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“Non avrei immaginato, provando a prolungare questa galleria di “foto ricordo”, di poter salire sulla spalle di Giorgio La Pira (1904- 1974) praticamente all’indomani della sua proclamazione come “venerabile”, avendo Papa Francesco autorizzato la pubblicazione del decreto che ne riconosce le virtù eroiche”. Così il Professor Luigi Alici introduce la presente riflessione tratta dal suo Blog.

La Pira nasce a Pozzallo, in Sicilia, diventato ormai luogo di sbarchi (chissà che cosa oggi ci direbbe?). Cresciuto in ambienti anticlericali, matura la sua personale conversione alla fede cristiana negli anni dell’adolescenza; si laurea a Firenze (1926), diventando ben presto docente di Diritto Romano. Qui inizia a frequentare le attività caritative della San Vincenzo, gli incontri della Gioventù Cattolica e matura una inconfondibile ed esemplare “cifra spirituale”, fatta di solida cultura classica, di slanci evangelici senza calcoli, di dedizione lungimirante e concreta. Alla base c’è una sintesi esemplare di azione e contemplazione, che alimenta segretamente una vena profetica – e per questo positiva – di lettura dei segni dei tempi.
Eletto all’Assemblea Costituente (1946), dove svolge un ruolo cruciale, diviene in seguito Sottosegretario al Lavoro nel primo governo De Gasperi. Indimenticabile Sindaco di Firenze (1951-1957, 1961-1965), s’impegna a fondo nell’edilizia popolare e scolastica, e nella tutela del posto di lavoro.
Il suo impegno per il dialogo e la pace si concretizza a Firenze nei “Convegni per la pace e la civiltà cristiana” (1952-1956), quindi nei “Colloqui mediterranei” per la riconciliazione tra le religioni della “famiglia di Abramo”. Nel 1959 è il primo uomo politico occidentale a recarsi in Russia. Seguono viaggi memorabili in terra Santa, in America, in Africa.
Dialoga a cuore aperto con grandi leader politici e religiosi: incontra Ho Chi Min in Vietnam (1965), Kennedy, Krusciov, Giovanni XXIII, Paolo VI.

Qui vorrei limitarmi a farlo parlare attraverso alcuni suoi scritti, che ci aiutano ad alzare lo sguardo e a spezzare il circolo vizioso del male, in cui paura e insicurezza si potenziano reciprocamente, entrando nel circolo virtuoso del bene, che si libera della sindrome da accerchiamento riconciliando persona e solidarietà, dialogo e pace tra i popoli.
In una delle sue opere più note, la Pira ci ricorda che «la crisi del mondo moderno ha la sua radice in una errata interpretazione della relazione che corre tra questi due termini: persona e società» (La nostra vocazione sociale [1945], Ave 2004, p. 84). In questa relazione, La Pira riconosce però una fondamentale “eminenza” della persona umana rispetto ai valori sociali, come sicuro presidio contro ogni forma di totalitarismo: «Il valore dell’uomo è finale: perché la sua destinazione ultima non consiste in un servizio da rendere ad altri esseri; la sua destinazione ultima consiste in un atto interiore che lo unisce a Dio» (p. 90).
In questa visione, «la società appare… come una grande comunità umana nella quale tutti producono questo integrale e gerarchico bene comune destinato a essere proporzionatamente distribuito a ciascuno». Nulla di astratto, le conseguenze sono molto esigenti: «Produzione per opera di tutti; comunità del prodotto; distribuzione proporzionata a tutti: ecco i tre pilastri dell’edificio della comunità umana» (p. 97).
La Pira imposta così il rapporto tra persona e società, che è – ancora una volta – il nostro problema: «la società è strumentale rispetto alla persona; la persona è subordinata alla società solo nei limiti in cui la società è ordinata al bene totale della persona» (p. 101).

Questi temi sono ripresi e approfonditi, su un piano di rilettura filosofica dell’insegnamento di Tommaso d’Aquino, in un’opera pubblicata nel 1947. Una volta riconosciuto che «la persona esiste per sé», ne risulta che «essa non presenta nessun legame che la faccia essenzialmente dipendere, per esistere, da altri (tranne la totale dipendenza da Dio)» (Il valore della persona umana, Ed. Polistampa 2009, p. 82). Esiste quindi un unico ordine solidale, per cui tutti i singoli sono membri del corpo sociale, in modo che «il bene od il male di ciascuno diventa necessariamente bene o male di tutti» (p. 124).
Di conseguenza, il diritto positivo «deve tutelare i diritti naturali della persona umana: diritto alla conservazione del proprio essere; diritto alla società politica; diritto all’uso dei beni materiali; diritto alla propria libera espansione spirituale» (p. 129).
Forse è proprio questo il più potente virus antirazzista che La Pira ci ha lasciato, e che dovremmo cominciare a gridare dai tetti.

È importante situare l’impegno sociale e politico di La Pira, e prima ancora la sua testimonianza “visionaria” e caritativa, in questa cornice di pensiero, per non impoverirne la figura in un bozzettismo bizzarro e per noi irripetibile. Molti suoi pensieri confermano in modo inquivocabile questa coerenza interiore. A cominciare dall’attenzione ai poveri, definiti come «il documento vivente, doloroso, di una iniquità nella quale si intesse l’organismo sociale che li genera». Altro che elemosina cieca e solo riparativa! I poveri sono, continua La Pira, «il segno inequivocabile di uno squilibrio tremendo – il più grave fra gli squilibri umani (dopo quello del peccato) – insito nelle strutture del sistema economico e sociale del paese che li tollera» (I miei pensieri, a cura di R. Bigi, Società Editrice Fiorentina 2007, p. 37).
Dinanzi a questi “squilibri tremendi” non dobbiamo avere paura: «Bisogna avere il coraggio di Cristoforo Colombo… e non la paura dei suoi compagni: il mondo nuovo c’è ed è possibile, perciò, pervenirvi» (p. 38).

Le implicazioni politiche sono radicali: «Un sindaco che per paura dei ricchi e dei potenti abbandona i poveri – sfrattati, licenziati, disoccupati e così via – è come un pastore che per paura del lupo abbandona il suo gregge» (p. 41). Questo dovrà essere il cardine dell’esame di coscienza di ogni politico cristiano: «quando Cristo mi giudicherà io so di certo che Egli mi farà questa domanda unica (nella quale tutte le altre sono conglobate): come hai moltiplicato, a favore dei tuoi fratelli, i talenti privati e pubblici che ti ho affidato?
Cosa hai fatto per sradicare dalla società nella quale ti ho posto come regolatore e dispensatore del bene comune la miseria dei tuoi fratelli e, quindi, la disoccupazione che ne è causa fondamentale? » (p. 48).

Per questo, l’unica strada da percorrere è custodire l’“anima spirituale” della città e allargarne gli orizzonti. Ponti e non muri. Sempre, instancabilmente: «ciascuna città e civiltà è legata organicamente per intimo scambio a tutte le altre: formano tutte insieme un unico grandioso organismo» (p. 65). img172
Ecco la strada da percorrere: «Le città intendono collaborare all’unità del mondo, all’unità delle nazioni; esse vogliono unirsi per unire le nazioni; per unire il mondo. Vogliono creare un sistema di ponti – scientifici, tecnici, economici, commerciali, urbanistici, politici, sociali, culturali, spirituali – che unisca le une alle altre, in modo organico, le città grandi e piccole del mondo intero» (p. 66).
È l’unico modo per superare la logica della guerra: «Non basta non fare la guerra: bisogna fare la pace: la pace totale. La pace fra Dio e gli uomini, la pace fra continente e continente, fra popolo e popolo, fra nazione e nazione, fra città e città, fra famiglia e famiglia, fra uomo e uomo» (p. 71). Per volare alto in questi orizzonti di pace, c’è bisogno di una visione aperta della storia: «la storia dei popoli (ed anche, in un certo senso, la storia stessa del cosmo) è come un unico fiume che viene da una sorgente e va inevitabilmente (attraverso frequenti e spesso dolorose anse) verso una foce!
Tutti i popoli formano con la loro storia – come tanti affluenti – questo fiume unico: si tratta di tante storie particolari che formano insieme – nel corso dei secoli e dei millenni – la storia unica e totale del mondo» (p. 87).

Il suo appello non si ferma all’unità europea, che dovrà comunque divenire «l’elemento determinante, il peso decisivo, la struttura di base dell’equilibrio politico mondiale» (p. 69). La Pira va molto più avanti, fino a sconcertare le nostre miopie: fare del Mediterraneo, culla delle tre grandi civiltà monoteiste, «“il lago di Tiberiade” del nuovo universo delle nazioni: le nazioni che sono nelle rive di questo lago sono nazioni adoratrici del Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe; del Dio vero e vivo. Queste nazioni, col lago che esse circondano, costuiscono l’asse religioso e civile attorno a cui deve gravitare questo nuovo Cosmo delle nazioni».
È questo il compito dell’“Italia cristiana”: «svolgere la propria azione politica, economica, culturale, sociale (religiosa) ecc.… in vista della costituzione di questo punto di attrazione e di gravitazione delle nazioni: perché da Oriente e da Occidente le nazioni “vengano a bagnarsi” in questo grande lago di Tiberiade, che è, per definizione, il lago di tutta la terra» (p. 73).

Inutile aggiungere che ogni riferimento allo squallore ottuso e desolante che ci sta contagiando tutti NON è puramente casuale.

Dal Blog di Luigi Alici