Maria Rosaria Restivo

img60 (1)È l’immagine di un padre che, su una spiaggia libica, stringe a sé il figlioletto morto lo sguardo di ciò che resta dell’Europa. Uno sguardo disumano. Visione cieca, priva di orizzonti, incapace di sognare un futuro. Incapace di guardare al Bene.
I “valori” della nostra civiltà di cui tante volte ci siamo retoricamente fregiati non costituiscono alcuno stabile fondamento, non tracciano alcuna salda prospettiva per il nostro agire, sono ormai solo fragili idee regolative, sempre in pericolo e sul punto di essere contraddette alla radice dalle nostre azioni quotidiane.
Il male si diffonde nelle nostre vite, diventando qualcosa di quotidiano. Non fa più scandalo. Che vi sia chi soffre atrocemente non significa nulla per la nostra coscienza, basta tenerlo lontano, non vederlo, che non anneghi nei pressi delle nostre spiagge, basta farne un potenziale nemico, qualcuno da cui, ragionevolmente, doversi difendere.
Siamo morti dentro, sterili, apatici, indifferenti a qualsiasi cosa non appartenga individualmente a noi ed al nostro personalissimo interesse. Una sorta di aggressiva indifferenza si è diffusa e si cela – neanche tanto – dietro gli insulti spregiudicati demandati ad una tastiera, i quotidiani attacchi verbali o la comunicazione sempre più miserevole.
L’indifferenza, però, è colpevole quanto la violenza stessa perché è apatia morale, è il voltarsi dall’altra parte, sia che si tratti di razzismo o di qualsiasi altro orrore del mondo. È grido inascoltato di chi, anche in questo momento, dai barconi nel Mediterraneo chiede una nuova vita e un futuro, mentre l’Europa rimane sorda e indifferente, chiusa in sé stessa e nella propria miseria morale, nel fallimento del suo mancato progetto.
È grido inascoltato della supplica di due genitori che chiedono di poter far vivere il proprio figlioletto malato, finché un alito di vita rimane in lui, a dispetto della perversa efficienza dei protocolli sanitari.
Un’Europa in cui si lascia dilagare l’indifferenza per il male, in cui manca ogni volontà politica di contrastarne la mascherata violenza, tradisce il giuramento che ne aveva unito le nazioni dopo la Guerra.
È tragicamente miope sui propri stessi destini, all’inseguimento di compromessi a brevissimo termine tra i propri stati e staterelli che si presumono sovrani, mentre il mondo si ricostruisce su equilibri tra grandi spazi imperiali, per i quali quei valori, di cui avrebbe dovuto essere operante testimonianza, non contano più neppure nelle retoriche politiche. È un’Europa che dopo avere per secoli trasgredito con ogni mezzo ogni confine e fatto esodo in tutti i continenti, si richiude in sé, si difende da quegli stessi che mai nella sua storia ha lasciato in pace. L’esodo attraverso ilMediterraneo, infatti, non è solo il risultato delle miserie attuali, ma è conseguenza di un grande crimine nella storia dell’umanità: un delitto perpetrato dalle economie occidentali, e che ora continua con il concorso di Pechino e della Cina.
Un crimine che ha causato oltre 250 milioni di morti (neri); per intenderci, il doppio dei morti (bianchi) nelle due guerre mondiali. Storia e giustizia, non solo l’umana solidarietà, dovrebbero motivare le nostre coscienze perché una sola parola sintetizza la tragedia africana: sfruttamento. La razzia incessante delle risorse umane, minerarie e agricole iniziata nel XV secolo non si è mai fermata. A tutt’oggi i Paesi europei che erigono muri e fili spinati contro gli immigrati africani continuano a depredare le materie prime dell’Africa. Interessano non solo oro e petrolio ma soprattutto i minerali rari: uranio, coltano, niobium, tantalum e casserite, necessari nell’elettronica dei cellulari e nella missilistica. Una catena d’interessi stranieri mantiene il continente nella disperazione mentre gli fornisce le armi per alimentare le guerre interne, ed intanto i parlamenti e le amministrazioni marciscono nella corruzione; strade, condotte idriche, energia elettrica e ferrovie sono del tutto inesistenti.
Considerando le nostre responsabilità, può davvero lasciarci indifferenti quanto succede nel Mediterraneo? Possiamo davvero stare tranquilli e ignorare i drammi che si svolgono sotto i nostri occhi? Possiamo essere muti e sordi di fronte al dramma di tanti poveri? Accanto a noi c’è gente che soffre troppo, che fa troppa fatica, che paga a troppo caro prezzo una speranza di libertà e di benessere cui ha diritto di aspirare.
Libera nos a nihilo, liberaci dal nulla che avanza, dal centro vuoto intorno al quale si arrotola la fame di avere e di fare che spinge al desiderio, sempre insoddisfatto, della totalità impossibile. Abbiamo perso il senso di ciò che conta veramente. Stiamo vivendo completamente rivolti verso noi stessi un oggi inconsapevole, verso un domani che sta precipitando sull’orlo del nulla. Viviamo sempre nel tormento interiore perché per avere tutto rinunciamo alla verità, alla dignità, alla conoscenza, alla pietà per il miraggio di una felicità che illude e delude.
È il momento di risvegliarci dal torpore del becero qualunquismo e tornare a lavorare ad un nuovo e quanto mai necessario Umanesimo, che riponga l’attenzione sulla persona e sui veri valori dell’uomo.
La percezione del bello nella luminosità dell’ordine, il sole della verità che aiuta a superare i deliri notturni della menzogna, il canto corale dell’Amore che riempie il vuoto della solitudine, sono le gocce di felicità possibili a chi lancia lo sguardo verso il culmine della vita, redento dalla paura del nulla, dall’arsura del possesso, dall’inganno dell’apparenza, dalla fatuità dell’effimero e dalla schiavitù dell’egoismo.
Il cuore dell’uomo non è mai cambiato, i desideri e le domande sono sempre le stesse, l’uomo nasce come mendicante della felicità, del bello, del vero, del giusto, dell’amore. Il nulla che ci circonda, che ci viene sbattuto in faccia ogni giorno e che cerca in tutti i modi di far tacere il cuore, non può reggere il confronto con la verità di Dio.
Ecco allora la necessità di punti fermi, di punti di riferimento che continuamente ridicano quello che i cuori di tutti gli uomini desiderano, che ridicano che la vita è l’avventura della libertà e della responsabilità nei confronti del proprio cuore e dei fratelli, un’avventura che si realizza aderendo al progetto d’amore del Creatore. Dobbiamo rinnovare l’esperienza di un incontro che spalanca alle dimensioni vere della vita, che rimetta al centro ciò che veramente è essenziale per dare un senso all’esistenza: il dono di sé, la capacità di mettere l’Amore sopra ogni cosa, la voglia di scegliere il Bene e di compierlo in ogni occasione, la gentilezza, la cura. Ci hanno voluto far credere che mettere il nostro io al centro di ogni cosa avrebbe realizzato la nostra persona ed invece ci ha resi soltanto più soli, più arrabbiati, più infelici.
Scrivo pensando ai nostri ragazzi ed alla bruttezza di cui li stiamo circondando. Stiamo togliendo loro la Speranza privandoli del suo orizzonte alto ed infinito, quando invece dovremmo insegnargli la Bellezza, la Verità dell’esistenza che si realizza pienamente solo nell’Amore incondizionato.
Dovremmo dirgli, con i fatti e non a parole, che la vita è il dono più prezioso con cui Dio ci rende partecipi del progetto della creazione. A tutti loro, al mondo intero ed a mia figlia, che porto ancora nel grembo, auguro di avere gli occhi limpidi per riconoscere il Bene e la forza del cuore per poter ricominciare a sceglierlo ed a perseguirlo. Possiamo noi, nell’oggi, ritornare ad essere veri testimoni di Speranza.