Riportiamo alcune note dell’incontro promosso dalla Fraternità Francescana Frate Iacopa di Bologna presso la Parrocchia S. Maria Goretti, con la partecipazione del parroco Don Roberto Parisini, per riflettere sui capitoli 2 e 3 del Testo dell’anno “Siate misericordiosi come il Padre vostro” (Ed. Coop. Soc. Frate Jacopa, 2015).
“Misericordia, non buonismo o sentimentalismo” sono parole del Papa nel messaggio per la Giornata mondiale della Gioventù 2016 che mi hanno colpito perché spesso i cristiani vengono tacciati di buonismo, cioè di essere ipercomprensivi, eccessivamente tolleranti, pronti a giustificare tutto, a essere buoni ad ogni costo. È quindi necessario, per evitare confusioni, innanzitutto chiarire a noi stessi cos’è la misericordia, tenendo presente che l’uomo è a disagio nel parlare di misericordia, come scrisse papa Giovanni Paolo II nell’Enciclica “Dives in Misericordia”.
Forse per questo con il termine “buonismo” si denigra, si banalizza, si dà una connotazione negativa, dispregiativa a una realtà che infastidisce. La nostra mentalità si oppone, è a disagio a causa di un Dio misericordioso, quindi lo emargina, distoglie dal cuore dell’uomo l’idea stessa di misericordia perché di un Dio misericordioso non sa che farne anzi… L’ uomo si sente padrone, domina la terra e quindi non c’è spazio per la misericordia. Infatti il termine misericordia è quasi sparito dal nostro linguaggio, mentre nella Sacra Scrittura è parola chiave per indicare l’agire di Dio verso di noi (MV 9).
A noi però disturba e facilmente continuiamo ad avere un’idea di Dio diversa. Ci piace di più un Dio giudice che mantiene le distanze ed è “giusto” secondo il nostro modo di intendere la giustizia, un Dio che non esagera perdonando il figlio minore invece di punirlo, gli prepara addirittura una festa tanto è grande e incontenibile la sua gioia (parabola del padre misericordioso).
Il papa ci esorta ad abbandonare un’idea distorta di Dio in cui noi stessi spesso ricadiamo, di un dio a cui dare obbedienza, un padrone che spara ordini ben lontano dal Dio che si rivela nella storia di Israele e in Gesù. Dobbiamo cambiare mentalità, convertirci al Dio della misericordia.
Siamo chiamati in questo Anno straordinario a contemplare la misericordia di Dio.riconoscerla nel suo agire verso di noi e accoglierla per farne il nostro stile di vita, il nostro modo di stare nel mondo come singoli, famiglie, fraternità, Chiesa. L’idea distorta di Dio è proposta da Satana ad Adamo ed Eva. Satana insinua l’idea di un Dio che non ama, un dio padrone. Anche noi rischiamo ogni giorno di farci ingannare da Satana che oscura, confonde l’idea di Dio. E noi ci smarriamo, via dal giardino, lontano dalla presenza di Dio, non partecipiamo più alla comunione con Lui perché ci siamo lasciati ingannare.
Dio è profondamente innamorato della sua creatura che è molto buona, bella, un capolavoro, anche se la sua bellezza è ora sfigurata dal peccato, dalla miseria in cui si trova. L’ uomo è disorientato, in balia del maligno, privo dell’esperienza di Dio, della sua presenza d’amore che ha rifiutato. Ma anche se sfigurato, Dio continua ad amare l’uomo che non risponde al suo amore, un amore fedele, gratuito.
Se ci lasciamo curare il nostro cuore, se ci convertiamo dall’indifferenza alla misericordia, toccati giorno per giorno dalla sua compassione, possiamo anche noi diventare compassionevoli (MV 14). È necessaria umiltà per accettare la sua carezza, il suo abbraccio, la sua presenza offertaci, per esempio, nei sacramenti. “Più difficile che amare Dio è lasciarci amare da Lui!”, ci dice il papa (S. Marta, 7-6-2013) .
Si tratta, quindi, di “aprire il cuore” e lasciare che Lui “ci accarezzi”. Questa carezza, questo lasciarsi toccare dal Signore è indispensabile per non comportarsi come il levita e il sacerdote, ma come il samaritano. Il levita e il sacerdote vedono l’uomo, un uomo senza specificazioni, uno qualunque, ma passano oltre. Il loro cuore vive l’indifferenza, un brutto male da cui ci mette continuamente in guardia il papa: il cuore anestetizzato.
Costanza Bosi Tognetti
Nell’indire l’anno giubilare straordinario della misericordia il Papa ha avuto un’intuizione profetica, poiché ha saputo trovare il modo di andare incontro alla miseria degli uomini del nostro tempo. L’umanità intera ha bisogno che qualcuno si pieghi sulle sue piaghe per risanarle. È quello che Gesù ha fatto e continua a fare, mostrandoci il volto e lo stile di un Dio misericordioso che si china sull’uomo per incontrarlo.
Ma Dio rispetta la libertà dell’uomo. Non vuole entrare nel suo cuore senza il suo consenso! Ecco allora che per fare esperienza della misericordia di Dio dobbiamo essere disponibili a lasciarci trasformare dall’Amore riconoscendo la miseria del nostro peccato. Allora potremo dire insieme al salmista: “Tu, o mio Dio, sei la mia misericordia” (Sal 60,18).
La parabola del buon samaritano può essere interpretata vedendo in lui la figura di Cristo che viene in soccorso alle nostre ferite e infermità consentendoci di guarire e divenire, a nostra volta, buoni samaritani nei confronti del mondo.
La virtù della misericordia va “sempre tenuta ben ancorata all’Amore e qualora venga artificiosamente separata da esso si incappa nelle patologie della misericordia quali l’impersonalismo, l’assistenzialismo, l’attivismo e similari” (AA.VV., “Siate misericordiosi come il Padre vostro”, Roma 2015, p. 67).
S. Francesco non si dedicò a nessuna attività assistenziale specifica, ma, nella consapevolezza dei suoi peccati, contemplò sempre Cristo e cercò di diventare simile a Lui attraverso lo studio dei suoi atteggiamenti, gesti, azioni, sentimenti… Imitando il suo agire trasformò se stesso sia nello spirito che nel corpo. Ce lo racconta lui stesso nel suo Testamento dove afferma di aver provato “dolcezza d’anima e di corpo” (FF 110) nell’usare misericordia ai lebbrosi, dopo aver fatto penitenza a causa dei suoi peccati.
S. Francesco è l’uomo nuovo che si è lasciato plasmare da Cristo. Nel V Convegno Ecclesiale Nazionale di Firenze dedicato al nuovo umanesimo (9-13 nov. 2015) il papa ha sostenuto: “L’umanesimo cristiano è quello dei «sentimenti di Gesù» (Fil 2,5). Essi non sono astratte sensazioni provvisorie dell’animo, ma rappresentano la calda forza interiore che ci rende capaci di vivere e di prendere decisioni”. Avere gli stessi sentimenti di Cristo è la meta che ci consente di essere più uomini.
Il papa ha posto in risalto le patologie della nostra affettività, dalle quali possiamo guarire solo rapportandoci ad un Tu e non a partire da noi stessi. Nel suo discorso nella cattedrale di Firenze ha esaminato nel dettaglio tre sentimenti: l’umiltà, il disinteresse e la beatitudine.
“L’ossessione di preservare la propria gloria, la propria «dignità», la propria influenza – ha detto – non deve far parte dei nostri sentimenti. Dobbiamo perseguire la gloria di Dio, e questa non coincide con la nostra gloria. La gloria di Dio sfolgora nell’umiltà della grotta di Betlemme e nel disonore della croce”.
L’uomo umile (da “humus”=terra) rinuncia a sé, alla sua gloria lasciandosi plasmare da Dio come una zolla di terra. Egli dà gloria a Dio partecipando al suo Amore e alla sua Misericordia, cioè uscendo dalle patologie della propria affettività. “L’umanità del cristiano è sempre in uscita. Non è narcisista o autoreferenziale. Quando il nostro cuore è ricco ed è tanto soddisfatto di sé allora non ha più posto per Dio”.
Se un’azione verso un tu è finalizzata ad acquistare dei meriti per avere in cambio la salvezza, allora non è disinteressata e non è restitutiva di una grazia che ci viene donata gratuitamente e che sgorga dall’esperienza della remissione dei nostri peccati (cfr. AAVV, “Siate misericordiosi come il Padre vostro”, Roma 2015, p. 49).
“Un ulteriore sentimento di Cristo è la beatitudine. Il cristiano è un beato, ha in sé la gioia del Vangelo.
Nelle beatitudini il Signore ci indica il cammino.
Le beatitudini sono lo specchio in cui guardarci, quello che ci permette di sapere se stiamo camminando sul sentiero giusto: è uno specchio che non mente”.
Con parole francescane possiamo dire che la “letizia” è lo stato di perfezione che ogni cristiano è chiamato a realizzare.
Graziella Baldo