Bellamonte, 25-27 agosto 2015

S.E. Mons. Mario Toso, Vescovo di Faenza Modigliana

Pubblichiamo la riflessione di apertura del Convegno “Laudato si’ sulla cura della casa comune” – Custodire la terra, coltivare l’umano – tratta dalla viva voce di S.E. Mons. Mario Toso – mentre per le relazioni integrali di tutti i relatori che hanno partecipato all’incontro (Mons. Toso, Lucia Baldo, Simone Morandini, Rosario Lembo, p. Lorenzo Di Giuseppe, Marcella Morandini, Mauro Gilmozzi, Maria Bosin), rimandiamo agli Atti del Convegno in corso di stampa, a cura della Ed. Cooperativa Sociale Frate Jacopa in collaborazione con “Il Cantico

tosoRingrazio per l’invito che mi è stato rivolto. Anche quest’anno sono contento di essere qui in mezzo a voi che siete abituati alle maratone di Convegni di più giorni, che prevedono molteplici momenti di approfondimento. È una cosa saggia perché un’Enciclica come questa, di quasi 200 pagine, non è facile riuscire ad afferrarla per intero in tutti i suoi risvolti e legamenti. È quindi importante un dosaggio graduale, in modo da avere un itinerario che gradualmente introduce in una grande ricchezza sapienziale.
Quale contesto migliore per illustrare l’Enciclica che parla della casa comune se non questo lembo di Dolomiti, riconosciuto patrimonio dell’umanità! Credo che non si tratti di una coincidenza così casuale ma sia stata voluta a posta. D‘altra parte questo fa parte dello spirito francescano e della Cooperativa Sociale Frate Jacopa, che non manca di far conoscere la spiritualità di san Francesco, il suo attaccamento al Signore e, attraverso questo attaccamento al Signore, il suo attaccamento alle creature del Signore.
Siamo in presenza, ripeto, di un’Enciclica molto ricca. Appena si incomincia a leggerla sembra quasi di entrare in una grandissima cattedrale e uno potrebbe fermarsi su qualche punto in particolare e perdere la visione d’insieme. In realtà tutto si tiene; pur essendoci vari capitoli, questi sono legati fra di loro. Siccome non ho la presunzione di poter sintetizzare in un breve lasso di tempo l’Enciclica, mi limito a toccare alcuni nodi importanti, soprattutto insistendo sul metodo, sul modo di affrontare la grande questione epocale che è la questione ecologica, che dovrebbe vedere mobilitati tutti i credenti e i non credenti, come d’altra parte desidera Papa Francesco.

L’ENCICLICA, UN TESTO DELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA
Questa Enciclica si inserisce nel Magistero sociale. È bene sottolinearlo: l’Enciclica non è un trattato di dogmatica, di teologia morale. È un testo di Dottrina Sociale della Chiesa. È un atto magisteriale, pastorale, e si inserisce nel magistero precedente. Aprendola e scorrendo i paragrafi ci si accorge subito come già nella prima parte sono citati i precedenti Pontefici, proprio a dimostrare che quanto insegna era già stato in parte detto da san Giovanni XXIII, dal beato Paolo VI, da san Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI.
A questo riguardo si può dire che il midollo antropologico e teologico della nuova Enciclica, che tiene ben unito in una sensibilità globale tutto l’insieme, è un midollo ereditato da Benedetto XVI. Per verificarne le dipendenze basta controllare le citazioni della Laudato sì’: vi sono molte citazioni a proposito della Caritas in veritate, del Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2010. Ma vi sono anche molte citazioni che rimandano al Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, ai pronunciamenti delle Conferenze Episcopali di varie parti del mondo.
Dunque: la Laudato sì’ non è come un fungo che nasce improvvisamente. È un qualcosa che è stato preparato gradualmente. La coscienza ecologica che siamo invitati ad avere è un qualcosa che da tempo si sta cercando di coltivare.

LA QUESTIONE ECOLOGICA È QUESTIONE SOCIALE
In che cosa si può notare ancora il collegamento di questa Enciclica con le precedenti? Le precedentiEncicliche si concentrano sulla questione sociale.
Questa può essere di tipo operaio oppure può essere una questione sociale centrata sullo sviluppo economico, oppure sulla questione dello sviluppo di tutti i popoli. La presente Enciclica si ferma sulla questione sociale come questione ecologica.toso 2
Mostra di avere al centro un problema fondamentale che riguarda la cura della casa comune, e che vede connessi i problemi della salvaguardia dell’ambiente insieme alla salvaguardia dell’umano.
La questione ecologica è questione sociale che mostra nel suo interno la necessità di risolvere una crisi ambientale che non è solo crisi ambientale. È prima di tutto crisi etica, è crisi antropologica, è crisi nei rapporti con Dio. Ed è questione sociale perché implica anche un problema di giustizia ecologica, di degrado degli ecosistemi che finisce per nuocere le popolazioni più povere. Implica una questione di giustizia sociale anche perché vede un debito ecologico tra i vari paesi nord-sud: un debito ecologico che è stato contratto da alcuni paesi più sviluppati, che hanno utilizzato con le loro potenzialità tecnologiche le risorse umane oltre il dovuto, sprecandole e creando dei problemi di inquinamento anche per gli altri.

I DESTINATARI DELL’ENCICLICA
Chi sono i destinatari di questa Enciclica? Certamente i credenti, ma non solo. Non solo gli uomini di buona volontà come nell’Enciclica Pacem in terris di san Giovanni XXIII, ma anche i non credenti, quindi tutti gli uomini, tutti coloro che abitano la stessa casa.
Papa Francesco intende rivolgersi a tutti per creare una mobilitazione generale e universale.
L’obiettivo è quello di unire la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale sulla base di un sostanziale ottimismo. Nonostante gli aspetti negativi che possono far scoraggiare le persone, si può ancora sperare. L‘uomo può risalire la china, può rigenerarsi, può costituire delle reti di solidarietà e di comunità, può realizzare una conversione comunitaria.
laudato siAl centro sta la questione sociale come questione che coinvolge sia l’ambiente sia l’umano, una questione integrale, appunto, perché non concerne solo la questione della salvaguardia dell’ambiente, concerne anche la questione della salvaguardia dell’uomo. Nel testo si dice più di una volta che noi non possiamo attuare una ecologia ambientale se non abbiamo una corretta antropologia, una corretta visione dell’uomo e dei suoi rapporti con l’ambiente, con Dio.
Proprio il rapporto con Dio consente di avere sulla questione ecologica uno sguardo diverso da quello che possono avere i non credenti. Chi crede in Dio e considera Dio Padre del creato, non solo delle creature viventi e senz’anima, diremmo noi, ma anche degli esseri umani, vede tutte le creature come facenti parte di un’unica famiglia: sono tutte creature sorelle – il linguaggio di san Francesco ci richiama anche a questo – e un’offesa o un danno procurato a una creatura di Dio, è un danno che in un certo qual modo si ripercuote anche sulle altre creature.

CONVERSIONE ECOLOGICA
Papa Francesco parla di conversione ecologica: è importante fermarsi su questa espressione. In che senso «conversione ecologica»? Noi dobbiamo convertirci all’ambiente? Ma la conversione di solito ha come punto di riferimento Dio. In che senso, allora, «conversione ecologica»? Nel senso che vedendo questo universo come emanante da Dio, il danno fatto a una creatura è anche un’offesa fatta a Dio: pertanto, sulla base di ciò, si deve anche pensare a una necessaria conversione a Dio. Se noi avvertiamo che si compiono danni alla «creatura di Dio» che è la casa comune, se vediamo che sono danneggiati gli animali, gli uomini, i più poveri, tutti creature di Dio, è logico che siamo invitati a non colpirle più perché continuando si offenderebbe il Creatore.

IL METODO
Più che fermarmi su tutti i contenuti, penso sia importante cogliere qual’è il modo di procedere di Papa Francesco. Papa Francesco non è che vuole imbottirci di tante nozioni. Certamente questa Enciclica, rispetto alla Caritas in veritate, che pure si è interessata all’ecologia, è molto più ricca di dati sul cambiamento climatico, sull’acqua, sulla crisi degli ecosistemi, sull’applicazione della tecnoscienza che arriva a danneggiare, invece che ad aiutare, a migliorare la situazione dell’ambiente.
Nel paragrafo 15 è proprio spiegato quello che vuole fare Papa Francesco. Lo dice chiarissimamente: intendo procedere nel seguente modo: leggere la questione sociale ecologica, capirla, coglierne le cause, spiegare perché si compionocerti errori e si producono certi danni, proporre alcune soluzioni. Detto altrimenti, papa Francesco intende affrontare la questione sociale ecologica attraverso diversi momenti: quelli del vedere, giudicare ed agire. Non solo. Come si vedrà nell’ultimo capitolo, anche attraverso il momento del celebrare che riguarda la spiritualità, l’educazione e che al suo interno comprende riferimenti ai sacramenti, alla partecipazione all’Eucarestia.
Perché Papa Francesco insiste sul metodo? Perché i credenti solitamente, anche con riferimento a questa tematica, che è molto importante e complessa, appaiono sprovveduti dal punto di vista culturale. Mancano loro le categorie critiche per poter leggere e interpretare la realtà, per poterla giudicare e poterla riformare, per trasformarla.
Detto diversamente, per avvicinarsi al problema della questione ecologica, Papa Francesco adotta il metodo della Dottrina Sociale della Chiesa.
Leonardo Boff ha scritto che è il metodo della Chiesa latinoamericana. In realtà questo metodo viene da lontano, è nato prima in Europa, non nel secolo scorso ma in quello ancora precedente. Vedere, giudicare, agire: impegnarsi per capire la realtà, per trasformare, per rimediare i mali, e offrire a Dio tutto quello che si fa in nome suo e a sua gloria.

“VEDERE, GIUDICARE, AGIRE E CELEBRARE” ATTRAVERSO I CAPITOLI DELL’ENCICLICA
Tutto il testo dell’Enciclica ruota attorno a questo metodo. Se prendete l’indice, vi accorgerete che è strutturato secondo i vari momenti del vedere, del giudicare, dell’agire e il momento della liturgia, del ringraziare.

Primo capitolo “Quello che sta accadendo alla nostra casa”: il “vedere”. Poi, “Il Vangelo della creazione”: per capire quello che sta accadendo non è sufficiente adoperare una ragione di tipo sociologico o tecnico, una ragione di tipo matematico o statistico. C’è bisogno di andare più in profondità, di non fermarsi sulla superficie dei fenomeni, degli eventi. Bisogna giungere alle cause dei fenomeni. All’origine della crisi ecologica ci può essere il fatto che l’uomo non ha una visione corretta del suo rapporto con l’ambiente perché non accetta Dio, lo rifiuta come creatore.
A motivo di questo rifiuto l’uomo non vede l’ambiente come una creatura di Dio. Non può comprendere che Dio lo dona non solo a un uomo ma a tutti gli uomini, non solo a tutti gli uomini di questo secolo ma a tutti gli uomini, anche a quelli che verranno. Il creato non è qualcosa che è dato in possesso esclusivo solo ad alcuni, ma è un dono fatto a tutta l’umanità, a tutte le generazioni. Per comprendere la crisi ecologica nella sua complessità c’è bisogno dello sguardo che offre la fede in Dio.
Oltre ad uno sguardo sociologico, statistico, matematico, ad uno sguardo religioso, occorre avere, però, anche uno sguardo di tipo antropologico. Alcuni errori e certi danni sono dovuti al fatto che ci si muove sulla base di una visione errata dell’uomo: quella di chi si concepisce come dotato di una libertà illimitata, che può fare qualsiasi cosa, non tenendo conto dei diritti degli altri, non tenendo conto della grammatica che Dio, creando l’universo, pone dentro le stesse creature e l’universo.
Nel capitolo intitolato “La radice umana della questione ecologica” Papa Francesco indica proprio come una delle cause dei problemi ambientali di oggi una antropologia deviata, di tipo consumistico, materialistico, che superesalta la ragione tecnica, costruendo il paradigma della tecnocrazia, dietro la quale si nasconde una ideologia di potere e di dominio.
Anche il capitolo terzo è scritto da Papa Francesco per mostrare che sulla realtà bisogna avere uno sguardo polivalente, plurale, non univoco, ed è appunto avendo questo approccio multiplo che si può capire che vi sono più cause all’origine della crisi ecologica.toso 5
Veniamo finalmente al capitolo quarto: “Un’ecologia integrale”. È un capitolo veramente originale. In questo capitolo che cosa si dice? Esso parla di un’«ecologia integrale», un’ecologia che non riguarda solo l’ambiente ma anche l’uomo, riguarda l’uomo e l’ambiente in relazione tra di loro. Ecologia integrale, dunque. Per cui, se io voglio salvaguardare l’ambiente, debbo anche interessarmi dell’ecologia umana, cioè debbo interessarmi del comportamento dell’uomo, devo interessarmi della cultura che ha l’uomo, devo interessarmi di come sono organizzate le città in cui vive l’uomo che possono influire negativamente su di lui e sul suo rapporto con l’ambiente. Un’ecologia integrale, vale a dire un’ecologia che sa integrare vari aspetti: l’aspetto economico, l’aspetto sociale, l’aspetto culturale, l’aspetto della vita quotidiana negli ambienti rurali, nell’ambiente cittadino, l’aspetto dell’arte, l’aspetto dell’architettura e così via, l’aspetto dell’ecologia sociale.

Che senso ha elaborare un concetto di ecologia integrale, cioè dire che tu puoi risolvere la crisi ecologica se hai come punto di riferimento un’ecologia integrale, che connette tutti gli aspetti, non solo quelli relativi all’ambiente, ma anche quelli relativi all’uomo e quelli riguardanti la relazione tra ambiente e uomo? A mio modo di vedere, ha questa funzione: quella di indicare quasi – dico quasi – il principio primo morale per giudicare la realtà, la crisi ecologica e per rimediare ad essa. La persona umana ha un principio morale fondamentale da tenere presente: il suo compimento, la sua pienezza umana, non solo in se stessa ma in Dio.
L‘uomo deve tenerlo ben presente se vuole vivere felice sulla faccia di questa terra, se vuole essere gloria vivente di Dio, figlio di Dio.
Per risolvere il problema ecologico, per realizzare il compimento dell’ecologia, bisogna avere come punto di riferimento quello che definisco il primo principio morale rappresentato dall’ecologia integrale. Come l’uomo ha come suo primo principio il compimento integrale di sé in Dio, così l’ecologia, non intesa come un qualcosa che riguarda solo l’ambiente ma le relazioni uomo e ambiente, ha come suo primo principio quello della ecologia integrale.
In sostanza se voi seguite passo passo il modo di procedere di Papa Francesco vi accorgete che lui, proprio perché ha in mente il fatto che noi siamo sprovvisti degli strumenti critici, cioè delle nozioni per capire la realtà, per giudicarla nella sua profondità e in tutto il suo spessore, e per risolvere i problemi, per aiutarci a fare questo, il Papa elabora i principi di riflessione, come quello dell’ecologia integrale, i criteri di giudizio e, poi, sulla base di questi, ci fornisce gli orientamenti pratici per risolvere i problemi. A questo punto consideriamo quest’ultimi che trovate nel capitolo quinto intitolato: “Alcune linee di orientamento e di azione”.
L’ultimo aspetto – il celebrare – ha il suo punto di riferimento nel capitolo sesto: “Educazione e spiritualità ecologica”.
Non so se sono riuscito a immettervi nel modo di procedere di Papa Francesco, nel modo di aiutarci ad essere dotati di un metodo di discernimento.
Il metodo del “vedere, giudicare, agire, celebrare” è anche chiamato metodo di discernimento perché non avviene solo alla luce delle categorie sociologiche, statistiche, matematiche, economiche, tecniche. Esso è attuato anche alla luce delle categorie teologiche ed antropologiche. Per cui, il metodo del “vedere, giudicare, agire”, che è un insieme di momenti uniti tra di loro, è attraversato ed animato da un midollo di carattere antropologico, etico e teologico. Il metodo della Dottrina Sociale della Chiesa non è un metodo semplicemente sociologico, semplicemente economico, è un metodo che implica altri saperi, compreso il sapere teologico, comprese le convinzioni di fede che aprono prospettive su altri tipi di conoscere rispetto alle scienze umane. La fede fornisce la scienza di Dio, noi lo sappiamo. Per capire la realtà non abbiamo forse bisogno anche della scienza di Dio, del sapere di Dio? Eccome, è Lui che l’ha creata.
Ecco l’importanza di capire bene il metodo che Papa Francesco adopera. È un metodo su cui si costruisce capitolo su capitolo tutta l’Enciclica e questo per fornire a noi più che un insieme di nozioni, ossia una mentalità, un pensare cristiano. Il discernimento intende educare a pensare e ad agire seguendo il pensiero di Cristo. Per affrontare la questione dell’ecologia evidentemente bisogna leggere tanti libri sull’ecologia. E, poi, tanti altri libri che ci informano sui cambiamenti climatici, sulla questione dell’acqua, elemento essenziale della vita, sull’energia che deve essere sempre di più un’energia rinnovabile, sulle questioni e sulle problematiche della terra e del cibo oggi, perché, se da una parte c’è l’affermazione che le risorse sono sufficienti per dare da mangiare a tutti quelli che sono sulla faccia della terra, è anche vero che, tenendo conto della domanda che viene avanti, una domanda di cibo di qualità, si capisce che l’attuale produzione, non è sufficiente e bisognerà allora moltiplicare le risorse e mettere a disposizione un cibo di qualità, un cibo sano per tutti. Quindi, più che tante nozioni, occorre avere a disposizione un metodo. A me premeva sottolineare che papa Francesca desidera consegnare non solo dei contenuti ma soprattutto un metodo.

CONTINUITÀ/DISCONTINUITÀ
Dicevo che c’è continuità/discontinuità col precedente magistero. Riprendo solo una cosa. Benedetto XVI ha trattato la questione ecologica in una decina di paragrafi circa, neanche con un capitolo intero .
Ha trattato la questione ecologica all’interno del grande discorso dello sviluppo dei popoli. L’ha affrontata soprattutto dal punto di vista antropologico e teologico per fornire i criteri e le categorie fondamentali per interpretare il rapporto, come dovrebbe essere, tra l’uomo e l’ambiente.
Facendo questo, alcuni studiosi l’hanno accusato di presentare solo delle istanze moralistiche, cioè di non avere affrontato questioni più particolareggiate a riguardo, appunto, dell’ecologia, dei cambiamenti climatici, dei problemi dell’acqua. Evidentemente, avendo scelto di porre al centro della propria riflessione il tema dello sviluppo integrale non poteva fare un’Enciclica sull’ecologia. L’accusa era, pertanto, fuori luogo. Tuttavia, anche tenendo conto del fatto che certi discorsi non sono svolti completamente (abbiamo già detto il perché) in un’enciclica, può avvenire che essi siano ripresi e completati successivamente. Un’integrazione di quello che Benedetto XVI ha detto nell’Enciclica Caritas in veritate si incontra nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2010.
Papa Francesco riprende il discorso di Benedetto XVI soprattutto dal punto di vista antropologico e teologico e lo arricchisce di tanti aspetti relativi ai cambiamenti climatici, alla questione dell’acqua, alla salvaguardia degli ecosistemi, al degrado umano e sociale delle città e delle zone rurali, all’inequità planetaria. Quindi, Papa Francesco si ricollega e continua il discorso del suo predecessore, lo perfeziona e lo aggiorna: la Dottrina Sociale della Chiesa è così, è un tutto che si tiene, che si collega con quanto precede e che viene aggiornato.

IL VANGELO DELLA CREAZIONE
Veniamo al capitolo dove si parla del Vangelo della creazione. Abbiamo detto che sono vari i momenti del metodo di Papa Francesco: “vedere, giudicare e agire”. Riguardo al “vedere” Papa Francesco dice: per cogliere bene tutte le dimensioni del problema della crisi ecologica noi dobbiamo tener conto anche delle convinzioni di fede. La fede, assieme al contributo offerto da altri saperi, permette di avere un approccio più completo sulla complessità della crisi ecologica e quindi una conoscenza più esaustiva delle sue cause. Le soluzioni al problema della questione ecologica non possono venire da un unico modo di interpretare e trasformare la realtà. Non possono venire solo dall’apporto della tecnica, ma possono venire anche dall’apporto fornito dalla fede, dalla filosofia, dal diritto, da una giusta economia. Parlando del Vangelo della creazione Papa Francesco, viene allora a dirci: per capire bene, per vedere bene e non avere il paraocchi, per possedere una visuale più completa sia della situazione sia delle cause che la provocano, dobbiamo farci aiutare dallo sguardo di Dio.
Nel capitolo intitolato “Il Vangelo della creazione” sono sintetizzati i contenuti della sapienza della Bibbia: la terra ci precede e ci è stata data per essere coltivata e custodita; dal fatto di essere creati ad immagine di Dio e dal mandato di soggiogare la terra non si può dedurre un dominio assoluto sulle altre creature. La terra appartiene al Signore. Mentre chi di solito la spadroneggia, reputa che sia una sua proprietà, la sapienza della Bibbia, invece, dice che la terra non è nostra, è un dono fatto a tutti. La terra e il creato sono nell’ordine del “ricevere”. Noi ne siamo semplicemente gli amministratori, non i proprietari. La sapienza di Dio ci fornisce queste prospettive che vanno messe insieme a quelle delle altre scienze. Nello stesso capitolo viene, poi, sintetizzato il meglio della tradizione giudeo-cristiana: la creazione appartiene all’ordine dell’amore, la natura non ha carattere divino, la libertà umana può offrire il suo intelligente contributo ma può anche aggiungere nuovi mali. Lo Spirito di Dio riempie l’universo con potenzialità che permettono che dal grembo delle cose possa sempre germogliare qualcosa di nuovo.
toso 6Un’affermazione che dobbiamo tenere ben presente e che si trova in questo capitolo del Vangelo della creazione è la seguente: oggi si nota che si pone in atto una lotta ossessiva per le altre specie ma non per difendere la pari dignità tra gli esseri umani. Come ci si deve preoccupare per gli altri esseri viventi, ci si dovrebbe indignare soprattutto per le enormi diseguaglianze che esistono tra le persone. Questa è una conseguenza del fatto che Dio è creatore di tutti gli uomini, e non è che tra di essi ci sono alcuni che hanno più dignità e altri meno dignità. Quindi, tutti devono essere rispettati e dev’essere realizzata una sostanziale uguaglianza.
Nella sapienza che si trova nel filone giudeocristiano c’è “la regola d’oro”, vale a dire l’indicazione della destinazione universale dei beni.
Questo fa sì che ogni approccio ecologico debba integrare una prospettiva sociale. Infine, c’è l’affermazione che l’ambiente è un bene collettivo.

Il capitolo terzo, come dicevo, va alla ricerca delle cause umane della crisi, soprattutto puntando lo sguardo sul tipo di antropologia che domina la nostra cultura, ossia un’antropologia deviata, che assolutizza la ragione tecnica per cui la tecnoscienza – che è un prodotto meraviglioso dell’ingegno umano, della creatività umana, e che può porre rimedio a innumerevoli mali – quando non sia utilizzata bene può procurare tragedie immani. In questo capitolo dove si parla della radice umana della crisi, si viene in sostanza a dire che noi per superarla dobbiamo pensare che essa non si risolve solo attraverso la tecnica e il mercato.
La tecnica e il mercato non sono in grado di risolvere i problemi sociali e di realizzare l’ecologia integrale. C’è bisogno di superare questo riduzionismo, la frammentazione dei saperi. C’è bisogno di avere un’altra prospettiva antropologica. Se si desidera rallentare la marcia del paradigma tecnocratico, come peraltro necessario, bisogna essere aiutati da una nuova etica e da un nuovo umanesimo. In sostanza occorre ripristinare un corretto rapporto dell’uomo con la realtà.
L’umanesimo che superesalta (!) la tecnica è un umanesimo dell’uomo superpotente che intende dominare e spadroneggiare sulla natura. In realtà, una corretta antropologia dovrebbe far capire che l’uomo non è il padrone del mondo, del creato. L’uomo è colui a cui è stato affidato il creato per custodirlo e coltivarlo. E dunque deve riconoscere nel creato una realtà che lui non può manipolare come vuole, una realtà rispetto alla quale non ha una libertà illimitata.
Il creato non ha risorse illimitate per uno sviluppo illimitato. Una corretta visione dell’uomo nei confronti dell’ambiente, dovrebbe portare a capire che bisogna prestare una diversa attenzione alla realtà. Occorre vedere l’essere umano non tanto come un signore spadroneggiante dell’universo bensì come un amministratore, come colui che contempla la grammatica inscritta nel creato e la segue.
Non ci sarà una nuova relazione con il creato se non ci sarà un uomo nuovo. Non si può porre una relazione nuova con l’ambiente, lo ripeto, a prescindere dal rapporto con Dio, perché è nel rapporto con Dio che si capisce qual è il vero rapporto che l’uomo deve avere con il creato.
Se non si può proporre una relazione nuova con l’ambiente, noi finiamo in una specie di relativismo pratico che include una logica che spinge a ignorare l’altro, ad approfittare di lui. Secondo il relativismo pratico per cui l’uomo crea la verità, l’uomo ha una libertà senza limiti, non vi sono verità oggettive né principi stabili e, non essendoci una verità oggettiva né principi stabili, non ci sono limiti all’aborto, alla tratta degli esseri umani, alla criminalità organizzata, al narcotraffico, al commercio di diamanti insanguinati.

UNA NUOVA VISIONE DELL’UOMO E UNA NUOVA VISIONE DEL LAVORO
Occorre reagire all’antropologia deviata, quella di tipo utilitaristico o neoindividualista. Occorre una nuova visione dell’uomo. Avendo questa nuova visione dell’uomo si ha anche una nuova visione del lavoro. Oggi, infatti, uno dei nodi su cui bisognerebbe riflettere è quello del lavoro, che tante volte viene, in certo qual modo, sostituito dal progresso tecnologico in maniera indiscriminata, non graduale. Noi sappiamo che il progresso tecnologico, oltre a portare dei vantaggi, a diminuire la fatica, a migliorare la qualità dei prodotti, è spesso adoperato solamente per avere minori costi e in definitiva per avere minori posti di occupazione. A proposito del rapporto tra lavoro e progresso tecnico, Papa Francesco ha delle parole coraggiose.
Dice che di fronte a un uso indiscriminato del progresso tecnologico e della tecno scienza, che porta a eliminare posti su posti, dovremmo avere un comportamento prudente. Non per dire no al progresso tecnologico, ma perché il progresso tecnologico deve essere subordinato alla dignità dell’uomo. L’uomo ha un primato sul progresso tecnologico e non può essere che il progresso tecnologico, applicato indiscriminatamente, vada a distruggere la vita dell’uomo, la sua famiglia e la democrazia.toso 7
Ecco l’avvertimento di Papa Francesco: bisogna fare in modo che il progresso tecnologico sia applicato nella gradualità, tenendo conto che non si può dismettere tutti i lavoratori di un’impresa, licenziandoli, perché dalla mattina alla sera i portatori di capitale decidono di convertire la tecnica impiegata, senza tener conto degli altri soggetti dell’impresa. Questo è un aspetto che per qualcuno potrebbe porre delle questioni non superabili.
Che fare di fronte a un progresso tecnologico che alle volte si realizza contro l’uomo del lavoro? Il Papa dice: bisogna tentar di realizzare un’economia che favorisca una diversificazione produttiva, ma nella gradualità, non solo cambiando gli strumenti della produzione ma anche riqualificando i lavoratori. Un’economia di scala, ad esempio, facendo riferimento all’agricoltura, cerca di produrre solo certi beni e finisce per distruggere il piccolo agricoltore, diversi tipi di coltivazione, di prodotti che ci potrebbero essere ma che in realtà non possono più esserci perché non possono essere prodotti in maniera competitiva. Allora che fare? Primo: realizzare o conservare un’economia che favorisca la diversificazione produttiva e la creatività imprenditoriale.
Poi, non privilegiare l’economia di scala, quell’economia che applicata nel settore agricolo, per esempio, finisce per costringere i piccoli agricoltori a vendere le loro terre o ad abbandonare le coltivazioni tradizionali. Terzo: a volte – dice papa Francesco seguendo l’insegnamento dei suoi predecessori, in modo particolare di Benedetto XVI – può essere necessario porre limiti a coloro che detengono più grandi risorse e potere finanziario. E questo sempre al fine di realizzare il bene comune, evidentemente.
Come, a suo tempo, la Dottrina Sociale della Chiesa ha giustificato di porre dei limiti al latifondo, così si può anche riconoscere la possibilità di porre dei limiti a coloro che detengono più grandi risorse e potere finanziario. Rimarca, allora, il Papa: è inutile proclamare libertà economica per tutti se non si creano condizioni che ne consentono l’accesso.

LINEE DI ORIENTAMENTO E DI AZIONE A PARTIRE DA UNA PROSPETTIVA GLOBALE
Del capitolo quarto, che riguarda l’elaborazione del concetto di ecologia integrale, abbiamo già parlato. Andiamo all’altro capitolo, il quinto, quello dell’agire: “Linee di orientamento e di azione”. Queste linee di orientamento Papa Francesco le fornisce per più livelli: il livello internazionale, il livello del rapporto tra nazionale e locale, il livello del rapporto tra politica ed economia e il livello dei processi che vanno a realizzare determinati progetti imprenditoriali a scapito del benessere dell’ambiente.
Papa Francesco, dopo aver descritta la situazione, preparati i principi e le categorie che consentono di giudicarla, dopo aver elaborato un nuovo principio, quello dell’ecologia integrale; dopo aver analizzato, giudicato, propone alcuni orientamenti pratici.
Li offre per i vari livelli dell’esistenza.
Il primo livello è quello internazionale. Cosa bisogna fare sul piano internazionale per risolvere la crisi ecologica, per realizzare un’ecologia integrale? Occorre fare in modo che le soluzioni siano proposte a partire da una prospettiva globale. Non si possono risolvere problemi particolari senza tener conto che questi problemi sono inseriti in contesti globali. Così, non si può pensare di risolvere il problema dell’acqua, diremmo, in Egitto, senza tener conto delle zone che stanno attorno all’Egitto. E così, in genere, non si possono risolvere i problemi relativi a un’acqua sana, potabile, accessibile a tutti, se non si tiene conto dei problemi in generale che riguardano tutto il globo relativamente all’acqua.
Papa Francesco propone soluzioni a partire da una prospettiva globale, pensando a un solo mondo. Noi non abbiamo più mondi a disposizione, ne abbiamo uno solo, per cui se lo danneggiamo non ce n’è un altro di riserva. Ma anche pensando a un progetto comune tra tutti i popoli, perché questi devono mettersi insieme, muovendo dalla consapevolezza che i problemi sono interdipendenti.
Ancora: che cosa bisogna fare a livello internazionale? Costruire un consenso mondiale, cioè un consenso da parte di tutti i popoli, ad esempio: per programmare un’agricoltura sostenibile e diversificata, per sviluppare energie rinnovabili e non inquinanti, per incentivare una maggiore efficienza energetica, per promuovere una gestione più adeguata delle risorse forestali e marine, per assicurare a tutti un accesso all’acqua potabile. A livello internazionale bisogna pensare con una grande visione, sapendo che le cose sono interconnesse. Poi – prosegue il pontefice-, noi a livello internazionale abbiamo bisogno di vertici mondiali (quanti vertici si son fatti sull’acqua a Rio, al Cairo …) dove non si spendono solo parole ma dove si cerca di essere efficaci, di offrire soluzioni concrete e di offrire anche i mezzi per controllare e sanzionare, cioè per punire chi non osserva le norme che sono state stabilite di comune accordo.
Il Papa enumera anche alcuni vertici che per fortuna sono andati bene, quelli sui rifiuti pericolosi, quelli sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora selvatica minacciate di estinzione, quelli fatti sull’assottigliamento dello strato dell’ozono. In tanti altri vertici, invece, sulla diversità biologica, sulla desertificazione, sui cambiamenti climatici, sulla riduzione dei gas serra, si è perso tempo, si è stati inconcludenti.
Per cui bisogna che noi abbiamo dei vertici mondiali efficaci. Prossimamente ci sarà quello di Parigi, proprio sui cambiamenti climatici. Questa Enciclica è stata scritta per tempo dal Pontefice anche in vista di Parigi per dire: la Chiesa su questi temi così importanti offre il suo contributo, ha una parola da dire. Molti affermano: la Chiesa è retrograda, è antiquata, è legata all’Antico Testamento, non capisce le cose nuove, non studia i problemi. Forse, la Chiesa è più avanti di tanti altri. Forse, sono i suoi figli che sono un po’ indolenti e non aggiornati.
In questo capitolo Papa Francesco dice che la strategia di compra e vendita di crediti di emissione di gas (ci sono dei paesi che comprano i crediti di emissione di gas dai paesi più poveri che non hanno grandi industrie) potrebbe dar luogo a una nuova forma di speculazione, e allora non servirebbe a ridurre l’emissione globale di gas inquinanti, a far cambiare gli stili di produzione dei paesi più ricchi. I paesi più poveri, tra l’altro, non dovrebbero solo pensare a vendere i loro crediti di emissione ma a risolvere le questioni sociali, andare incontro ai più poveri.

QUADRI REGOLATORI GLOBALI CON UNA AUTORITÀ POLITICA MONDIALE
Nella questione va comunque tenuto presente che se vi sono responsabilità comuni rispetto all’inquinamento del pianeta, esse sono differenziate. Sì, tutti siamo responsabili, chi più chi meno però. Quindi, ci sono alcuni che hanno più responsabilità. Il fatto si è che alcuni dei paesi che hanno più responsabilità sono quelli che vogliono pagare di meno, sono quelli che dicono di non avere questa responsabilità.
I paesi che hanno tratto beneficio da un alto livello di industrializzazione, a costo di un’enorme emissione di gas serra, hanno maggior responsabilità di contribuire alla soluzione dei problemi che hanno causato. C‘è quindi bisogno a livello internazionale di accordi che si realizzino, quadri regolatori globali che impongano obblighi, un accordo sui regimi di governance per tutta la gamma dei beni comuni globali e poi anche una governance fatta da istituzioni internazionali più forti, efficacemente organizzate, facenti riferimento a una “autorità politica mondiale”.
Questa espressione ad alcuni, anche cattolici, non suona bene perché evocherebbe l’idea di un Moloch, di un Leviatano internazionale, di un superpotere che schiaccia tutti i più deboli.
In realtà, l’autorità politica mondiale, di cui parla la Dottrina Sociale della Chiesa, è un’autorità che è stabilita dal basso, democraticamente, quindi con l’apporto di tutti, con la partecipazione di tutti, rispettando il principio di sussidiarietà, per cui l’autorità superiore non nega il grado di autorità inferiore e subordinato. In sostanza, l’autorità politica mondiale di cui parla la Dottrina Sociale della Chiesa è un’autorità essenzialmente democratica.
Papa Francesco propone anche orientamenti a proposito delle politiche nazionali e locali. Chi è che deve fare le prime politiche relative all’ambiente? Lo Stato, la comunità nazionale, ovviamente. Noi oggi, è bene sottolinearlo, abbiamo un concetto fortemente negativo dello Stato. Oggi lo Stato è solo vampiro, colui che prende il sangue dai cittadini. Può essere che in tante occasioni avvenga così, ma questo non deve farci dimenticare che lo Stato è il più grande strumento di solidarietà che noi abbiamo a disposizione. Occorre, allora, farlo funzionare bene, anche per quanto riguarda le politiche ambientali. E per farlo funzionare bene deve essere uno Stato democratico, cioè controllabile, partecipato, partecipativo, per cui non decide tutto o non decidono tutto quelli che sono al Parlamento, prescindendo dalla società civile, ignorandola.

LA SOCIETÀ CIVILE FA LA DIFFERENZA
Nel testo in analisi si dicono cose importanti. Si dice che in una situazione in cui talvolta la governance mondiale non funziona, e in cui anche lo Stato non funziona, il locale fa la differenza, la società civile fa la differenza. E come può fare la differenza la società civile? Per l’appunto, mobilitando la gente, mettendola insieme, costringendo la politica a fare determinate scelte.
In Italia è stato fatto il referendum sull’acqua, purtroppo il risultato rimane ancora lì a mezz’aria. L’acqua non può essere considerata una mera merce. È un bene collettivo, un bene di tutti… E quindi vanno trovate soluzioni che non portino verso la mercificazione e la mercantilizzazione totali dell’acqua.
Certo l’acqua, perché noi la possiamo bere come potabile, deve essere trattata, ci sono dei costi, non è che tutto è gratis. Ma essendo un bene fondamentale per la vita di tutti deve essere un bene accessibile a tutti.
Pertanto, non possiamo metterlo in mano solo a privati, che ne stabiliscono il prezzo come desiderano e, poi, alla fine forniscono anche un’acqua inquinata, come è avvenuto in alcune Regioni d’Italia.
Con riferimento al tema dell’acqua sono dette, ripeto, cose molto importanti a proposito della democrazia dal basso nella gestione dei beni collettivi. Certo, muoversi a livello locale quando in alto le cose non funzionano, non è così semplice. E, tuttavia, non bisogna rinunciare perché alla fine dobbiamo tener presente che la politica non è una signora che va a spasso per conto suo, indipendentemente da noi, siamo noi i cittadini, siamo noi che eleggiamo i rappresentanti.
I cittadini hanno ancora la possibilità di dire la loro e se sentiste parlare qui il Prof. Leonardo Becchetti vi direbbe che voi avete il potere di votare attraverso il portafoglio, cioè non comprando, ad esempio, certi beni prodotti in passato dalla Nestlè. Noi possiamo costringere le imprese a produrre in maniera diversa. C’è la possibilità di votare anche col portafoglio, c’è cioè la possibilità di una democrazia dal basso per condizionare normative, procedure e altro.
Papa Francesco offre anche alcuni orientamenti per i processi decisionali. Bisogna che la previsione dell’impatto ambientale delle iniziative imprenditoriali sia accompagnato da processi politici trasparenti e sottoposti al dialogo, liberi dalla corruzione. Uno studio di impatto ambientale non dovrebbe essere successivo all’elaborazione di un progetto produttivo o di qualsiasi politica, piano o programma. Va inserito fin dall’inizio e va elaborato in modo interdisciplinare, trasparente e indipendente da ogni pressione economica o politica. E nel dibattito vanno inclusi gli abitanti del luogo: se si fanno piani o progetti di trasformazione (es. costruzione di una diga o altro) che modificano l’ambiente, bisogna coinvolgere gli abitanti del luogo.
Di fronte ad un’informazione oggettiva volta a prevedere un danno grave e irreversibile all’ambiente, anche se non ci fosse una dimostrazione indiscutibile di questo danno, qualunque progetto dovrebbe essere fermato o modificato.

RAPPORTO TRA ECOLOGIA E POLITICA
Così, Papa Francesco dà degli orientamenti sul rapporto tra economia e politica. La politica non deve sottomettersi all’economia, soprattutto alla finanza di speculazione perché se succede questo le decisioni politiche seguono il criterio dell’utile, del dio denaro. In tal modo non si salvaguardano l’ambiente e le persone che vivono in esso!
C’è poi un capitolo interessante ove Papa Francesco mostra di essere particolarmente coraggioso. A fronte di un’applicazione indiscriminata del progresso tecnico (collegato anche al discorso prima fatto sul lavoro che viene praticamente divorato dallo stesso progresso tecnologico e non si provvede a creare altre aree di operosità), e rispetto a uno sviluppo consumistico, dissipatore, predatore delle risorse, che danneggia la casa comune, occorre saper rallentare.
Bisogna bloccare un simile sviluppo. Badate bene che papa Francesco dice no a uno sviluppo dissipatore, dice no a uno sviluppo predatore, non dice no allo sviluppo sostenibile, allo sviluppo tecnologico. Dice che noi dovremmo essere capaci di accettare una certa decrescita rispetto ad uno sviluppo consumistico, materialistico. Su questa strada noi dovremmo essere capaci di fare retromarcia, di non andare avanti. Papa Francesco adopera un’espressione che è di un economista e filosofo francese Serge Latouche che ha scritto diversi libri sulla decrescita e sull’abbondanza frugale, a partire da prospettive marxiste.
Solo che la proposta di Papa Francesco non va contro il capitalismo in senso, diremmo, totalitario. Papa Francesco è capace di distinguere tra capitalismo e capitalismo: c’è un capitalismo finanziario che, all’insegna del dio denaro, distrugge, ma c’è anche un capitalismo che costruisce opportunità, lavoro per tutti, se è ben guidato.
Mentre Latouche, di ispirazione marxista, ha un concetto di capitalismo piuttosto univoco per cui lui dice: “il capitalismo è essenzialmente violenza”, papa Francesco distingue tra capitalismo e capitalismo. Se ci si riferisce solo al capitalismo finanziario Papa Francesco è senz’altro d’accordo con Latuoche.

EDUCAZIONE E SPIRITUALITÀ
Andiamo verso l’ultimo capitolo, dove si parla della necessità dell’educazione e di una spiritualità relativa all’ecologia. Già si è detto di intendere bene l’espressione “conversione ecologica”. Quando si ha una conversione? Quando il mio punto di riferimento è Dio creatore, che pone nel creato una grammatica che deve essere letta, interpretata, non rifiutata.
Dio creatore mette nell’uomo, in modo particolare, la legge morale naturale che dev’essere anch’essa letta, accolta, rispettata, sviluppata.
Quando presenterete questa Enciclica nelle vostre parrocchie, dovrete spiegare che cosa si intende per legge morale naturale, conversione ecologica. Di certo, in vista dell’anno della misericordia, voi dovrete aggiornare, sulla base di questa Enciclica, i formulari per l’esame di coscienza. Nella lista dei peccati dovranno essere compresi anche i peccati relativi alla ecologia integrale, al rispetto della creazione!
E’ importante considerare alcuni punti della spiritualità cristiana che ci propone il Papa. Questa offre specialmente le motivazioni che derivano dalla fede.
Non bastano le idee, occorre possedere una vera e propria passione per la cura del mondo: una passione riconoscente. Noi dobbiamo realizzare una conversione ecologica. Dobbiamo comprendere la spiritualità vera relativa alla salvaguardia dell’ambiente.
Dobbiamo comprendere che non basta essere buoni singolarmente ma che occorre rispondere ai problemi sociali ed ecologici con reti comunitarie. Da soli si fa poco. Si fa certamente qualcosa, perché Papa Francesco dice che noi possiamo cambiare le cose anche con dei semplici atti quotidiani.

Egli ne fa un elenco: spegnere la luce quando non c’è bisogno, fare la raccolta differenziata, non usare la plastica, non usare troppa carta ecc. Ad ogni buon conto, Papa Francesco dice che non basta essere buoni singolarmente ma che occorre rispondere ai problemi sociali ed ecologici con reti comunitarie, con una conversione comunitaria, occorre impiantare nuove abitudini di consumo.
L’educazione che noi dobbiamo fornire anche attraverso la catechesi non deve limitarsi a fornire delle nozioni scientifiche, a far prendere coscienza, a far prevenire i rischi, deve includere una formazione critica dei «miti» della modernità basati su una ragione strumentale, sulla superesaltazione dell’uomo e della sua libertà considerata senza limiti, deve aiutare a recuperare i diversi livelli dell’equilibrio ecologico, a fare quel salto verso il mistero. Chi vive in questo ambiente è senz’altro invitato ad aprirsi al mistero della creazione prima di tutto, che reca segni visibili della tenerezza di Dio verso di noi.

EDUCARE AD UNA CITTADINANZA ECOLOGICA
Un dono di cui non si comprende tutto pone di fronte a un mistero. Un tale mistero consente di dare un fondamento profondo all’etica ecologica. L’obiettivo dell’educazione – dice Papa Francesco – è quello di formare a una cittadinanza ecologica.
Ormai ognuno di noi, vivendo in questa fase storica, non può non considerare tra i suoi doveri di cittadino l’impegno di costruire un’ecologia integrale: educare a una cittadinanza ecologica, a solide virtù che abilitano a un impegno ecologico disinteressato e costante e a tutta una serie di piccole azioni quotidiane, come evitare l’uso di materie plastiche o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi, piantare alberi, spegnere le luci inutili, riutilizzare qualcosa invece di disfarsene.
Devono considerarsi «luoghi» educativi, oltre ai mass-media, la catechesi, la famiglia, i seminari. Anche nei seminari bisogna insegnare la conversione ecologica come conversione comunitaria, occorre educare all’ecologia integrale. Gli ambiti sopraelencati hanno un’estrema importanza per formare le coscienze.
E, da ultimo, l’invito a partecipare all’Eucarestia, ove in sostanza il creato è assunto e trasfigurato nella presenza stessa di Cristo che si fa pane e bevanda per noi. Alla fine dell’enciclica troverete delle stupende preghiere. Usatele. Fatele conoscere nelle vostre parrocchie. Grazie per la pazienza e per l’ascolto.

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