezza che ha avuto un inizio e avrà un suo compimento nel raggiungimento di un fine, nella realizzazione di un senso. Si tratta di un itinerario che, pur superando le mire e i progetti umani, coinvolge la volontà dell’uomo nella sua libertà. S. Agostino parla, con una terminologia tratta dai salmi, della “Città di Dio” formata dagli eletti, la cui sede è il cielo, mentre sulla terra è in esilio. Essa inizia con Abele che significa “lutto”, perché la Città di Dio “avrebbe sopportato ingiuste persecuzioni dagli uomini empi” (Agostino, De Civitate Dei, XV, 15) che abitano la Città terrena e cercano la felicità esclusivamente negli ideali terreni come fossero gli unici. Le due Città, che “in questo mondo sono indiscriminatamente mescolate” (ibidem, X, 32) hanno origine da due amori: quella terrena dall’“amor di sé fino all’indifferenza per Dio”, quella celeste dall’“amore di Dio fino all’indifferenza di sé… affinché Dio sia tutto in tutti” (ibidem, XIV, 28). La Città terrena è quella che ambisce a realizzare la sola volontà dell’uomo e, pertanto, è destinata alla rovina. Essa inizia con Caino che significa “possesso”.
La morte violenta di Abele per opera di suo fratello, per Agostino come per Bonaventura, è la prefigurazione del sacrificio di Cristo sulla croce: come Adamo viene formato dalla “terra verginale, che ancora non aveva bevuto il sangue “ (Coll. XVI, 21) di Abele, così Cristo, novello Abele, nasce dalla Vergine Maria. Le anticipazioni dell’avvento di Cristo, che Bonaventura chiama “figure sacramentali”, preparano l’avvento di Cristo tra gli uomini. Cristo viene identificato innanzitutto nell’“albero della vita nel mezzo del Paradiso” (Coll. XIV, 18), ma è anche designato mediante l’arca di Noè “che rappresenta principalmente il corpo di Cristo, secondariamente il corpo della Chiesa” (ibidem). Già S. Agostino nel “De Civitate Dei” aveva visto nell’arca l’allegoria della Chiesa che ottiene la salvezza mediante il legno della croce di Cristo (cfr De Civitate Dei, XV, 26). Infatti le misure dell’arca simboleggiano il corpo umano (come l’arca anche il corpo umano dal capo ai piedi è sei volte la larghezza da un fianco all’altro e dieci volte l’altezza dal dorso all’addome). L’apertura dell’arca da un lato è la ferita con cui fu trafitto il costato del Crocifisso (cfr ibidem).

E ancora: Cristo è designato da S. Bonaventura nel sacrificio di Isacco “che portava sulle spalle la legna per il sacrificio, ovvero i legni della croce” (Coll. XIV, 20). S. Agostino divide la storia della salvezza in sei età, da Adamo a Cristo: da Adamo al diluvio, dal diluvio ad Abramo, da Abramo a Davide, da Davide alla deportazione a Babilonia, da questa fino alla nascita di Cristo che segna la fine dei tempi. Per Agostino, però, lo schema senario delle età del mondo è secondario, poiché la storia si snoda nella contrapposizione tra la Città di Dio e la Città dell’uomo. Anche Bonaventura afferma che “tutti i misteri della Scrittura trattano di Cristo con il suo corpo e dell’Anticristo e del diavolo con la sua corporeità (Coll. XIV, 17). Ma questa considerazione non fonda la sua teologia della storia che invece è ritmata dal succedersi non casuale del ritmo che da senario diventa settenario. S. Bonaventura predilige una bipartizione settenaria nell’Antico e nel Nuovo Testamento. La corrispondenza dei due periodi settenari è il progetto di teologia della storia di S. Bonaventura che vede in Cristo la svolta, il centro della storia, mentre S. Agostino vede Cristo come compimento di tutta la storia della salvezza.

Ciò significa che S. Bonaventura ritiene ancora mancante la pienezza della Chiesa (cfr ibidem, p. 35). Questa visione permette a S. Bonaventura di trovare nuovi collegamenti, nuovi rimandi: come l’arca del diluvio è figura della purificazione delle anime, così il Battesimo di sangue di papa Clemente I (secondo la tradizione fatto inabissare con un’ancora al collo nelle acque del Mar Nero) purificò la Chiesa. Come i patriarchi furono generati nell’Antico Testamento, così nel Nuovo Testamento si ebbero i dottori della Chiesa latini e greci. Come nell’Antico Testamento fu data la legge, così nel Nuovo da Leone I Magno a Gregorio I Magno fu promulgata la legge canonica (Leone I ordinò i canoni), la legge politica con Giustiniano e la legge monastica. Alla “chiarità della dottrina” dei profeti dell’Antico Testamento corrisponde la chiarità della dottrina promossa da Carlo Magno che chiamò chierici (ovvero i dotti) alla sua corte e incrementò i religiosi. Alla sesta età dell’Antico Testamento che decorre da Ezechia a Zorobabele, corrisponde la sesta età del Nuovo Testamento con la vittoria di Carlo Magno che arreca pace alla Chiesa. Alle tenebre impersonate da Manasse nell’Antico Testamento corrisponde nel Nuovo Testamento il tentativo dei successori di Carlo Magno, Enrico IV e Federico I, di sterminare la Chiesa; ma la corrispondenza dei tempi che preme di più a Bonaventura concerne la luce della vita profetica impersonata nell’Antico Testamento da Elia e da Enoch, e nel Nuovo Testamento da S. Francesco e da S. Domenico.

La teologia della storia di S. BonaventuraPer Bonaventura tutta la storia è sacra. La storia sacra non solo non è separata da quella profana, ma è altresì punto di riferimento degli avvenimenti profani. Nel complesso furono sette le età dell’Antico Testamento (da Adamo a Cristo) e sette sono quelle del Nuovo, come sono sette i giorni della creazione (6 più 1). Il numero sette ha il significato di compiutezza, di armonia ed esprime l’interezza di una realtà che è parte dell’armonia universale, dell’ordine divino, principio unificatore dell’intera realtà che non è soggetta alla casualità, come pensavano gli antichi, ma è illuminata da una “luce mirabile” (Coll. XVI, 31). Bonaventura crede in una nuova salvezza che si realizzerà nella storia, quando in un’era di pace si compirà la profezia di Isaia: “Mai più un popolo alzerà la spada contro un altro popolo” (Is. 2,4). Il discepolo di S. Francesco esprime così una “concreta speranza nella trasformazione del mondo” (J. Ratzinger, San Bonaventura, p. 37). Però, prima di giungere alla grande pace del settimo giorno dovrà ancora scendere sulla Chiesa una nuova tribolazione corrispondente all’esilio di Israele a Babilonia, da cui avrà origine l’ordine futuro, il nuovo popolo di Dio del tempo ultimo. Qual è il ruolo profetico esercitato da S. Francesco secondo questa visione della storia? S. FRANCESCOARALDO DIDIO S. Bonaventura vede in S. Francesco un segno degli ultimi tempi, dotato dello “spirito e della potenza di Elia” e, come lui, “portato in cielo su un carro di fuoco” (FF 1021). S. Francesco, come Giovanni Battista, per S. Bonaventura è il novello Elia, l’araldo del gran Re, perché ha avuto la missione di annunciare tempi nuovi, i “tempi ultimi”(FF 1020), in cui la grazia di Dio apparsa nel suo servo Francesco sarà profusa “a tutti coloro che sono veramente umili e veramente amici della santa povertà” (ibidem).

Come il Precursore, Giovanni Battista, Francesco è “predestinato da Dio a preparargli la strada nel deserto dell’altissima povertà e a predicare la penitenza con l’esempio e con la parola” (FF 1021). Nel Prologo della Leggenda Maggiore (FF 1021- 1022), accanto al paragone con Elia e con il Battista, compare l’interpretazione di Francesco (presente anche nell’Hexaëmeron) come l’angelo dell’Apocalisse “che sale dall’oriente e porta in sé il sigillo del Dio vivo” (Ap 7,2). In questo passo dell’Apocalisse (testo in cui Bonaventura intravede la storia della Chiesa scandita secondo il ritmo settenario) l’angelo segna “con il sigillo del Dio vivente” – il tau – tutti i servitori di Dio, nel numero di centoquarantaquattromila. Ezechiele dice che il tau era il segno con cui i salvati a Gerusalemme venivano segnati. E noi sappiamo che S. Francesco firmava le sue lettere con il tau. Tale sigillo del Dio vivo venne impresso nel corpo di Francesco sul monte della Verna dove ricevette le stigmate di Cristo alla fine della sua vita terrena. Con questo sigillo egli divenne “simile al Dio vivente, cioè a Cristo crocifisso” (FF 1022). Egli, “portando in se stesso il segno del patto del Signore, annunziò agli uomini il vangelo della pace e della salvezza” (FF 1021).

san bonaventuraA lui “tutto infiammato del fuoco dei serafini” (ibidem) sarebbe spettato il compito di fondare la comunità degli eletti alla fine dei tempi, i centoquarantaquattromila espressione della Chiesa contemplativa. Egli è il nuovo Elia che rimetterà tutto in ordine prima dell’ultima grande tribolazione e poi vi sarà la restaurazione (Coll. XV, 28). Questi toni apocalittici, per noi di difficile comprensione, sottolineano il carattere di pellegrinaggio della storia degli uomini, caratterizzata da forti connotazioni messianico- escatologiche per un ritorno a Dio-Provvidenza che guida la storia, ma esige anche urgentemente che noi viviamo una vita di penitenza e di conversione sul modello del Santo di Assisi per poterci ricongiungere al Padre. S. Francesco viene chiamato il padre serafico, proprio perché la schiera angelica a cui appartiene il serafino che con le sue ali avvolge il crocifisso da cui discende l’impressione delle stigmate sul corpo di Francesco, si caratterizza con l’unione a Dio. L’influenza del serafino su Francesco si riconosce nel divenire il santo un solo spirito con Dio, raggiungendo la perfezione della carità propria dell’anima contemplativa e della Chiesa dei tempi ultimi escatologici riconoscibile nei centoquarantaquattromila eletti dell’Apocalisse.

Bonaventura non ritiene che la comunità degli eletti degli ultimi tempi coincida con l’ordine francescano esistente, come invece diceva Gioacchino da Fiore a cui faceva riferimento la corrente spirituale dei francescani, tra cui Giovanni da Parma, generale dell’Ordine prima di S. Bonaventura. Per S. Bonaventura questa forma futura di vita non può identificarsi nelle istituzioni di questo mondo, ma può solo irrompere come grazia nei singoli individui, fino a quando verrà l’ora che solo Dio realizzerà, nella quale il mondo verrà trasformato nella forma escatologica di esistenza (cfr. J. Ratzinger, San Bonaventura, p. 82). “S. Francesco anticipa in definitiva una forma di esistenza escatologica che, quale forma di vita universale appartiene ancora al futuro (ibidem)”. “E in quest’ordine avverrà il compimento perfettivo della Chiesa” (Coll XXII, 22), poiché “occorre che [la Chiesa] sia portata a compimento per opera dello Spirito Santo” (J. Ratzinger, San Bonaventura, p. 77). Dice S. Bonaventura: “Ci siamo allontanati dalla nostra collocazione primitiva. Per questo Dio fa scendere su di noi la tribolazione, affinché possiamo essere riportati a quello stato che deve possedere la terra promessa” (Bonaventura, Collationes in Hexaëmeron, XX, 30). L’apparizione del Serafino a S. Francesco con l’impressione delle stigmate non riguarda solo la sua vita, ma riguarda tutto l’ordine, perché mostra un modello da seguire per divenire, come lui, “un solo spirito” con Dio (Coll. XXII,39; cfr 1Cor 6,17). Oltre a questa unione non si può procedere e, per raggiungerla, occorre passare attraverso la tribolazione (cfr Coll. XXII, 23). In questa unione risiede la perfezione che nella sua pienezza è uno stato ultramondano, ma già da ora prende vita su questa terra nell’anima che è la sua dimora, la “Città di Dio”, la nuova Gerusalemme. Si tratta, però, solo dell’anima purificata da un cammino di conversione e illuminata dalla Grazia. In quest’anima “Dio abita e appare” (Coll XXIII, 2). Quest’anima “segnata da Dio” (Coll. XXIII, 14), “gerarchizzata”, cioè tutta rivolta e ordinata a Dio fino a divenire simile a Lui, è chiamata da S. Bonaventura “contemplativa”. Come essa, anche la Chiesa nella pienezza degli ultimi tempi, sarà segnata dallo Spirito Santo e perciò sarà contemplativa. L’anima e la Chiesa, entrambe segnate dal sigillo dello Spirito Santo, non differiscono tra loro tranne in questo: “che l’anima ha tutto in se stessa, ciò che la Chiesa ha nei molti” (Coll XXIII, 4). Quando S. Bonaventura parla di Chiesa e di anima contemplativa non fa un discorso astratto, ma si riferisce a una condizione di vita semplice: “e la semplicità suprema, a sua volta, può trovarsi solo nella più grande povertà” (J. Ratzinger, San Bonaventura, p. 85). Che cosa poi il maestro di Bagnoregio voglia intendere quando parla di “grande povertà”, è una questione che richiederebbe ulteriori approfondimenti.

RIASSUMENDO
S. Bonaventura nelle “Collationes in Hexaëmeron” propone una visione della storia non fondata sul caso, come pensavano gli antichi, ma intesa come storia della salvezza che ha la sua origine (egressio) in Dio creatore e il suo senso nel ritorno (regressio) a Dio. Essa ha al suo centro Cristo e il suo fine nella pienezza dei tempi in cui la Chiesa sarà contemplativa, cioè realizzerà la perfezione evangelica, apostolica per opera dello Spirito Santo. Allora la comprensione della Sacra Scrittura sarà totale e compiuta. La bipartizione settenaria dell’Antico e del Nuovo Testamento voluta da S. Bonaventura, indica il riproporsi, in forme nuove e particolari, del processo storico già compiuto, in un movimento a spirale che è un avanzare verso il futuro ricuperando il passato. Nelle “Collationes in Hexaëmeron”, S. Bonaventura pone la meta ultima della storia di ogni anima e di tutta la Chiesa, nel raggiungimento della sapienza cristiana, possibile solo attraverso il compimento di una vita santa. S. Francesco che, nelle stigmate, ha ricevuto il sigillo salvifico del Dio vivente, è modello anticipatore di questa pienezza unitiva che rende “un solo spirito” con Dio e che Bonaventura chiama contemplazione. Il momento storico attuale è ancora lontano dall’attuazione del modello-Francesco, ma, attraverso le tribolazioni, si arriverà alla pace che Dio istituirà su questa terra e che avverrà negli ultimi tempi, quando si realizzerà la “Città di Dio”, la Chiesa contemplativa segnata dal sigillo dello Spirito Santo. Fino a quel momento la storia della salvezza sarà animata da questa attesa e tensione verso il suo pieno compimento.

Lucia Baldo