p. Lorenzo Di Giuseppe
Nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace per questo anno 2013, anno dedicato alla riscoperta della bellezza e della preziosità della fede, Benedetto XVI ci guida a riflettere al significato della pace nell’insieme dell’annuncio cristiano, e allo stretto rapporto che esiste tra la pace e la fede. Prima di tutto il Papa afferma “l’innata vocazione dell’umanità alla pace. In ogni persona il desiderio di pace è aspirazione essenziale e coincide, in una certa maniera, con il desiderio di una vita umana piena, felice e ben realizzata”. E poco più oltre ribadisce “l’uomo è fatto per la pace”. Sempre, e soprattutto in questo ultimo periodo della storia, la Chiesa ritorna più volte a sollecitare tutta l’umanità al dovere fondamentale che spetta ad ogni uomo di edificare la pace nei rapporti tra le persone, tra i gruppi e tra le nazioni, convinta che la pace è un bene fontale per la vita di tutta l’umanità. Gesù è dalla parte di coloro che operano per la pace e li definisce beati: “Beati gli operatori della pace perché saranno chiamati figli di Dio” avranno cioè in loro la vita di Gesù, la vita del figlio, saranno nella famiglia di Dio.
La pace concerne l’integrità della persona umana ed implica il coinvolgimento di tutto l’uomo. Essa consiste nel vivere secondo la volontà di Dio: il colloquio costante con Dio, ci dona comunione e condivisione nel vivere con gli altri e per gli altri. In Dio ci riconosciamo unica famiglia umana. La Chiesa, pur riconoscendo e dando dignità agli sforzi degli uomini chiamati a collaborare alla costruzione della pace, tuttavia per la pienezza della pace, è convinta dell’urgenza di un nuovo annuncio di Gesù Cristo, perché l’incontro con Cristo è il primo e principale fattore dello sviluppo integrale dei popoli e della singole persone ed anche della pace. La pace è dono di Dio e nasce dall’incontro fiducioso dell’uomo con Dio ed è allo stesso tempo opera umana. Quindi fede e pace non sono due cose diverse: la pace piena sta nell’ambito della fede, e la ricerca della pace immette l’uomo nella via della fede. Come Francesco d’Assisi ha vissuto il binomio fede e pace? Egli, uno dei più grandi contemplativi che Dio ha dato alla nostra Chiesa, desiderava ardentemente stare con il suo Signore e dedicarsi con tutte le forze alla preghiera, Ma questo non lo distoglie dal sentirsi legato a tutta l’umanità. Scrive Don Divo Barsotti: “Egli (Francesco) vive la sua risposta a Dio e nel rispondere a Dio diviene sacramento di amore per tutta l’umanità, egli diviene colui che è mandato.
L’intimità con Dio, l’unione con lui non lo distrae dagli uomini” (Divo Barsotti, S. Francesco preghiera vivente, ed. S. Paolo). Fin dall’inizio, alla nascente fraternità, Francesco indicò come compito specifico, come carisma della nuova realtà costituita nel seno della Chiesa da Dio stesso, l’annuncio del Vangelo a tutti, lungo le strade e nei crocicchi. Frate Giovanni, uno dei primi compagni di Francesco, così racconta: “Quando eravamo appena sette frati nell’Ordine e non di più, il beato padre Francesco ci chiamò attorno a sé presso Santa Maria della Porziuncola, nel bosco che allora si estendeva attorno al convento; e come se celebrasse il primo sinodo o convocasse il primo capitolo, così ci parlò: So, fratelli carissimi, che il Signore ci ha chiamati non soltanto per la salvezza nostra. Voglio perciò che ci disperdiamo tra la gente e portiamo soccorso al mondo in pericolo mediante la parola di Dio ed esempi di virtù “ (FF 2689).
La predicazione diventò consapevolezza di avere questo debito verso l’umanità e accompagnò tutta la vita di Francesco; e quando, nell’ultimo periodo della sua vita, immobilizzato dalle sue pesanti malattie, non potè più andare per paesi e contrade, si mise a scrivere lettere: “Poiché sono servo di tutti, sono tenuto a servire tutti e ad amministrare le fragranti parole del mio Signore. E perciò, considerando nella mia mente che non posso visitare personalmente i singoli, a causa dell’infermità e debolezza del mio corpo, mi sono proposto di riferire a voi, mediante la presente lettera e messaggio, le parole del Signore nostro Gesù Cristo, che è il Verbo del Padre, e le parole dello Spirito santo che sono spirito e vita” (FF 180). Nella sua predicazione e nel suo contatto con la gente Francesco si imbatteva spesso in conflitti nella società, tra persone ed anche nell’ambito della Chiesa; e a tutti raccomandava la pace e cercava in ogni circostanza di comporre i conflitti e di ricostruire l’armonia. Era il suo comportamento rispettoso, attento alle condizioni di tutti, fraterno verso tutti, disarmava l’odio e ricomponeva l’incontro.
A questo riguardo sono significativi alcuni episodi raccontati dalle Fonti: la pacificazione del lupo di Gubbio (FF 1852), la conversione dei briganti di Monte Casale (FF 1669), la pace fatta tra il Vescovo e il Podestà di Assisi (FF 16,16) stanno ad indicarci la sapienza della sua pedagogia di pace. Colpisce una frase che S. Francesco scrive nel suo Testamento: “Il Signore mi ha rivelato che dicessimo questo saluto: il Signore ti dia pace!“. Noi ci domandiamo: occorreva una particolare rivelazione per consegnare alla fraternità questo compito che a prima vista appare così semplice? Francesco dà grande importanza a queste parole tanto che sente di essere mandato agli uomini in forza di una rivelazione divina che gli ha suggerito queste parole da dire. A buon ragione possiamo pensare che la “rivelazione “ non si limita a suggerire alcune parole, ma riguarda qualcosa di più grande: Dio indica a Francesco il rapporto che egli deve stabilire con gli altri uomini perché essi possano avvertire la presenza di Gesù Cristo e si aprano ad accogliere il Vangelo. Francesco e i suoi sono chiamati a stabilire con gli altri un rapporto di umile fraternità, un rapporto di amore, una presenza vicino alla gente che semplicemente saluta, augurando il dono della concordia e richiamando alle radici della vera pace. S. Francesco si è attenuto con fedeltà a questa rivelazione: ha annunciato Gesù Cristo nel saluto di pace.
Camminando per le strade del mondo, egli fa presente l’amore di Dio avvicinandosi alle persone con semplicità, come un fratello, augurando la pace, nella forma del saluto. Il saluto implica una comunione di amore, è immediatamente una comunione di amicizia, una relazione personale che egli stabilisce con le persone. Francesco si sente chiamato a vivere questo rapporto, non fa mai da maestro, è sempre un fratello che ama e dona pace ed allo stesso tempo fa incontrare Gesù Cristo con gli uomini. Francesco sapeva che la guerra è condizione normale dell’uomo dopo il peccato. La guerra, la divisione, la violenza nelle relazioni umane esistono perché l’uomo, allontanandosi da Dio, si è allontanato anche dai fratelli sentendoli più avversari che fratelli. Finchè ci sono peccati ci sarà la guerra e la pace sarà possibile soltanto nella misura in cui le persone si convertono a Dio uscendo dal peccato.
La pace vera che abbraccia tutta la vita dell’uomo, dalla vita economica alla vita sociale fino all’armonia interiore della persona deriva dall’intimo dell’uomo ed è frutto di una presenza divina. In questo senso la pace fa parte della fede, è un aspetto fondamentale della fede: tutte e due sono fondamentalmente dono di Dio, tutte e due sgorgano da un incontro con Gesù Cristo. L’esperienza di S.Francesco rappresenta un grande insegnamento anche per noi oggi chiamati ad evangelizzare gli uomini del nostro tempo, a preparare la strada alla fede ed alla pace. Da tutti si riconosce che è cruciale il modo di proporre l’evangelizzazione: il metodo che Dio stesso ha rivelato a S.Francesco è importante non solo per noi francescani ma anche per tutto il Popolo di Dio. Non possiamo infatti rimanere indifferenti di fronte allo scandalo delle “non paci” che affliggono l’umanità. Siamo chiamati a ricreare in noi e nella società le condizioni perché siano possibili “nuovi patti di pace”.