Mediterraneo, frontiera di pace

“Capitale dell’unità”. Così Papa Francesco ha definito la città di Bari, a conclusione dell’evento “Mediterraneo, frontiera di pace” che ha riunito nel capoluogo pugliese 58 vescovi cattolici di 20 Paesi che si affacciano sul Mare Nostrum. Ad un anno e mezzo dall’incontro con “i responsabili delle comunità cristiane del Medio Oriente, per un importante momento di confronto e comunione, che aiutasse Chiese sorelle a camminare insieme e sentirsi più vicine”, il pontefice ha scelto di tornare nella diocesi barese che “da sempre tiene vivo il dialogo ecumenico e interreligioso, adoperandosi instancabilmente a stabilire legami di reciproca stima e di fratellanza”. Da qui ha voluto lanciare un forte appello a rifiutare “la retorica dello scontro di civiltà” che “serve solo a giustificare la violenza e ad alimentare l’odio”.
“Si fa strada un senso di paura, che porta ad alzare le proprie difese davanti a quella che viene strumentalmente dipinta come un’invasione”, ha rilevato nel discorso pronunciato nella suggestiva cornice della Basilica di San Nicola, chiedendo che non si accetti “mai che chi cerca speranza per mare muoia senza ricevere soccorso o che chi giunge da lontano diventi vittima di sfruttamento sessuale, sia sottopagato o assoldato dalle mafie”. “L’accoglienza e una dignitosa integrazione sono tappe di un processo non facile; tuttavia, è impensabile poterlo affrontare innalzando muri”, ha continuato il Papa. “A me – ha confidato – fa paura quando ascolto qualche discorso di alcuni leader delle nuove forme di populismo, e mi fa sentire discorsi che seminavano paura e poi odio nel decennio ’30 del secolo scorso”.
Secondo il pontefice, invece, l’area del Mediterraneo, “insidiata da tanti focolai di instabilità e di guerra”, “è il mare del meticciato, culturalmente sempre aperto all’incontro, al dialogo e alla reciproca inculturazione”.
“Essere affacciati sul Mediterraneo – ha commentato – rappresenta dunque una straordinaria potenzialità: non lasciamo che a causa di uno spirito nazionalistico, si diffonda la persuasione contraria, che cioè siano privilegiati gli Stati meno raggiungibili e geograficamente più isolati. Solamente il dialogo permette di incontrarsi, di superare pregiudizi e stereotipi, di raccontare e conoscere meglio sé stessi”.
“Il culto a Dio è il contrario della cultura dell’odio”, ha ribadito nell’omelia della messa, celebrata in Corso Vittorio Emanuele II davanti a circa quarantamila fedeli. “Ecco la rivoluzione di Gesù, la più grande della storia: dal nemico da odiare al nemico da amare, dal culto del lamento alla cultura del dono. Se siamo di Gesù, questo è il cammino! Non ce n’è un altro”, ha chiarito.
“La soluzione – ha detto – non è sfoderare la spada contro qualcuno e nemmeno fuggire dai tempi che viviamo. La soluzione è la via di Gesù: l’amore attivo, l’amore umile, l’amore fino alla fine”. “Non lasciamoci condizionare dal pensiero comune, non accontentiamoci di mezze misure. Accogliamo – è stata la sua esortazione – la sfida di Gesù, la sfida della carità. Saremo veri cristiani e il mondo sarà più umano”.
“Mentre siamo riuniti qui a pregare e a riflettere sulla pace e sulle sorti dei popoli che si affacciano sul Mediterraneo, sull’altra sponda di questo mare, in particolare nel nord-ovest della Siria, si consuma un’immane tragedia”, ha quindi ripreso prima di recitare la preghiera dell’Angelus. “Dai nostri cuori di pastori si eleva un forte appello agli attori coinvolti e alla comunità internazionale, perché taccia il frastuono delle armi e si ascolti il pianto dei piccoli e degli indifesi; perché si mettano da parte i calcoli e gli interessi per salvaguardare le vite dei civili e dei tanti bambini innocenti che ne pagano le conseguenze”, ha scandito il pontefice che ha pregato il Signore “affinché muova i cuori e tutti possano superare la logica dello scontro, dell’odio e della vendetta per riscoprirsi fratelli, figli di un solo Padre, che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi”.

Il Cantico
ISSN 1974-2339
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