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In ogni celebrazione eucaristica professiamo la nostra fede nella Trinità attraverso le parole del Credo, ma spesso consideriamo il dogma trinitario come una verità astratta, slegata dalla realtà vitale di tutti i giorni e da cui non è possibile ricavare alcunché di pratico. Invece la Trinità è un mistero che va vissuto: il modo di agire in relazione delle tre Persone divine è rilevante per la vita degli uomini, poiché rivela l’Amore. E che cosa c’è di più “pratico” dell’Amore? “L’Amore è veramente prassi” (Scoto). Senza l’Amore la vita perde il suo senso, poiché l’uomo è fatto per amare chi lo ha creato e per amare gli altri. Nella stagione d’oro dei Padri e dei dottori della Chiesa, prima che si sviluppasse un formalismo che ha analizzato capillarmente concetti e termini come “sostanza”, “ipostasi” e “natura”, il dogma trinitario era una realtà vitale, la fede professata era legata alla fede vissuta.

Per Gregorio Nazianzeno (329-390), che ha ricevuto l’appellativo di “cantore della Trinità”, la Trinità non è una verità astratta, o solamente un dogma; è la sua passione, il suo ambiente vitale, la luce dei suoi occhi. S. Agostino (354-430) ha impostato il suo discorso sulla Trinità a partire dalla parola dell’evangelista Giovanni: “Dio è amore” (1 Gv 4,10)… per questo è Trinità! Un Dio che fosse pura Conoscenza o pura Legge o puro Potere non avrebbe certo bisogno di essere trino. La visione deistica di Cartesio e degli illuministi prescinde del tutto dalla Trinità, per concentrarsi su un dio concepito come essere supremo che sarebbe irrilevante per la vita degli uomini.

Ma un Dio che è anzitutto Amore non può essere monolitico altrimenti è puro amore di sé, cioè puro egoismo che è la totale negazione dell’amore (il dio di Aristotele non ama niente al di fuori di sé, a causa della sua stessa perfezione). Non si dà un amore a vuoto, senza oggetto. “L’amore suppone uno che ama, ciò che è amato e l’amore stesso”(S. Agostino, De Trinitate). Fin dall’eternità, prima di amare l’uomo, il Padre è, nella Trinità, colui che ama, la fonte e il principio di tutto; il Figlio è colui che è amato; lo Spirito Santo è l’amore con cui il Padre e il Figlio si amano. Scoto ha espresso con queste parole l’Amore infinito: “Dico dunque così: Dio ama in primo luogo se stesso. In secondo luogo ama se stesso negli altri e questo amore è santo. In terzo luogo vuole essere amato da colui che può amarlo in grado sommo – io parlo dell’amore di un essere estrinseco a lui o creato…”.

Ma, come dice S. Bonaventura, il cuore dell’uomo è malato! E allora come può l’essere creato amare Dio? L’unico modo è sanare l’affettività umana partecipando alla vita trinitaria a cui si può accedere attraverso l’unica “porta” che è Cristo. La Trinità offrendo il Figlio si apre e si rivela a coloro che si relazionano a Lui: alimentandosi alla mensa della sua Parola e dell’Eucaristia vengono inondati dalla luce e dall’Amore di Dio trino. La relazione col Verbo incarnato ha improntato tutta la vita di S. Francesco: la sua unica preoccupazione era quella di ricordare, di raccogliere le azioni di Cristo, di riproporsele e di riprodurle nella sua vita per essere a immagine del corpo di Cristo e a similitudine dello spirito di Cristo (cfr. FF 153).

Con-compiendo le azioni di Cristo, S. Francesco fa esperienza dell’Amore che è vissuto dalla Trinità. Negli Scritti del Santo di Assisi troviamo una magnificenza di relazionalità che fa trasparire una penetrazione nella Trinità che dà la beatitudine, la perfetta letizia: Oh, come è glorioso, santo e grande avere in cielo un Padre! Oh, come è santo, fonte di consolazione, bello e ammirabile avere un tale Sposo! Oh, come è santo e come è caro, piacevole, umile, pacifico, dolce, amabile e desiderabile sopra ogni cosa avere un tale fratello e un tale figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, il quale offrì la sua vita per le sue pecore, e pregò il Padre dicendo: “Padre santo, custodiscili nel tuo nome, coloro che mi hai dato nel mondo; erano tuoi e tu li hai dati a me.

E le parole che desti a me le ho date a loro; ed essi le hanno accolte ed hanno creduto veramente che sono uscito da te, e hanno conosciuto che tu mi hai mandato. Io prego per essi e non per il mondo. Benedicili e santificali! E per loro io santifico me stesso. Non prego soltanto per loro, ma anche per coloro che crederanno in me per la loro parola, perché siano santificati nell’unità, come lo siamo anche noi. E voglio, Padre, che dove sono io siano anch’essi con me, affinché contemplino la mia gloria nel tuo regno. Amen” (FF 178/3).

Graziella Baldo