Suor Loretta Mattioli *

Siamo lieti di proporre un’ampia sintesi dell’intensa riflessione offerta da Sr. Lorella Mattioli, nell’incontro promosso domenica 4 dicembre dalla Fraternità Francescana Frate Jacopa con la Parrocchia S. Maria Annunziata di Fossolo sul tema “L’umiltà e il Mistero dell’incarnazione. Cristo si è fatto povero per noi”. Le illustrazioni che corredano lo scritto sono tratte dalle slides predisposte dalla stessa Sr. Lorella, che ne ha curato anche le didascalie. Segnaliamo inoltre la possibilità di risentire interamente la registrazione dell’incontro sulla pagina youtube Fraternità Francescana Frate Jacopa https://youtu.be/EldIqKvxfts

Il ‘sì’di Maria è stato l’inizio della nuova creazione.
Questo inizio può essere sempre presente.
Il ‘sì’ di Maria è lo spazio in cui possiamo sempre entrare,
lo spazio in cui la Parola ci invita a collocarci; là noi tocchiamo
l’incarnazione del Signore per sperimentare l’unione con Lui e
partecipare alla sua vita, alla sua vita divina.

La povertà e l’umiltà sono innanzi tutto le scelte di Dio. Dio da ricco si è fatto povero per donarci la sua ricchezza. Tutto questo per amore dell’uomo, sua amata creatura.
Francesco sceglie la via della povertà perché ha scoperto che questa era la via che il Figlio di Dio aveva scelto incarnandosi.
La povertà che Dio ha scelto non è miseria, ma uno svuotarsi per arricchire l’uomo. La povertà che Dio assume con il mistero dell’incarnazione è quella del bisognoso. Dio è il bisognoso che invoca una presenza… quella dell’uomo sua creatura, quella mia e tua.
La scelta di povertà dell’uomo, è quindi una risposta all’Amore di Dio, un ri-amore, una imitazione del Cristo povero, una conformazione a Lui.
Tornando a Francesco di Assisi egli volle vedere con gli occhi del corpo la povertà della nascita di Gesù. Lo troviamo nel Capitolo XXX della Vita Prima del Celano. Per Francesco Dio è Umiltà, così Francesco canta nello scritto delle virtù.
La povertà come l’umiltà vanno lette in chiave relazionale: l’umiltà è scendere, scendere dal cielo alla terra per raggiungere il livello più basso dove si trova un uomo. Anzi Dio in Gesù scenderà sino a prendere l’ultimo posto quello più in basso di tutti. Nell’evento dell’incarnazione Dio vive il mistero dell’abbassamento. E quel bambino adagiato nella mangiatoia nella “città del pane”, diventerà nell’ultima cena quel pane che è il Suo corpo e il Suo sangue per nutrire di salvezza la vita dell’uomo.
In quella grotta povera, sopra la mangiatoia vuota, il Natale di Greggio si trasformerà in celebrazione eucaristica, dove riecheggerà quella parola del Vangelo che evoca l’evento raccontato dall’evangelista Luca e lo attualizza invitando tutti ad entrarci dentro, a prenderne parte e a partecipare. Francesco lega il Natale con l’Eucarestia e lo fa scrivendo la Prima Ammonizione.
La prima Ammonizione è caratterizzata da un contenuto specificamente teologico, tratta del mistero di Cristo, della sua opera redentrice, del suo annientamento e della sua povertà, temi che hanno un significato fondamentale per la vita francescana.
Il testo è permeato dal desiderio di contemplare Dio, quell’anelito presente nell’uomo di ogni tempo e particolarmente vivo nella sensibilità eucaristica della pietà popolare dell’epoca.
Da un’analisi del testo si evince il percorso che Francesco desidera far fare: comprendere la necessità di aprirsi all’azione dello Spirito del Signore per passare dal “vedere” al “vedere e credere” e poter accedere alla salvezza.
L’ammonizione inizia con un insegnamento di Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6). Il testo che segue sembra voler chiarire la portata di questa affermazione: seguire le orme di Cristo, che è la via, per giungere alla Verità di Dio, amore umile che si consegna all’uomo per renderlo partecipe della sua vita divina.
Nei primi quattro versetti è riportata una lunga citazione giovannea (Gv 14,6-9a) che Francesco cerca di comprendere a partire da un’espressione tratta da 1Tim 6,16: «Il Padre abita una luce inaccessibile», nessuno l’ha mai visto, ma nella pienezza dei tempi, grazie all’incarnazione del Figlio, Dio si è reso visibile, si è reso udibile, si è reso accessibile.
Mediante l’umanità di Gesù, Dio entra in relazione con l’uomo. Gesù, in quanto Dio fatto uomo, si rivela l’unica via per andare al Padre; vedere Lui significa vedere il Padre e conoscere Lui equivale a conoscere il Padre.

Giuseppe
Noi vediamo Giuseppe alle prese con un problema difficile:
Giuseppe è alle prese con il silenzio di Maria sua promessa sposa.
Maria è stata in visita da sua cugina Elisabetta e quando dopo tre mesi
torna a casa, la sua maternità è fin troppo evidente.
Ma Maria tace e non dà spiegazioni, non ha fretta di chiarire.
Ed anche Giuseppe resta nel silenzio, egli ama Maria e rispetta il suo silenzio.
Giuseppe di fronte ad un evento che lo supera, rimane in silenzio,
si mette davanti a Dio, affida a Lui la soluzione di questo mistero sovrumano.
Giuseppe è giusto e non vuole ripudiarla, decide di licenziarla in segreto,
lasciando libero campo a Dio di intervenire con tutta la grandezza del Suo cuore.
Nell’abbandono fiducioso al Dio della fede e della storia, Giuseppe si addormenta
e durante il sonno, Dio interviene e dà la riposta che solo Lui poteva dare:
Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria come tua sposa
perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo.
Quanta semplicità e quanta fede nel silenzio di Maria e di Giuseppe

Tutto il desiderio di Francesco è quello di vedere il Padre, ma egli ha coscienza che all’uomo è impossibile vederlo se non attraverso la mediazione di Gesù Cristo, che è uguale al Padre nella sua divinità: «Sed nec Filius in eo, quod aequalis est Patri, videtur ab aliquo aliter quam Pater, aliter quam Spiritus Sanctus».

La riflessione di Francesco non si ferma alla sola consustanzialità del Padre e del Figlio ma coinvolge pienamente anche lo Spirito Santo. In ciò che è uguale al Padre, Gesù Cristo non può essere visto se non grazie all’azione dello Spirito Santo. È la terza persona della Trinità che illumina gli occhi dello spirito dell’uomo consentendogli di accedere a quella Verità celata ad uno sguardo superficiale, fermo alla sola componente umana.
È lo Spirito Santo che abilita a percorrere un «movimento di trascendenza dall’umanità alla divinità». Solo grazie all’azione dello Spirito Santo, il fedele può cogliere la presenza reale di Dio nell’umanità di Cristo, una presenza sempre salvifica.

La strada di Betlemme
Se l’uomo si mette in cammino è perché Dio prima di lui si è messo in cammino verso l’umanità.
Il Natale è il cammino che Dio ha fatto per discendere verso di noi.
La strada di Nazareth e di Betlemme è la via dell’ umiltà che Dio
ha scelto per raggiungere l’uomo.
Il mistero dell’incarnazione, questo farsi uomo di Dio, non è un venire soltanto
sulla mia strada, ma starci e percorrerla, come la percorrono tutti gli uomini,
faticosamente e fino in fondo.
E il Cristo è sulla strada di questa povera creatura;
è sulla mia strada, ed è sulla strada di tutti noi.

Sull’esempio degli apostoli, che riconobbero il Figlio di Dio nell’uomo Gesù, Francesco invita a vedere e a credere che Cristo è realmente presente in quel pane spezzato e in quel vino donato sull’altare.
Contrapponendo “vedere” a “vedere e credere” Francesco indica due tipi di sguardo per esprimere la diversa intensità del coinvolgimento del fedele: «“vedere” con attenzione significa riconoscere la bella notizia di Dio: egli si fa amore quotidiano vestito di umiltà e semplicità, così da giungere fino a noi, in un movimento nel quale ogni giorno si ripete l’umiltà della carne assunta da Maria».
Francesco vede nell’Eucarestia una nuova incarnazione; come dal seno del Padre è disceso nel grembo della Vergine Maria così ancora, ogni giorno, torna a discendere sull’altare tra le mani del sacerdote.

La Stalla di Betlemme
Poiché Gesù volle nascere in una stalla, la stalla
è la prima chiesa e la greppia il primo tabernacolo.
Prima della casa di Nazareth, prima del cenacolo,
prima delle catacombe, fu la stalla la prima chiesa.
La mia stalla una chiesa? L’onore è grande, la lezione ancor più grande.
Non c’è niente d’abbietto e di indegno per Dio, fuorché il male.
Ogni cosa può divenire un ostensorio dell’Amore fatto uomo;
anzi le cose più umili, le più disprezzate rispettano meglio il mistero,
ne lasciano trasparire la chiarezza, ne conservano il divino incanto.

Per Francesco il fine non è la fede, ma l’Eucaristia come comunione con Colui che dà la vita eterna, come adempimento della promessa di essere sempre in mezzo ai suoi fedeli. Dunque la fede è importante perché conduce all’Eucaristia, ma è quest’ultima la garanzia della salvezza.

Leggiamo nella Ammonizione: «Ecco ogni giorno egli si umilia, come quando dalla sede regale discese nel grembo della Vergine, ogni giorno egli stesso viene a noi in apparenza umile, ogni giorno discende dal seno del Padre sull’altare nelle mani del sacerdote». In questi versetti Francesco offre, a tutti coloro che vogliono prestare orecchio alle sue parole, il passaggio all’oggi della storia.

Il passaggio all’oggi è fondamentale sia perché la Parola parla oggi a noi («Dice il Signore»….) sia perché lo Spirito «che dà vita» porta nel vissuto l’esperienza dell’incontro con Cristo vivo oggi.
L’Eucaristia permette così di rendere possibile oggi quel passaggio al “vedere e credere” che, altrimenti, resterebbe confinato ai soli contemporanei di Gesù.

La stella
L’uomo cerca; cerca qualcosa che lo supera e nella quale trovare la pace.
L’uomo e la donna che cercano Dio sono avvolti di luce.
Dice il profeta Isaia: “rivestiti di luce, perché viene la tua luce, su di te
risplende il Signore, tu sarai raggiante”.

Francesco accosta insieme i misteri dell’Incarnazione e dell’Eucarestia. Entrambi caratterizzati dal medesimo movimento discensionale che va dal cielo alla terra e che, mai concluso, continua ad avvenire quotidianamente. È uno stupefacente miracolo d’amore che ininterrottamente si compie nella condiscendenza di Dio per consentire all’uomo d’incontrare Cristo, via che conduce al Padre, e per porlo, con la grazia dello Spirito, nella possibilità di seguire le sue orme per avere la vita eterna.
Per richiamare l’attenzione dei suoi interlocutori Francesco si avvale di tutta la forza evocativa dell’avverbio “ecco”, all’apparenza una insignificante particella che invece si prefigge l’ardua missione di spalancare lo sguardo verso un “qui ed ora” salvifico che si compie nel presente della storia. Un vocabolo che richiama il campo semantico del “vedere” e che quindi in forma implicita esorta a guardare in profondità.
Francesco vuole invitare i fedeli, nel “qui ed ora” di ogni celebrazione eucaristica, ad affinare gli occhi dello spirito per accogliere lo sguardo di fede, dono dello Spirito, e poter contemplare la presenza reale del Signore e testimoniare il compimento della promessa del Signore di essere sempre con loro, fino alla fine del mondo.
Come al tempo degli apostoli lo fu l’umanità di Cristo, così, nell’oggi, il pane ed il vino consacrati si rivelano luogo dell’incontro con Dio. Questa è la forza del sacramento.

La stella precede i magi per guidarli alla casa dove si trova il bambino.
Ma la ricerca può conoscere anche oscurità.
Nell’episodio dei Magi la stella ad un certo punto scompare.
Chi ricerca Dio può conoscere momenti e tempi di oscurità,
come può conoscere smarrimenti.
Ed allora è necessario comprendere che l’itinerario della fede,
è un itinerario sinuoso, è un itinerario fatto di tanta pazienza
e segnato da tanta fatica. Nel momento del buio le potenze dell’immaginazione
si scatenano e fanno una grande opera di demolizione.
Se nel momento della tristezza, della difficoltà grave e dell’angustia,
noi ci abbandoniamo a Dio, il nostro atto di fede si pone sul terreno di una vita,
di un amore, di una Parola che vengono soltanto da Dio.

I sacramenti della Chiesa sono degli incontri localizzabili, sensibili con l’uomo Gesù glorificato: una presa di contatto velata, ma reale, pienamente umana, cioè corporale e spirituale, con il Signore e, per conseguenza, in forza dell’opera redentiva e storica del Cristo, che è lui stesso l’Èschaton, una celebrazione misterica della parusia.

Il mistero eucaristico è «l’incontro in atto pienamente realizzato». Francesco lo mette a fuoco in modo puntuale ribadendo per tre volte: ogni giorno, Ogni giorno, ossia sempre. “Ogni giorno si umilia, sempre viene a noi in apparenza umile e discende dal seno del Padre sull’altare nelle mani del sacerdote”.

E lo depose nella mangiatoia
L’evangelista Luca vuole sicuramente alludere a qualcosa,

che va al di là del semplice tronchetto di legno scavato,
che veniva usato per mettere il pasto per gli animali, e che venne utilizzato
da Maria come culla per Gesù.
Non è difficile infatti leggere in quella collocazione l’intendimento di
presentare Gesù, fin dal suo primo apparire, come cibo del mondo.
Anzi, come il Pane del mondo. Sotto quindi, la paglia per le bestie.
Sopra la paglia, il Grano macinato e cotto per gli uomini. Sulla mangiatoia quindi,
avvolto in fasce come in candida tovaglia, il pane vivo disceso dal cielo.
Accanto alla mangiatoia, come dinanzi ad un tabernacolo, la “fornaia” di quel pane.
Maria aveva capito bene il suo ruolo fin da quando si era vista condotta
dalla Provvidenza a partorire lontano dal suo paese, lì a betlem: che vuol dire,
appunto, casa del pane. Per questo, nella notte del rifiuto,
ha usato la mangiatoia come il canestro di una mensa… quasi per anticipare,
con quel gesto profetico, l’invito che Gesù, nella notte del tradimento
e del dono, avrebbe rivolto al mondo intero: “prendete e mangiatene tutti:
questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi”.
(Tratto da Tonino Bello, Maria donna del pane)

L’umiltà […] non indica la condizione povera della vita terrena di Cristo; essa è semplicemente un altro nome dell’amore divino per gli uomini, quest’amore che ha sempre la sua fonte nel Padre altissimo […].
Quest’amore si chiama umiltà, perché Francesco non percepisce l’amore del Padre se non nella discesa del Figlio verso l’uomo, cioè nell’Incarnazione […]. L’umiltà, secondo Francesco, non è quindi prima di tutto, come si pensa comunemente, un atteggiamento virtuoso e ancora lontano sere una virtù umana. Essa è, alla radice, un atto e un atto di Dio, un atto del Padre, mediante il quale Egli fa dono di se stesso all’uomo nell’incarnazione di suo Figlio.
L’umiltà dell’uomo sarà, perciò, il dono di se stesso a Dio; in risposta all’iniziativa dell’amor divino.

Francesco vede l’umiltà nella discesa di Dio, nel suo scendere per poter incontrare l’uomo, per stabilire un contatto salvifico.

Il bambino Gesù
Il presepio è trono di misericordia. Nel presepio Gesù per la prima volta stende

le sue braccia per invitare a sé tutti gli uomini, come farà in tutta la vita (S. Giacomo Alberione).
Le sue braccia invitanti ci supplicano ancora di accoglierlo nella nostra vita:
Dio ha bisogno di noi, vuole aver bisogno di noi come delle cure e attenzioni
di Maria e di Giuseppe.
* * *
L’immagine è dipinta nel Coro del Monastero di S. Anna in Foligno,
Casa Madre dell’Istituto delle Suore Angeline.
Il bambino è lì sopra un covone di grano disteso su un panno
che molto assomiglia ad una tovaglia di altare e le sue braccia
ripetono il gesto con cui il sacerdote si rivolge al Padre
nel momento della preghiera Eucaristica.
Tutto fa pensare che il pittore, o le suore, abbiano voluto rappresentare
in quella natività, Gesù come Pane disceso dal Cielo.

In questo testo emergono chiaramente i due aspetti estremi in Cristo: da una parte, il trono regale e, dall’altra, il seno della Vergine (in cui ha preso carne umana); prima, il seno del Padre e, poi, l’altare e le mani del sacerdote. Quindi anche nell’Eucaristia come nell’incarnazione, appare ugualmente il movimento di discesa (“quotidie descendit de sinu Patris”) che Cristo, il Figlio del Padre, compie lasciando la sua gloria divina per rendersi presente fra gli uomini. Per Francesco, l’Eucaristia è una continuazione dell’umiltà e dell’annientamento di Cristo avvenuto nell’incarnazione… Questo annientamento e questa umiltà, che si compiono nell’Eucaristia, non sono altro che la manifestazione dell’amore del Padre verso l’uomo, rivelato nel suo Figlio presente nel mistero eucaristico come una volta fu rivelato nell’incarnazione.

L’evangelista Luca fa del Natale un discorso eucaristico
e così lo comprese Francesco di Assisi che a Greccio,
in quella prima rappresentazione del presepe, sopra la mangiatoia vuota,
fece collocare l’altare e volle celebrare l’Eucarestia.
Egli vedeva i due eventi uniti e nella prima Ammonizione scrisse:
“Ecco ogni giorno Egli si umilia, come quando dalla sede regale discese
nel grembo della Vergine; ogni giorno discende dal seno del Padre
sull’altare nelle mani del sacerdote”. E come ai santi apostoli si mostrò nella vera carne,
così ora si mostra a noi nel pane consacrato.

Nella comunione sacramentale, acquisendo i sentimenti di Cristo Gesù che «pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo» (Fil 2,6-7), il fedele può imparare ad intessere relazioni eucaristiche e vivere quella dimensione del dono che plasma ad una vita fraterna conforme alle altre esortazioni che seguono nelle restanti 27 Ammonizioni di San Francesco. L’umiltà di Cristo, che si rende visibile ogni giorno nel pane e nel vino, costituisce la misura del suo essere “servo di misericordia” […] Colui che si offre al servizio umile della misericordia non solo rispecchia l’umiltà di Dio mostrata in Cristo, ma assume su di sè la via della vita e della beatitudine che in lui risplende e che ha trovato compimento nella forma umana.

*Suore Terziarie Francescane
della Beata Angelina da Marsciano

Il Cantico
ISSN 1974-2339
Pubblicazione riservata