Intervista al Prof. Pierluigi Malavasi,
docente di pedagogia e direttore dell’Asa,
Università Cattolica di Brescia
1) “Stili di vita per un nuovo vivere insieme”: perché la scelta di questo titolo per la Scuola di Pace?
Il seminario di quest’oggi, di là e attraverso la sua formulazione esplicita, trae la sua ragion d’essere dal Messaggio di papa Benedetto XVI per la 43ª Giornata Mondiale della pace 2010, “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”. In modo emblematico, il titolo designa una sintesi concettuale che chiama in causa molteplici nuclei tematici – il diritto planetario alla cittadinanza per lo sviluppo umano, la ricerca scientifica per la tutela dell’ambiente, la complessità della governance geopolitica – riconducibili a diversi livelli del discorso – lo stile di vita personale e sociale, i modelli e le scelte economiche, le policy della formazione e del lavoro, dell’integrazione e della famiglia. I verbi coltivare e custodire sono certo legati alle scienze della terra e affondano le loro radici etimologiche nella consistenza delle risorse naturali. I sostantivi pace e creato richiamano in modo efficace la possibilità di garantire il benessere sin qui raggiunto, ampliandone il grado di coinvolgimento dei popoli, all’interno di un orizzonte comunque sostenibile.
2) Che legame c’è tra conversione e cambiamento degli stili di vita?
Il valore glocale dei problemi, ovvero al contempo globale e locale, incontra la responsabilità di ciascuno e delle comunità che contribuiamo a costruire di fronte alle generazioni future. “Conversione” è nozione certamente complessa, ma solo apparentemente estranea ai temi sviluppati nel dibattito odierno riguardo all’ambiente. Essa ci sollecita infatti alla necessità di una trasformazione sia del contesto sociale, sia e soprattutto delle coscienze e dei comportamenti individuali [1].
3) Qual è il possibile apporto delle scienze ai temi dell’ambiente e dello sviluppo?
Il messaggio augurale di Sua Santità Benedetto XVI sollecita a considerare l’apporto delle scienze (biologiche, economiche, fisico-naturali, giuridiche, pedagogiche, politiche, psicosociali, ecc) nella prospettiva di “allargare i confini della ragione” per affrontare le questioni dell’ambiente e dello sviluppo.
4) I temi dell’ambiente possono essere un banco di prova per affrontare la questione educativa?
La sfida educativa, da più parti intesa come banco di prova fondamentale per la complessiva tenuta morale delle società odierne, si coniuga con il dovere di custodire il creato come bene collettivo. “I doveri che abbiamo verso l’ambiente si collegano ai doveri che abbiamo verso la persona considerata in se stessa e in relazione con gli altri” [2].
5) Come distinguere il vero e autentico sviluppo umano in un contesto caratterizzato dal relativismo?
Dall’amore pieno di verità, caritas in veritate, procede l’autentico sviluppo umano, chiesto con le braccia alzate verso Dio come un dono di pace e di verità per rendere più degna dell’uomo la vita della famiglia umana sulla terra. L’ambiente come nuova questione sociale oggi abbisogna di pensiero e azione per un umanesimo nuovo che permetta la scoperta e la realizzazione della fraternità. L’apertura alla vita, centro del vero sviluppo, è la risposta più appropriata al relativismo culturale, così come l’obiettivo dell’accesso al lavoro esige oggi un’approfondita riflessione sul senso dell’economia e dei suoi fini.
1 L. Ornaghi, Introduzione in P. Malavasi (a cura di), L’impresa della sostenibilità, Milano, Vita e Pensiero. 2007, p. VII.
2 Benedetto XVI, Lettera enciclica Caritas su Veritates, 2009, n. 51.