img62 (4)Siamo tornati adAssisi anche quest’anno per il Capitolo delle Fonti. Siamo convenuti con uno scopo preciso: come una volta si andava alla fonte del paese, che non sempre era così vicina, per attingere acqua fresca e buona, così noi siamo tornati adAssisi con questa sete e con questo desiderio. Questa volta volevamo cercare di capire un po’ più a fondo che cosa era per S. Francesco la povertà che tanto spazio ha avuto nel suo cammino di penitenza. Diciamo subito che ci siamo trovati davanti a un mistero, alla profondità dell’“Altissima povertà” che non riusciamo ad attingere fino in fondo.
Nella vita di S. Francesco la povertà “è molto più di qualche atteggiamento o di qualche gesto. E’ qualcosa che lo segna da dentro” (AA.VV. Poveri per vivere da fratelli, EFJ, p. 68) Proviamo ad avvicinarci agli Scritti di S. Francesco che sicuramente contengono il suo animo genuino.
Tra gli Scritti iniziamo dai suoi due Testamenti scritti nell’anno prima della morte, quando S. Francesco si sentiva ormai alla fine della sua vita e i suoi desideravano avere un suo ricordo. In essi S. Francesco esprime le cose che più gli stanno a cuore e ricorda con passione l’operare del Signore agli inizi della sua conversione.
Nel Testamento parla così degli inizi: E quelli che venivano per intraprendere questa vita, distribuivano ai poveri tutto quello che potevano avere, ed erano contenti di una sola tonaca, rappezzata dentro e fuori, del cingolo e delle brache. E non volevamo avere di più (FF 117). S. Francesco, poichè già aveva intravisto che i frati prendevano distanze dalla povertà abbracciata con entusiasmo agli inizi ed accettavano donazioni generose da amici ed ammiratori, li ammonisce: Si guardino bene i frati di non accettare assolutamente chiese, povere abitazioni e tutto quanto viene costruito per loro, se non fossero come si addice alla santa povertà, che abbiamo promessa nella Regola, sempre dimorandovi da ospiti come forestieri e pellegrini (FF 122).
Nel piccolo Testamento di Siena, per rispondere alla richiesta di alcuni, che desideravano avere come suo ricordo un breve scritto dove ci fossero condensate le cose più importanti del cammino che il Signore aveva donato a lui e agli altri suoi compagni, scrisse:…brevemente manifesto ai miei frati la mia volontà in queste tre parole: cioè in segno e memoria della mia benedizione e del mio testamento, sempre si amino gli uni e gli altri, sempre amino ed osservino la nostra signora la santa povertà, e sempre siano fedeli e sottomessi ai prelati e a tutti i chierici della santa madre Chiesa (FF 32-35).
Sempre nell’intento di voler esprimere le sue ultime volontà, scrive alle sorelle clarisse: Io, frate Francesco piccolino, voglio seguire la vita e la povertà dell’altissimo Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre e perseverare in essa sino alla fine (FF 140).
Nelle Regole che S. Francesco scrisse per delineare il cammino dei fratelli che il Signore gli aveva dato ed affidato alla sua cura paterna, egli mise al centro la povertà: La regola e la vita di questi fratelli è la seguente, cioè vivere in obbedienza, in castità e senza nulla di proprio, e seguire l’insegnamento e le orme del Signore nostro Gesù Cristo, il quale dice: “Se vuoi essere perfetto, va’ e vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni e seguimi” (FF 4).
Dunque farsi poveri è la condizione necessaria per seguire il Signore: … il predetto [che vuole intraprendere questa vita], se vuole e può farlo secondo lo Spirito senza impedimento, venda tutte le sue cose e procuri di distribuirle tutte ai poveri (FF 5).
È una povertà radicale che connota tutta la vita e coinvolge molti aspetti esteriori, come il vestire: E tutti i frati indossino vesti di poco prezzo e possano rappezzarle di sacco e di altre pezze con la benedizione di Dio, poiché dice il Signore nel Vangelo: “Quelli che indossano abiti preziosi e vivono tra le delizie e quelli che portano morbide vesti stanno nei palazzi dei re” (FF 8).
Nell’orizzonte della povertà è visto anche il lavoro manuale a cui i frati sono esortati. Per la loro prestazione i frati non pretendano ricompensa, tuttavia possono ricevere tutte le cose necessarie, eccetto il denaro dal quale devono prendere le distanze: Nessun frate, ovunque sia e dovunque vada, in nessun modo prenda o riceva o faccia ricevere pecunia o denaro, né con il pretesto di vestiti o di libri, né per compenso di alcun lavoro, insomma per nessuna ragione, se non per manifesta necessità dei frati infermi (FF 28).
Per le esigenze della loro vita quotidiana, i frati possono andare per l’elemosina, ricordando l’esempio di Gesù Cristo: E quando sarà necessario, vadano per l’elemosina. E non si vergognino, ma si ricordino piuttosto che il Signore nostro Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo onnipotente, rese la sua faccia come pietra durissima, né si vergognò. E fu povero e ospite, e visse di elemosine Lui e la beata Vergine e i suoi discepoli (FF 31).
S. Francesco in tutto si rifaceva all’esempio di Gesù Cristo e su quell’esempio modellava la sua vita e orientava anche quella dei suoi fratelli: Tutti i frati si impegnino a seguire l’umiltà e la povertà del Signore nostro Gesù Cristo, e si ricordino che di tutto il mondo, come dice l’Apostolo, noi non dobbiamo avere nient’altro, se non il cibo e l’occorrente per vestirci, e di questo ci dobbiamo accontentare (FF 29).
Nella Regola bollata così S. Francesco riassume la promessa dell’altissima povertà: I frati non si approprino di nulla, né casa, né luogo. Né alcuna altra cosa. E come pellegrini e forestieri in questo mondo, servendo al Signore in povertà e umiltà, vadano per l’elemosina con fiducia, e non si devono vergognare, perché il Signore si è fatto per noi povero in questo mondo. Questa è la sublimità di quell’altissima povertà che ha costituito voi, fratelli miei carissimi, eredi e re del regno dei cieli, vi ha fatti poveri di cose e vi ha innalzati con le virtù. Questa sia la vostra parte di eredità, che conduce alla terra dei viventi (FF 90).
La povertà non si limitava al rapporto esterno con le cose ma incideva profondamente sul modo di pensare ed agire di tutta la persona. S. Francesco voleva essere povero perché Gesù, “da ricco che era si era fatto povero” ed anche la sua Madre santissima aveva scelto una vita povera nella casa di Nazareth. Attraverso la povertà, anche la sua vita come quella di Gesù, non aveva altra sicurezza se non nell’amore del Padre: come la vita di Gesù, anche la sua, era dipendenza assoluta da Dio e suo cibo era fare la volontà del Padre.
NellaAmmonizione II S. Francesco parla della necessità di espropriarsi della propria volontà: Disse il Signore ad Adamo: mangia pure di qualunque albero del paradiso, ma dell’albero della scienza del bene e del male non ne mangiare. Adamo poteva dunque mangiare di qualunque albero del paradiso, perché fino a quando non contravvenne all’obbedienza non peccò. Mangia infatti della scienza del bene colui che si appropria la sua volontà e si esalta per i beni che il Signore dice ed opera in lui; e così per suggestione del diavolo e per la trasgressione del comando, divenne per lui il pomo della scienza del male (FF 146-7).
L’appropriarsi della propria volontà è la radice del peccato originale e di ogni peccato.
La povertà esteriore è segno della povertà interiore, l’espropiarsi delle cose deve corrispondere a una decisione del cuore che si spoglia di tutto ciò che ci fa sentire padroni ed essere al di sopra degli altri. Nella Ammonizione VII si parla della espropriazione della scienza: E sono vivificati dallo spirito della Divina Scrittura coloro che ogni scienza, che sanno e desiderano sapere, non l’attribuiscono al proprio io carnale, ma la restituiscono con la parola e con l’esempio all’Altissimo Signore Dio, al quale appartiene ogni bene (FF 156).
Nella Regola non bollata S. Francesco si rivolge a coloro che fanno il bene o che esercitano un compito: li mette in guardia perché non si sentano padroni, capaci di operare il bene con le loro forze: …scongiuro, nella carità che è Dio, tutti i miei frati occupati nella predicazione, nell’orazione, nel lavoro, sia chierici che laici, che cerchino di umiliarsi in tutte le cose, di non gloriarsi, né godere tra sé, né esaltarsi dentro di sé delle buone parole e delle opere, anzi di nessun bene che Dio fa o dice e opera talvolta in loro e per mezzo di loro, secondo quello che dice il Signore: Non rallegratevi però in questo, che i demoni si sottomettono a voi (FF 46-47).
Ci si può illudere di essere spirituali, progrediti nel cammino interiore. C’è però qualcosa che può farci aprire gli occhi: Ci sono molti che, applicandosi insistentemente a preghiere e occupazioni, fanno molte astinenze e mortificazioni corporali, ma per una sola parola, che sembri ingiuria verso la loro persona, o per qualche cosa che venga loro tolta, scandalizzati, subito si irritano. Questi non sono poveri di spirito poiché chi è veramente povero in spirito odia se stesso e ama quelli che lo percuotono sulla guancia (FF 163).
La povertà anima il nostro rapporto con Dio: prima di tutto ci pone in una condizione di dipendenza totale e lieta verso Dio Altissimo e Onnipotente; inoltre ci pone in un atteggiamento di restituzione dei beni innumerevoli che Dio sparge con abbondanza su tutti noi: E restituiamo al Signore Dio altissimo e sommo tutti i beni e riconosciamo che tutti i beni sono suoi e di tutti rendiamo grazie a lui, dal quale procede ogni bene (FF 49).
Troviamo in questo atteggiamento il fondamento del suo amore per il creato e la ispirazione profonda del Cantico di Frate Sole.
La povertà di S. Francesco indica anche una chiara scelta sociale: S. Francesco esce dalla città e va verso coloro che sono esclusi, che non hanno diritti, verso gli ultimi, verso i lebbrosi. Esorta i suoi confratelli: E devono essere lieti quando vivono tra persone di poco conto e disprezzate, tra poveri e deboli, infermi e lebbrosi e tra i mendicanti lungo la strada (FF 30).
Sembra quanto mai indovinata la definizione che lungo i secoli si è data a S. Francesco: Francesco povero ed umile!

p. Lorenzo Di Giuseppe

 

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Uno studio che sottolinea la modernità della visione francescana del mercato che, ben prima dell’etica protestante di Weber, considerava la ricchezza individuale una componente fondamentale del bene comune. L’analisi della ricchezza dei laici chiarisce il modo in cui i cristiani devono fare un uso appropriato dei beni terreni. Per questo producono scritti sulla circolazione del denaro e sulle regole del mercato, distinguendo tra investimento sociale della ricchezza e accumulazione improduttiva. La figura del mercante operoso è positiva nella misura in cui contribuisce alla crescita della “felicità cittadina”, mentre la ricchezza del proprietario terriero che si limita ad accumulare beni appare sterile e negativa.