Lucia Baldo

La cultura dell’effimero
Oggi si parla spesso di libertà intesa come fare quello che si vuole. Sartre, nel suo esistenzialismo, ha teorizzato l’uomo senza regole: è il baro che bara le regole nel gioco della vita. Il filosofo francese ha dato voce alla mentalità del nostro tempo che ha preso congedo dal senso dell’essere e che si rivela nella cultura dell’effimero (etimologicamente “effimero” significa “di breve durata”). Tale cultura non dà valore al succedersi degli eventi nel tempo e non considera la vita come un cammino verso una meta, ma vive in una totale assenza di senso. Il tempo non è quello dei campi in cui si vede la crescita delle creature. Tutto è provvisorio e fuggevole. Nel susseguirsi dell’effimero il presente è ritenuto più progredito del passato perché viene dopo il passato. “Non rimane nulla; si dimenticano, come nonvalore, le conquiste di ieri, perché l’effimero ha proprio la caratteristica di passare continuamente, senza lasciare tracce che segnano il sentiero della vita” (V. C. Bigi, Il linguaggio dell’amore, Edizioni Francescane 1989, p. 2).

tracce-tempoLa vita diventa un labirinto in cui si sbanda da un’esperienza all’altra nella disperazione di non trovare una via d’uscita. Anche gli slogans pubblicitari rafforzano potentemente questa cultura con la forza persuasiva dei media che inducono a pensare al presente assoluto, ci invitano a cogliere l’attimo che fugge, le occasioni del momento, perché tutto ciò che è interessante si compie nell’oggi. Questo linguaggio porta al disimpegno, al rifiuto del sacrificio per costruire un domani migliore. Non si avverte l’importanza dell’investimento di tempo e di energie per il domani così ben espresso dal gesto antico del seminatore che getta il seme nella terra anche se ha freddo e fame, perché pensa al raccolto dell’estate. Si è nell’effimero quando, da giovani, si pensa di non essere ancora cresciuti abbastanza per assumersi certe responsabilità e ci si attarda in un’adolescenza senza fine rimandando le scelte importanti della vita a un futuro che pare non arrivare mai. Ma in questo modo si diventa come mosche che vanno a sbattere contro il vetro del mondo dorato dei consumi, perché nessuno ci insegna a sognare quello che sta oltre la vetrina e ad aggirare gli ostacoli che inducono ad appiattire sul presente e sulle gratificazioni immediate, l’energia generazionale di cui si è portatori.

Il valore del desiderio
Quando si riduce tutto al presente, manca la dimensione futura che rende possibile la speranza. Quando non si pensa al futuro si vive espropriati del desiderio inteso nel suo significato originario: la parola “de-siderio” indica qualcosa che viene “dalle stelle”. Invece comunemente si pensa che il desiderio riguardi un oggetto da avere, un viaggio da fare, un promozione, un’esperienza qualunque… Di questo desiderio surclassato si nutrono la pubblicità, le agenzie turistiche, le trasmissioni televisive… Il desiderio, inteso in un significato profondo, ha una dimensione personale: è la capacità che la persona nutre di pensarsi in un futuro diverso dall’oggi a seguito della realizzazione di un progetto che abbia le caratteristiche del possibile. È un processo dell’immaginazione che ha bisogno della percezione del tempo. Senza futuro non ci sono desideri; invece quanto più il futuro si allarga, fino all’eterno, tanto più i desideri si evolvono e vanno lontano. La tendenza ad una vita iperconcreta, tesa al subito, all’ora e qui, vanifica il processo del desiderio a vantaggio della magia che trasforma subito e che non promuove certamente la progettualità, caso mai spinge alla passività: si cerca la circostanza favorevole, la fortuna che ci “cambi la vita” e si preferisce affidarsi al caso, anziché rimboccarsi le maniche e darsi da fare per cambiare, accettando la fatica e il sacrificio.

Le difficoltà non sono vissute come occasioni per rivedere l’itinerario del nostro essere, ma come macigni legati al collo. Senza il vero desiderio tutto si spegne ed affiorano molte parola che dominano questo momento storico: eutanasia (la sofferenza è negativa e insopportabile), droga (la debolezza diventa subito forza), disonestà (non pagare i debiti e le tasse dà subito dei vantaggi), camaleontismo (mutare a seconda dell’aria che tira), sterilità sociale (i bambini costano fatica). Invece il desiderio nasce proprio da una mancanza, da un momento di solitudine e di silenzio. Dice lo psicanalista Claudio Risé che il desiderio è come un arco: se non lo tendi non può scoccare la freccia. Il senso è come il bersaglio a cui mirare per scagliare la freccia tesa della nostra vita. Abbiamo bisogno di scoprire la meraviglia di fronte all’originalità dell’essere umano e scoprire il desiderio che è essenziale per vivere sviluppando la nostra personalità e perseguendo un senso, un obiettivo per cui impegnarsi e che si sviluppa dal passato al presente, al futuro.