La riflessione del Direttore di “Popoli” sul fenomeno del “Land Grabbing”
La rivista internazionale dei gesuiti “Popoli” ha dedicato l’editoriale del numero di marzo a due straordinari testimoni della carità cristiana, impegnati in particolare nella difesa dei contadini del Brasile. Si tratta di suor Dorothy Stang, missionaria americana in Amazzonia, uccisa sette anni fa, e del vescovo Ladislau Biernaski, presidente della Commissione pastorale della terra della Chiesa brasiliana, spentosi nei giorni scorsi. Alessandro Gisotti (Radio Vaticana) ha chiesto il perché di questa scelta al direttore di “Popoli”, Stefano Femminis.
R. – Quello che ci sembra significativo di queste due figure è il loro avere realizzato l’impegno al fianco dei poveri, l’impegno per la giustizia, fondato sul Vangelo, in un settore, che è quello della difesa dei contadini e della terra. La terra, in questo periodo, in questo momento, in cui si parla molto di questioni finanziarie, di spread o altro, continua ad avere invece una sua assoluta concretezza.
D. – “La terra al servizio dell’uomo, non una merce”, si legge anche nell’editoriale…
R. – Sì, esatto. Oggi siamo abituati a considerare persino la terra, persino l’agricoltura, come un business, come una variabile delle borse. Viceversa, queste due figure, ci ricordano quanto i diritti umani, i diritti fondamentali dell’uomo siano legati alla terra, quanto la stessa identità di un popolo, di una comunità siano strettamente connesse all’esercizio della libertà di sfruttare il territorio.
D. – Suor Dorothy e mons. Bernaschi si sono battuti contro questo fenomeno di sfruttamento, di esproprio – il “land grabbing” – una vera e propria forma di neocolonialismo anche molto più subdolo…
R. – Con il “land grabbing”, che è un fenomeno che sta emergendo negli ultimi anni, succede che, a quei contadini, a quelle persone che hanno, avevano, un terreno ereditato da generazioni e generazioni, questo terreno viene tolto, perché vengono convinti a venderlo, ad affittarlo a prezzi assolutamente bassi da multinazionali o dagli stessi governi che, appunto, ne fanno una fonte di business e, in molti casi, lo utilizzano per coltivare materie prime, che poi non verranno utilizzate in loco.
D. – Di “land grabbing”, di esproprio delle terre, si parla in questi giorni anche alla Fao. La sensazione è però che gli interessi finanziari delle multinazionali siano più forti degli organismi internazionali…
R. – Sì, la Fao è stata, in qualche modo, la prima a lanciare l’allarme. Pensiamo che già tre anni fa, Jacques Diouf, direttore generale, aveva lanciato questo allarme, dicendo che c’era il rischio appunto di un patto neocolonialista. Quindi, non è che non sia presente il problema. Anche i dati e le ricerche della stessa Banca Mondiale lo dicono: per citare solo una cifra si ritiene che un terreno grande ormai quasi otto volte la Gran Bretagna sia passato di mano, sia stata trasferita la sua proprietà negli ultimi anni, soprattutto in Africa, dove i Paesi più coinvolti sono per esempio l’Etiopia, il neonato Sud Sudan, il Mozambico e così via.
(Radio Vaticana 25/3/2012)