Educare ai linguaggi dei mezzi di comunicazione è l’invito espresso al n. 51 degli Orientamenti pastorali dell’episcopato italiano per il 2010-2020. Ne abbiamo parlato con padre Antonio Spadaro, redattore de La Civiltà Cattolica e autore di “Web 2.0. Reti di relazione” (Paoline)
In che modo un animatore della comunicazione e della cultura può educare all’uso responsabile dei media?
Prima di provare a immaginare strategie pedagogiche efficaci, è necessario abituarsi a comprendere che la comunicazione non è un fatto aggiunto alla vita ordinaria: è il nostro mondo a essere ormai un ambiente comunicativo. I vescovi dicono che i processi mediatici arrivano a dare forma alla realtà stessa, intervenendo sull’esperienza delle persone e sulla percezione di noi stessi, degli altri e del mondo. I media non sono affatto semplici “strumenti”: hanno generato un ambiente culturale che determina uno stile di pensiero e crea nuovi territori e nuove forme di educazione. Questo spazio contribuisce a definire anche un modo nuovo di stimolare le intelligenze e di stringere le relazioni.
Cosa sta cambiando?
Gli stessi media sono sempre più convergenti: i contenuti della comunicazione ricevono una distribuzione sempre più capillare e pervasiva in vari formati e su differenti piattaforme. Si spalanca così un flusso costante e aperto di processi comunicativi che richiedono l’educazione a un buon “ambientamento” più che l’apprendimento di tecniche.
La famiglia, la scuola e la parrocchia sono chiamate a dare nuove risposte. Quale approccio potrebbe essere seguito sotto il profilo educativo alla generazione 2.0?
Internet non è un ambiente separato perché la Rete sta diventando parte della vita quotidiana. La società sta esprimendo una forte tensione alla rete di relazioni. Essere responsabili non significa quindi solamente usare “con moderazione” la Rete, ma uso intelligente e pienamente integrato con la propria vita ordinaria. La sfida, dunque, non è su come “usare” bene Internet ma su come “vivere” bene al tempo della Rete. L’approccio educativo migliore è dunque puntare a educare le persone a come si fa oggi a conoscere la realtà che ci circonda e a stringere relazioni significative, anche grazie ai social network e alla convergenza dei media.
Cosa c’entra la Chiesa in tutto questo?
Certamente questa forma di impegno educativo sul versante della nuova cultura mediatica ha a che fare con la missione della Chiesa perché ha a che fare direttamente con la vita dell’uomo. (da Avvenire, 22-12-2010)
Vincenzo Grienti