La non violenza: stile di una politica per la pace
Bologna,31 dicembre 2016

img117Il 31 dicembre 2016 a Bologna si è svolta la XLIX Marcia Nazionale per la Pace. L’Arcivescovo S.E. Mons. Matteo Maria Zuppi l’ha definita “maratona” della Pace perché i partecipanti, giunti da tutta l’Italia, hanno formato un corteo che, percorrendo le vie della città di Bologna, ha coinvolto un numero crescente di persone che si sono aggregate ad esso passando di tappa in tappa lungo il percorso prestabilito. Il ritrovarsi insieme come popolo della Pace per camminare uniti, sta a indicare quanto sia indispensabile, per la realizzazione della Pace, uscire dall’individualismo che tanto affligge il nostro tempo, perché, come ha detto l’Arcivescovo, la Pace “non può esistere senza gli altri”, riconosciuti come fratelli, avendo di mira il loro bene.
I partecipanti si sono radunati ai Giardini Margherita, prima tappa della Marcia, dove l’Arcivescovo, il sindaco Virginio Merola, Morgantini hanno porto il loro saluto in un clima festoso e Mons. Giovanni Ricchiuti, Arcivescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti, ha auspicato che “la politica sappia accogliere le istanze che provengono dal popolo della pace”.
Dai Giardini Margherita i partecipanti si sono diretti verso piazza S. Domenico dove si è svolto il momento ecumenico in cui i rappresentanti delle religioni hanno letto insieme l’Appello alla Pace scritto ad Assisi, al quale ha partecipato anche Papa Francesco. Dopo alcune testimonianze, ricordiamo quella appassionata di S.E. Mons. Filippo Santoro, Arcivescovo di Taranto, presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, il quale ha lanciato un appello alle istituzioni perché educhino le nuove generazioni alla non violenza.
Poi il corteo è confluito nella vicina basilica di S. Petronio dove si è celebrato il Te Deum in segno di ringraziamento al Signore per l’anno trascorso e per chiedere il dono della pace.
In questa terza tappa della Marcia, Mons. Zuppi ha ricordato il Messaggio della Pace di quest’anno in cui papa Francesco propone la non violenza come stile caratteristico delle nostre relazioni, delle nostre decisioni, delle nostre azioni, della politica in tutte le sue forme.
L’Arcivescovo ha manifestato la sua gioia nell’accogliere la Marcia della Pace in un luogo, come la basilica di S. Petronio, che unisce non solo la Chiesa, ma tutta la città, casa comune.
Egli ha ricordato che le tradizioni più antiche di Bologna sono state da sempre l’accoglienza e il dialogo necessari per affrontare le sfide complesse che oggi ci vengono proposte. Ha poi aggiunto che è necessario impegnarsi per la pace di fronte al pericolo della sopravvivenza degli egoismi nei rapporti tra le nazioni, al pericolo delle violenze a cui si può essere trascinati per disperazione nel non vedere rispettato il diritto alla vita e alla dignità umana, al pericolo del ricorso ai “terribili armamenti sterminatori” di cui alcune potenze dispongono, al pericolo di credere che le controversie siano risolvibili solo con forze micidiali.
La violenza si manifesta nella guerra, nel terrorismo, nella criminalità, negli abusi, nella devastazione dell’ambiente. Ad essa il papa, nel Messaggio della Pace, propone di contrapporre la non violenza come stile di una politica per la pace.
Per essere non violenti l’Arcivescovo invita a non arrendersi di fronte al male e a combatterlo con l’amore “disarmando i cuori, la lingua dalle parole dure, le mani dalla violenza fisica e dall’inaccoglienza che ferisce anch’essa. Non si tratta di pie intenzioni in una dimensione intimistica, ma di una convinzione che ispira scelte e decisioni”.
Iniziata da noi la pace può diventare uno stile che si diffonde.
“La violenza è abominio, egoismo, imposizione. La non violenza è amore, solidarietà, è la sostanza del cristianesimo”, ha detto Mons. Luigi Bettazzi, Vescovo emerito di Ivrea, già presidente di Pax Christi Italia e International, portando il suo contributo in S. Petronio. Compito degli uomini di buona volontà, è “prevenire, attraverso la diplomazia, e non fare la guerra”. In particolare la non violenza dovrebbe essere la caratteristica del cristianesimo, ha affermato Mons. Bettazzi il quale ha indicato Maria come modello di una non violenza “contemplativa, attiva e profetica” per la quale sono di grande aiuto la Parola di Dio, la preghiera e il silenzio “per ritrovare al fondo della nostra coscienza l’ispirazione dello Spirito Santo”. A conclusione della sua testimonianza, Mons. Bettazzi ha sollecitato a chiedere a Maria “che ci faccia essere non violenti nella contemplazione, nell’azione e nella profezia”.img119
In serata al Paladozza si è tenuta una Tavola Rotonda alla presenza di millecinquecento persone. Tra gli altri, hanno reso una toccante testimonianza una famiglia di Aleppo, un palestinese, Renato Sacco coordinatore di Pax Christi e Paolo Beccegato vicedirettore Caritas. È così emerso un volto multiforme della Chiesa impegnata ad annunciare la pace e a operare per il ripudio di ogni guerra. “C’è un’interconnessione tra guerra e povertà, un circolo vizioso che trascina al ribasso intere nazioni”, ha detto Beccegato.
Quest’ultimo decennio ha visto una continua crescita dei profughi. Nonostante ciò viviamo “ovattati da falsità che non ci fanno vedere la sofferenza di questa gente”. Ma se c’è un legame tra povertà e guerra, è vero anche il contrario, cioè che “politiche non violente vanno verso la lotta alla povertà”. Il vicedirettore della Caritas si è poi soffermato sul legame tra guerra e ambiente, tra guerra e speculazioni finanziarie, con una finanza che specula anche sul cibo strumentalizzato per sconfiggere il nemico, cosicché tra le vittime della guerra non si contano i civili morti per fame.
Come ultima tappa della Marcia della Pace, nella basilica di S. Francesco è stata celebrata la S. Messa, durante la quale l’arcivescovo ha espresso sentimenti di gioia per questa intensa Giornata, “vera benedizione di Dio, perché l’uomo di pace è luminoso per sé e per gli altri”. La pace non viene da sé, ma va costruita scegliendo la non violenza per essere adottati da Dio a “figli della pace”, a “ministri della sua pace”. Senza ricorrere a frasi blande ed edulcorate che spesso si attribuiscono a chi sceglie di praticare la non violenza, Mons. Zuppi ha definito la pace “il nuovo martirio a cui oggi la Chiesa viene chiamata” e “la testimonianza di «un amore di più» delle paure, della giustizia stessa, dell’ipocrita contabilità del dare e avere”.
Ripetendo come un leit motiv che la pace è «un amore di più», il Presule l’ha contrapposta a un fare sonnacchioso e individualistico da cui occorre uscire per costruire una “politica di pace”. Per fare questo la preghiera può aiutare, perché “la preghiera ci sveglia, ci fa sentire il dolore di tanti”.
“Rifiutiamo – ha aggiunto l’Arcivescovo – di parlare di non violenza solo tra noi, per compiacerci. Siamo andati per strada, torniamo per strada, perché vogliamo che la pace disarmi le mani e i cuori violenti”. Le parole di Mons. Zuppi sono uno stimolo ad avere fiducia e a non abbatterci di fronte ai tanti episodi di violenza a cui assistiamo tutti i giorni, perché “la storia cambia, può cambiare! La storia deve cambiare, altrimenti non c’è futuro!”. E per operare il necessario cambiamento, serve la non violenza quale politica di pace.
img121“Maria è la prima donna non violenta, trafitta, non lo dimentichiamo, come tante donne, madri e mogli, da spade di incredibile violenza maschile”.
Modello dell’uomo di pace è il buon pastore che “non dorme e non sonnecchia, ma dà la sua vita per il gregge che è la ragione della sua vita”. I pastori sono uomini di pace perché stanno “all’aperto per incontrare, per capire, per stare assieme”. Sul loro esempio l’Arcivescovo ci sprona a “non addormentarci su divani”, ma a imitare Gesù che è rimasto non violento fino alla fine, perdonando i suoi persecutori e così, non preoccupandosi di salvare se stesso, ha salvato il mondo.
Come diceva Lercaro, la Chiesa non può essere neutrale di fronte al male, ma deve seguire “la via della profezia” per restituire valore alla politica difendendo la città degli uomini, la nostra casa comune e praticando la via delle beatitudini come prassi di rapporto tra le persone e tra i Paesi.

A cura della Redazione