La strofa del perdono
“Laudato sie, mi Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore et sostengo infirmitate et tribulatione. Beati quelli kel sosterranno in pace”, dice S. Francesco nel Cantico delle creature.
Il Santo di Assisi compose la strofa del “perdono” nel luglio 1226 con l’intento di rappacificare il podestà e il vescovo di Assisi che erano nemici tra loro, a tal punto che il vescovo scomunicò il podestà il quale per vendicarsi ordinò ai cittadini che “nessuno vendesse al vescovo o comprasse da lui alcunché o facesse dei contratti con lui” (FF 1616). A sentire queste notizie, S. Francesco, malato com’era, ebbe pietà di loro, non solo perché si odiavano, ma soprattutto perché non c’era nessuno che intervenisse per portare la pace: “Grande vergogna è per noi, servi di Dio, che il vescovo e il podestà si odino talmente l’un l’altro, e nessuno si prenda pena di rimetterli in pace e concordia” (ivi). Compose allora la strofa del perdono. Mandò un frate a preparare l’incontro tra i due contendenti, e altri due frati a cantare dinanzi a loro la strofa del perdono. E la forza di quelle parole fu tale che ne sgorgò subito la pace!

Portare la pace L’insegnamento che possiamo trarre da questo brano delle Fonti Francescane è non solo di evitare divisioni e guerre tra noi, ma soprattutto di intervenire per portare la pace quando questa è compromessa, anche indipendentemente dalla nostra volontà.
Perché devo intervenire a portare la pace a tutti i costi? Perché Cristo si è incarnato. L’Eterno nella sua misericordia è sceso verso colui che ha peccato contro di Lui. Prendendo esempio da Cristo S. Francesco andava incontro agli uomini senza giudicare mai nessuno. E si addolorava quando vedeva indifferenza e noncuranza verso gli altri.
Anche noi tante volte preferiamo voltarci dall’altra parte per non vedere e ci costruiamo una pace intesa come un quieto vivere, un farci gli affari nostri, mentre in realtà è una forma di inerzia.
Il Vangelo invece ci insegna ad assumere la nostra responsabilità e ad instaurare con gli uomini un vincolo d’amore che è l’unica possibilità per compiere un cammino di pace con Dio, con i fratelli e con le creature.

Il primato dell’amore che salva
L’unico fondamento possibile per la nostra salvezza consiste nel riproporre in noi stessi quegli esemplari atti di misericordia compiuti da Cristo, poiché essi sono l’unica strada possibile per riconciliarci con Dio e con i fratelli, in una fraternità cosmica che accolga nel suo abbraccio tutta l’umanità insieme a tutte le creature in un cammino di pace e di riconciliazione che ci renderà sempre più simili tra noi nella misura in cui saremo sempre più simili a Cristo.
Alla cultura che pone il primato del dominio sull’altro, sulla natura, il cristiano autentico contrappone il primato dell’amore che salva.
S. Francesco disapprovava la prepotenza dei superbi a danno dei più piccoli e deboli, anche quando questo accadeva tra gli animali. Il Celano racconta che tra i piccoli di pettirosso che avevano ottenuto ospitalità dai frati, poiché erano stati abbandonati dai genitori, ce n’era uno che il Santo chiamò “il perturbatore della pace fraterna” (FF 633), il quale divenne talmente ingordo che scacciava i fratellini dal cibo. Per lui S. Francesco previde una brutta morte che si verificò di lì a poco.
La vita di S. Francesco è un dono d’amore totale di sé. Egli era sempre mosso dall’amore, questa forza enorme e misteriosa che salva. Si rivolgeva a tutti con tenerezza e affetto, anche agli animali e alle piante che gli corrispondevano (cf FF 424). Camminava lungo tutte le strade per incontrare gli uomini e aiutarli a riporre le spade, a superare il mito della crociata, del muro contro muro, per trasformare una società di armi in una società di pace, come egli esprimeva nel saluto suggeritogli dal Signore: “Il Signore ti dia pace”.
E in prossimità della morte disse ai suoi frati, e dice anche a noi oggi: “Io ho fatto la mia parte; la vostra, Cristo ve la insegni” (FF1239).

Lucia Baldo