Faenza, 3-5 gennaio 2019
A cura della Redazione
La tradizionale Scuola di Pace d’inizio d’anno ha avuto luogo a Faenza dal 3 al 5 gennaio 2019, ospitata dalla Diocesi di Faenza-Modigliana, che ha cordialmente collaborato all’evento in ogni sua fase.
Ha aperto i lavori Argia Passoni, presidente FFFJ, che ha ricordato come sia significativo l’evento della Scuola di Pace a Faenza, la città che ha visto ancora nel 1200 la coraggiosa presa di posizione dei penitenti francescani rispetto al portare armi. Il loro rifiuto al portare armi per la professione della loro regola, attestata dai documenti pontifici a loro difesa, aprì la strada al fermare momentaneamente la guerra nella loro città, ma soprattutto ad una ben più estesa azione di obiezione di coscienza ante litteram che portò ad impegnativi servizi alternativi da parte dei penitenti rispetto ai comuni, da cui venne una peculiare testimonianza di responsabilità per la pace ed il bene comune della civitas. Particolarmente preziosa poi l’opportunità della Scuola di Pace di interagire sul tema delMessaggio oggetto dell’incontro con il contesto diocesano di Faenza, dove con cura e lungimiranza ha preso il via negli ultimi anni un vero e proprio laboratorio innovativo di formazione sociale e politica.
La prima giornata, 3 gennaio, ha inteso dare spazio all’ascolto dei giovani sulle loro ricerche ed aspettative in ordine all’impegno per la pace. La prima testimonianza ha offerto uno spaccato della situazione africana a partire dal lavoro di servizio alla popolazione attraverso i programmi Unesco, in particolare per la formazione delle donne e dei bambini, di una giovane piacentina Gaia Paradiso che ha posto davanti ai nostri occhi l’opacità terribile di conflitti permanenti con situazioni devastanti che vanno ad incidere in maniera ancora più drammatica sui soggetti più fragili (basti pensare agli stupri come arma di guerra) e l’avanzata di neocolonialismi assieme all’inquinamento della corruzione.
Al tempo stesso ci ha fatto intravedere spiragli di luce in alcuni paesi dell’Africa (es. Kenia e Rwanda) dove comincia a muovere i primi passi la prospettiva di un rinascimento africano che propone l’unità come forte valore culturale, lo sviluppo con la persona al centro, le persone africane quale vero potenziale. A partire dalle motivazioni che l’hanno portata al servizio – “il Vangelo non ci lascia una pace quieta” –, e sentendo la vita come l’arte dell’incontro, la giovane Ufficiale Unesco per l’Africa dell’Est ha evidenziato come abbia sentito forte nella sua esperienza africana la bellezza di crescere come comunità e come sia la fede ad unire le persone. “Fede e cultura sono le strade da percorrere”. E ha reso evidente come la complessità dell’Africa richieda tutta la nostra attenzione, un’attenzione importante anche per la situazione in movimento in cui per tutti si giocano percorsi di umanizzazione o di disumanizzazione.
Di peculiare interesse poi la testimonianza dei giovani “sinodali” faentini che ci hanno presentato l’esperienza di quel laboratorio di ecclesialità messo in atto nella Diocesi proprio puntando a rendere protagonisti i giovani, dando il via tre anni fa alla Scuola di formazione per giovani “A gonfie vele”. A partire dalle esigenze maturate in loro di divenire più consapevoli dei problemi riguardanti la politica, la Scuola ha dato sistematicità alla conoscenza nel primo anno attraverso temi scelti dalla Dottrina Sociale della Chiesa, che ha fatto comprendere quale luce sia la DSC (illustre sconosciuta per i più), nel secondo anno dedicando l’attenzione all’Europa e nel terzo alla comprensione di cosa significa gestire il territorio. Il bilancio fatto dai giovani – ha riferito il coordinatore Riccardo Drei – è stato innanzitutto una presa di coscienza dei propri limiti (scarsa costanza dei giovani e il non riuscire a muoversi insieme) ma anche la presa di coscienza di punti di forza: l’avere approfondito temi complessi ed attualissimi e l’aver scoperto che ci si può attivare come cristiani anche in campo sociale e politico.
La seconda esperienza di questo “laboratorio ecclesiale”, proposta da due giovani sinodali coordinatori di pastorale giovanile, è stata l’esperienza del “Sinodo dei giovani” dove i giovani di Faenza-Modigliana sono i primi protagonisti proprio per poter far emergere la pregnanza di futuro che è in loro, ma vengono coinvolti anche gli adulti “per avere una comunità ecclesiale che va in uscita con tutte le sue componenti” (come precisato dal Vescovo Toso). Quattro i temi proposti all’attenzione del Sinodo: società, missione, chiesa, vocazione. La prima testimonianza di Lorenzo Lentini ha riguardato la società, dove il problema centrale è risultato essere la relazione (una società indignata dove solo il 2% dei giovani ha messo la politica tra i propri interessi). La seconda testimonianza proposta da Matteo Linguerri ha riguardato il tema della chiesa, un ambito che si sta rivelando di grande interesse e che riguarda tutti (giovani e ragazzi, adulti, laici, sacerdoti e consacrati), dove il tema relazionale è più che mai centrale. Molte le proposte in cammino per questi due ambiti: riattivare la catechesi per adulti sotto forma di formazione all’educazione, ripensare agli itinerari catechistici, condividendo, collaborando come parte viva di Chiesa. Determinante oggi nel mondo cattolico è proprio la coltivazione della condivisione e dell’unità: per questa strada passa il futuro!
La seconda giornata venerdì 4 gennaio, a partire dalla relazione di S.E. Mons. Mario Toso, è stata incentrata sull’approfondimento del Messaggio di Papa Francesco per la 52ª Giornata Mondiale della Pace, con il suo chiaro invito a non risparmiarsi sul fronte dell’evangelizzazione della politica. La politica ha bisogno di redenzione, tanto più così frammentata, destrutturata e ridotta ad una specie di gestione dell’esistente. Per poter essere a servizio della pace e del bene comune, c’è bisogno di un umano aperto alla trascendenza: la politica ha bisogno di essere curata dalla vita di Dio e dal suo Amore, un Amore che non è cieco ma pieno di verità e di luce – ha evidenziato Mons. Toso. Siamo convocati a questo dal nostro essere cristiani perché Cristo è venuto a redimere ogni dimensione, compresa la dimensione sociale e politica. “Ma siamo davvero convinti che la politica ha bisogno di redenzione?” è stato il primo punto dell’esame di coscienza proposto dal relatore. “E se sì, occorre pensare ad essere presenti in essa”. La buona politica è al servizio del bene comune, “limpegno a realizzare insieme il bene della città, della nazione, della famiglia umana”. La buona politica è azione comunitaria: richiede di collaborare con il concorso di tutti mediante un dialogo pubblico. “Ma dove educhiamo come Chiesa a servire il bene comune?” è stato il secondo punto di esame di coscienza. Perché la politica sia buona, cittadini e rappresentanti devono essere educati a servire insieme il bene comune. È dunque necessaria una crescita della coscienza sociale e civile dell’intera società: e qui non può mancare l’apporto cristiano. Per fare questo occorre dare spessore ad una fede adulta che animi tutta la vita; occorrono percorsi formativi alla luce della DSC e si richiede di rimettere al centro l’evangelizzazione del sociale. Le nostre comunità sono chiamate a diventare luoghi di discernimento per poter trovare i modi e le vie per non far mancare il lievito evangelico alla costruzione della polis, interagendo con tutta la società in una mobilitazione perseverante rispetto ai vizi della politica, primo fra tutti la corruzione. Mons. Toso ha posto via via in presenza la necessità di formulare un nuovo pensiero, perché se non c’è un solido fondamento morale, non c’è possibilità di convivenza. C’è qui un nodo centrale: “quale fondamento etico per i diritti”?; “quale fondamento etico per il bene comune?” (cf. si rimanda alla relazione integrale pubblicata nelle pagine a seguire).
Nel pomeriggio l’interessante riflessione dal punto di vista dell’esperienza di un politico, il Senatore Edoardo Patriarca, ha messo in evidenza il disagio per una politica frammentata, resa gestione amministrativa senza visione lungimirante, con modalità che portano al rischio di destrutturazione della democrazia. La democrazia si fonda sulla persona e sulla comunità. E questo, a fronte di un individualismo sfrenato di persone e di gruppi, è da riproporre a tutto campo. La stessa idea della carta costituzionale è costruita dentro questo percorso.
La democrazia ha bisogno di essere efficiente ma riconosce che la Repubblica è fatta dai cittadini, dalle imprese, dalle famiglie, dalla pubblica amministrazione: tutti chiamati a partecipare al bene comune della famiglia umana. La prospettiva di una comunità non può che essere quella di una storia aperta e accogliente. Oggi occorre che l’associazionismo si senta nuovamente anche un soggetto promotore di cultura politica – ha sottolineato Patriarca –, dandosi strategie per recuperare la politica alle parole che abbiamo a cuore. E accanto alla formazione teorica sui principi e valori, occorre la concretezza della pratica, sviluppando il senso della comunità. Occorre aiutare i giovani a vivere una socialità matura e consapevole, coltivando una passione civile per il bene comune a partire dai più deboli. È necessario riscoprire l’importanza del discernimento alimentandosi alla preziosità della DSC; riscoprire i luoghi del discernimento comunitario, luoghi sistematici di formazione, di crescita del noi, per interagire con tutta la società.
L’ultima giornata, 5 gennaio, ha focalizzato l’attenzione sul tema “Diritti umani, bene comune e pace”, proposto da p. Martín Carbajo Núñez ofm (docente di Teologia morale, Pontificia Università Antonianum). La pace è pienezza di vita e di rapporti e richiede la coltivazione delle quattro relazioni fondamentali: con Dio, con gli altri, con noi stessi, con il creato – ha esordito il relatore –. Quando parliamo di bene comune, non possiamo più pensare al bene comune dello stato, ma al bene comune universale e non solo: dobbiamo ormai pensare al bene comune cosmico, secondo il paradigma relazionale (cf. Laudato Si’) perché tutto è collegato, tutto è comunione-comunicazione. I diritti umani appartengono all’uomo in quanto uomo, alla sua propria natura e dignità, al suo valore inalienabile: sono categorie di diritto positivo ma anche categorie etiche, base per il bene comune e cardini della pace, in quanto esprimono valori basilari della persona e della convivenza.
Nell’ancoraggio alla dimensione costitutiva dell’uomo i diritti umani prendono forza perché rispettare e valorizzare lo statuto creaturale dell’uomo, quello di essere dono, mi dà la possibilità di realizzarmi nel dono e nello stesso tempo rispettare l’altro non per un obbligo esterno ma per il fatto che tu sei mio fratello. Per l’importante e articolata relazione, che attraverso i passaggi dalla prima, alla seconda e alla terza generazione dei diritti, ha portato in presenza il lungo cammino dei diritti umani in un excursus accompagnato dalla riflessione del Magistero, rimandiamo alla relazione pubblicata a seguire, con alcune sottolineature di attenzione all’intervento di P. Carbajo evidenziate a conclusione da Mons. Toso. Il prendere in considerazione il percorso dei diritti fa meglio comprendere la problematicità del fondamento dei diritti. Oggi il principale problema – ha ribadito il Vescovo – è l’individualismo libertario, originato da una assolutizzazione dell’io, mentre è il tu che svela a noi la nostra identità. È la visione antropologica che determina il senso dei diritti.
I diritti senza corrispondenti doveri finiscono per essere pretese assolute, illimitate. La democrazia si fonda su uno stato di diritto, che però non è la fonte unica e ultima del diritto. I diritti hanno fondamento nella persona, che è un soggetto pre-statuale. Lo stato non ha il compito di riconoscere i diritti ma di tutelare i diritti, promuovendoli attraverso ordinamenti giuridici per renderli disponibili e fruibili. Altrimenti non sono esigibili, come non lo sono ancora i diritti ambientali poiché non esiste un’autorità politica mondiale vera e propria che li codifichi. Da qui un profondo appello ad una sistematica opera educativa perché possano essere rimossi gli ostacoli che ancora perdurano e possa esserci la vigilanza necessaria ad ogni attacco rispetto alla dignità umana, al bene comune e alla pace a cui i diritti umani devono servire.
Gli importanti contenuti, offerti nella interrelazione tra i vari interventi e fatti oggetto di un ampio dibattito, hanno ulteriormente motivato ad una profonda assunzione di responsabilità come singoli, come fraternità, come scuola di pace da viversi come un cantiere aperto nei nostri territori, nelle nostre rispettive realtà per rispondere del bene grande della fede nel servizio al bene comune dell’unica famiglia umana, quel servizio al bene comune che va riconsegnato come finalità alla politica e sua vocazione.
Particolarmente feconda la collaborazione con la Diocesi di Faenza che ha accolto la Scuola di Pace con grande cura, a partire dall’accompagnamento in tutte le giornate da parte di S.E.Mons. Toso, alla fraterna ospitalità della Casa del Clero, allo straordinario intenso percorso con il quale la Prof.ssa Luisa Renzi ci ha fatto assaporare nello spazio di due ore la bellezza dei due “gioielli” di Faenza, il Museo diocesano e il Duomo, facendo nel contempo intravedere tratti salienti della storia della chiesa di Faenza e della storia della città. A conclusione dunque il nostro grazie di cuore assieme al nostro arrivederci a Faenza.