Martìn Carbajo Nùñez, ofm

Dopo la pubblicazione nel numero scorso della relazione di S.E. Mons. Mario Toso sul Messaggio della Giornata Mondiale della Pace in apertura della Scuola di Pace “Vinci l’indifferenza, conquista la pace” (Roma, 4-6 genn 2016), proponiamo ora la relazione di P. M. Carbajo Núñez, (docente di teologia morale presso la Pontificia Università Antonianum), che presenta il contributo francescano al tema

Prendendo spunto dal recente discorso di Papa Francesco per la 49esima Giornata Mondiale della Pace (=GMP), studieremo oggi il tema: “Prossimi e fratelli: dall’indifferenza alla cura nello Spirito di Assisi”.
La pace di cui parla il Papa non si riduce all’assenza di guerra né a una tranquillità apparente. Di fatto già nell’Antico Testamento, al posto del concetto greco Eirene (pace=“non contesa”, “non tensione”), si usa il concetto ebraico Shalom, che significa serenità interiore, pienezza di vita e di rapporti.
La pace, infatti, si riferisce all’ordine voluto da Dio creatore ed è dono del Risorto e compito permanente. Cristo stesso è la nostra Pace (Ef 2,14-18).
Papa Francesco afferma che l’indifferenza è il primo ostacolo per la vera pace. Infatti, la cinica domanda di Caino, “sono forse il guardiano di mio fratello?” (Gn 4,9), sta alla base di ogni tipo di immoralità. Questa domanda si ripete oggi, in forme diverse, per giustificare l’irresponsabilità e il disinteresse verso le necessità altrui. L’atteggiamento dell’indifferente è sempre esistito, dice il Papa, ma ai nostri giorni ha acquisito una dimensione tale da poter parlare della “globalizzazione dell’indifferenza” (49GMP 3).
I Media rendono oggi possibili innumerevoli modi di entrare in relazione con gli altri, ma possono altresì isolarci di fatto “dal nostro prossimo, da chi ci sta più vicino”1. Difatti, la tecnica facilita la connessione, ma non la relazione, che non è una dimensione tecnica bensì antropologica. Siamo più collegati, ma non più prossimi né più fratelli. “Una mera accumulazione di dati finisce per saturare e confondere, in una specie di inquinamento mentale”2. Infatti, molte persone sono informate “ma non si sentono coinvolte, non vivono la compassione” (49GMP 3).
Questa indifferenza globalizzata minaccia la pace e la nostra stessa sopravvivenza come specie, perché fa dimenticare che tutto è in relazione. Oggi più che mai abbiamo bisogno di promuovere una cultura di solidarietà, misericordia e compassione.
Risulta preoccupante costatare che il ventesimo secolo è stato il più sanguinoso della storia umana e oggi le prospettive continuano ad essere poco incoraggianti. Secondo l’Istituto Heidelberg, che si dedica allo studio dei conflitti internazionali, il 2013 è stato l’anno che ha fatto registrare il maggior numero di guerre e conflitti violenti dalla fine della seconda guerra mondiale, un numero che è in aumento dal 2006.
Papa Francesco ribadisce che l’anno 2015, dall’inizio alla fine, è stato segnato da guerre e azioni terroristiche, sequestri e persecuzioni, tanto da “assumere le fattezze di una «terza guerra mondiale a pezzi»” (49GMP 2). Il Papa ci invita, comunque, a “custodire le ragioni della speranza”, a “non abbandonarsi alla rassegnazione”, a “maturare un cuore umile e compassionevole”.
Ovviamente, è necessario individuare basi più stabili per la pace.
La prima parte del nostro intervento si incentrerà su San Francesco d’Assisi come modello di quella vicinanza affettuosa che vince l’indifferenza verso quelli che soffrono nelle periferie esistenziali. In un secondo momento studieremo alcune basi filosofiche e teologiche che propone la tradizione francescana al fine di superare l’indifferenza. Infine, nella terza parte si mostrerà l’importanza dello Spirito di Assisi per poter affrontare le sfide globali attraverso il dialogo interreligioso e la preghiera.

1. FRANCESCO D’ASSISI, FRATELLO UNIVERSALE
Francesco d’Assisi (1181-1226) è un modello d’ispirazione per tutti quelli, credenti e non credenti, che cercano di sentirsi in pace con Dio, con sé stessi, con gli altri e con tutta la creazione. Il filosofo Max Scheler afferma che Francesco è stato “uno dei più grandi scultori dell’anima e dello spirito della storia europea”.
Lynn White, che accusa il pensiero giudeo-cristiano di aver provocato la crisi ecologica, afferma invece che il poverello d’Assisi fu “il più grande rivoluzionario spirituale della storia del mondo occidentale”, un modello per tutti gli uomini e quindi meriterebbe di essere nominato patrono dei cultori dell’ecologia, così come fece dodici anni dopo Giovanni Paolo II.

1.1. In Cristo, Francesco d’Assisi scopre un Dio prossimo
“Il suo essere uomo di pace, di tolleranza, di dialogo, nasce sempre dall’esperienza di Dio-Amore”3. Avendo scoperto che tutto è grazia, Francesco si lascia trasformare in fratello universale. Il movente delle sue relazioni non è più l’interesse egoista, né i sogni di grandezza, bensì la logica del dono. Il Signore che gli concesse di “incominciare a fare penitenza”, gli insegna pure ad essere misericordioso, gli si manifesta vivo nei poveri e nei lebbrosi, cambia in dolcezza quello che prima gli era amaro, gli dà “fede nelle chiese” e “nei sacerdoti”4, gli dona fratelli, gli insegna il saluto di pace, gli fa amare la povertà e la minorità. Francesco ritrova così l’armonia interiore e la serenità nei rapporti. terza mond
Di fronte al dualismo e all’allontanamento manicheo dalla realtà che proponevano i Catari e altri movimenti gnostici di allora, Francesco afferma la bontà radicale di tutte le creature: Tu “hai creato tutte le cose spirituali e corporali, e noi fatti a tua immagine e somiglianza”5. Risulta significativa l’espressione “spiritualia et corporalia” al posto di “visibilia et invisibilia”, inclusa nel Credo della Chiesa. Non separa il mondo spirituale del materiale e nemmeno disprezza quest’ultimo. Tutto il creato è un sacramento che riflette la presenza, la bontà e la bellezza del divino creatore.
Nel Verbo incarnato e crocifisso, che “fu povero e ospite e visse di elemosine” (Rnb 9,5), Francesco scopre gioiosamente che la debolezza è la dimora di Dio. L’umana fragilità, vissuta con fede, lo apre alla gratuità divina e alla compassione verso il prossimo. Le creature gli ricordano l’umiltà dell’incarnazione, perché segnate dalla Croce di Cristo e animate dalla Sua presenza. Così il brano di Isaia 11,1 (“un germoglio spunterà dal tronco di Iesse”) lo porta a vedere nei fiori la bellezza di Cristo e a gioire della loro delicata fragranza6; la frase del Salmo 21,7 (“sono verme e non uomo”) lo spinge a raccogliere “dalla strada i piccoli vermi, perché non siano calpestati” (2Cel 165); “ordina che l’ortolano lasci incolti i confini attorno all’orto” affinché le erbe più semplici possano crescere in libertà e, “quando i frati tagliano legna, proibisce loro di recidere del tutto l’albero, perché possa gettare nuovi germogli” 7; infine, se gli toccava camminare sulle pietre, si moveva con delicatezza e riguardo, per amore di Colui che è chiamato Pietra.
I suoi compagni testimoniano: “Noi che siamo stati con lui, lo abbiamo visto sempre dilettarsi intimamente ed esteriormente di quasi ogni creatura: le toccava, le guardava con gioia”8. Questo atteggiamento affettuoso va molto più oltre di qualsiasi tipo di sentimentalismo, romanticismo o estetismo inconsistente.
Papa Francesco sintonizza con questa sensibilità francescana quando afferma che nelle creature possiamo contemplare, “ascoltare un messaggio, udire una voce”. C’è, infatti, “una manifestazione divina nello sfolgorare del sole e nel calare della notte” (LS 85).

1.2. La fraternità in Cristo
Francesco meditava continuamente i misteri dell’Incarnazione e della Redenzione, con i quali Cristo ha riconciliato tutto con il Padre e reso possibile la fraternità universale. Ogni cosa è stata così ri-creata, restituita allo stato di innocenza, ricuperando così la propria dignità e diventando membra del corpo di Cristo9 e luogo della Sua presenza.
prossimi e fratelliBasandosi su questa concezione teologica, Francesco “chiamava tutte le creature con il nome di fratello e sorella”10, appellativo che non appariva nella letteratura provenzale. Inoltre, nel Cantico di frate sole, sottolinea questa fratellanza universale disponendo le creature in tre gruppi: tre coppie di fratelli e sorelle. L’uomo appare come un microcosmo inserito nella grande famiglia del macrocosmo e, canalizzando l’armoniosa polifonia che tutte le creature rivolgono al Creatore, Francesco include sempre il cosmo nella sua lode11, lo percepisce come la sua casa, come il chiostro dove Dio si fa presente.
Francesco mostra una grande capacità di stabilire relazioni immediate, affettive. Invece di dominare, ascolta, impara, entra in relazione. Celano racconta che “perfino le creature prive di ragione sapevano intendere l’affetto fraterno e il grande amore che Francesco nutriva per esse”12. La loro risposta positiva stimola ulteriormente il suo atteggiamento di vicinanza, apertura e interazione.

1.3. Poveri e minori per essere operatori di pace
Sull’esempio di Cristo, povero e umile, Francesco chiede ai suoi frati l’espropriazione interiore e la povertà più radicale, sia a livello personale che comunitario13, ma la motivazione è teologica e relazionale, piuttosto che ascetica o penitenziale. Così risponde al vescovo di Assisi:
“Signore, se avessimo dei beni, per proteggerli avremmo bisogno di armi, perché è dalla proprietà che provengono questioni e liti, e così viene impedito in molte maniere tanto l’amore di Dio quanto l’amore del prossimo. Per questo non vogliamo possedere alcun bene temporale a questo mondo”14.
Povertà e minorità sono intese non come allontanamento manicheo dalla realtà, bensì come libertà interiore per poter amare le persone e le cose, senza l’affanno di dominarli o possederli. Francesco d’Assisi vede in tutti gli uomini un regalo divino, un invito a costruire la vera pace. La forza della sua testimonianza non passava inavvertita. In quell’ambiente bellicoso, risultava provocante, per esempio, che Francesco iniziasse sempre i suoi sermoni col saluto: “Il Signore vi dia pace!”.
“Ma poiché la gente non aveva ancora udito dalla bocca di alcun religioso un tale saluto, molto se ne stupiva. Altri, seccati, replicavano: «Cosa vuol dire questo vostro saluto?». Talmente che quel frate cominciò a sentirsi imbarazzato, e disse a Francesco: «Concedimi di dire un altro saluto ». Rispose Francesco: «Lasciali dire, ché non comprendono le cose di Dio»”15.
La pace non consiste in patti né in equilibrio di interessi, bensì nella “divina saggezza, ed il divino amore” (Rnb 17,16).
Per ciò, Francesco rinuncia ad ogni tipo di violenza o imposizione, si presenta disarmato e si espone ad oltraggi e vituperi. Non importa se lo ingiuriano o lo disprezzano (Rb 10,11). Egli vuole obbedire tutti, senza considerare il peccato altrui16, senza mormorare, calunniare, giudicare né condannare nessuno17. La perfetta allegria consisterà nell’accettare il rifiuto dei più prossimi senza perdere la pace né il senso della propria missione.
Il primo nemico sono i propri vizi e peccati (Rnb 22,5), che creano divisione nel proprio interno ed ostacolano la riconciliazione con gli altri. Per ciò, Francesco afferma la necessità di lasciarsi trasformare dallo Spirito (Rnb 17,14-16), che fa crescere in noi l’umiltà18, la pazienza, la modestia, la mansuetudine19, la bontà. Questa conversione interiore porta necessariamente ad essere minori e sudditi di tutti, a vivere “tra persone di poco conto e disprezzate” (Rnb 9,3), a praticare con essi la misericordia.
Liberato dalla bramosia del possedere e purificato interiormente delle radici dell’odio e della violenza, Francesco si apre all’ospitalità assoluta, all’incontro gioioso con tutti gli uomini, all’impegno attivo in favore della giustizia, della pace e della riconciliazione.
2. ALCUNE BASI FRANCESCANE PER SUPERARE L’INDIFFERENZA
Nella prima parte, abbiamo accennato come Francesco scopre gioiosamente la prossimità amorosa e gratuita del Verbo incarnato, che stabilisce con ogni creatura un rapporto personalizzato, ben articolato e compiuto. Accogliendo questa logica della gratuità, Francesco diventa fratello universale, pieno di simpatia, comunione e ammirazione reciproca verso tutti gli esseri, “spirituali e corporali”.
Seguendo l’esempio del fondatore, i francescani elaborano una riflessione filosofico-teologica che afferma il primato del bene sul vero e privilegia l’intuizione emotiva rispetto alla speculazione razionale. Piuttosto che conoscere, i frati cercano di ri-conoscere; invece di giudicare, invitano ad accompagnare, in modo attivo e cordiale. Nasce così un’etica del cuore e della compassione che ha l’Amore come punto di partenza e di arrivo. Dall’indifferenza si passa alla cura, dal distacco freddo e razionale, che giudica e condanna, alla presenza fraterna e misericordiosa.

2.1. L’attenzione alla persona concreta, nella sua singolarità
Per poter passare dall’indifferenza alla cura bisogna rivedere i presupposti filosofici e antropologici che hanno configurato la nostra visione della realtà. In questo senso, risulta chiaro che la metafisica occidentale trascura il singolare. Già la filosofia greca sosteneva la superiorità della conoscenza astrattiva, considerandola precedente e necessaria per poter arrivare a comprendere ognuno degli esseri concreti.
I pensatori francescani, invece, danno la priorità all’individuo concreto, nella sua singolarità e dignità, perché considerano che ognuno è stato scelto e amato da Dio tra molti possibili. Essendo frutto della volontà libera e amorosa di Dio, tutti gli esseri sono buoni e nessuno può essere considerato superficiale o accessorio, giacché Dio tutto conosce e tutto ama nella concreta singolarità.
Grazie alla haecceitas, ogni essere è unico e irrepetibile, indipendentemente dalla natura che condivida con il suo genere o specie. Questa differenza individuale è una caratteristica ontologica positiva che imita l’infinita individualità divina. In realtà soltanto Dio è capace di percepire pienamente la sacralità, individualità e rilevanza profonda di ogni essere.
In questa ontologia del concreto, la dimensione individuale prevale su quella universale e, di conseguenza, la conoscenza del singolare è quella più perfetta. La specie e la natura comune restano in un secondo piano, perché di fatto soltanto gli esseri singolari e individualizzati esistono nel mondo reale.
L’accento di Scoto sul valore del singolare dovrebbe aiutarci ad apprezzare la diversità di razze, culture e religioni come una ricchezza che Dio ci regala affinché, insieme e in assoluta ospitalità, facciamo il più bel mosaico in suo onore. Tutti gli esseri, fino al più irrilevante, riflettono la Trinità e, pertanto, hanno una dignità che deve essere rispettata. Essi contano sull’uomo per poter articolare la lode al Creatore e sviluppare le loro potenzialità. Uniti ad essi, anche noi facciamo l’itinerario verso Dio.

2.2. L’individualità non è individualismo
La cultura occidentale favorisce l’individualismo, ma non l’individualità, che sono concetti molto differenti. L’individualità rende possibile la relazione fraterna e affettuosa, mentre l’individualismo la nega, rendendo impossibile il vivere l’unità nella diversità.
Inoltre, “la specializzazione propria della tecnologia implica una notevole difficoltà di avere uno sguardo d’insieme. La frammentazione del sapere […] spesso conduce a perdere il senso della totalità, delle relazioni che esistono tra le cose” (LS 110).s
Francesco di Assisi, nel Cantico di frate sole, presenta il creato come una grande famiglia, e la descrive iniziando dal sole, simbolo di Cristo, fino ad arrivare a sorella morte. Questa unità e familiarità tra tutti gli esseri non annulla l’individualità e la sigolarità di ognuno di essi: il sole è “bellu e radiante cum grande splendore”, le stelle sono “clarite e preziose e belle”, e così via.
Scoto parla di una gran “catena dell’essere”, una fitta rete di relazioni che ha il suo origine e destino in Dio. Anche Bacon cerca di mostrare l’ordine del cosmo come risultato della armonica integrazione di tutte le sue parti.
Gli autori francescani affermano che, contemplando la bellezza irrepetibile di ogni essere, possiamo avvertire la presenza del Creatore e, fissando lo sguardo sul divino artefice, possiamo percepire la armonia del creato nella sua totalità. La bellezza, infatti, consiste in quella relazione armonica che ogni essere singolare mantiene con la totalità senza smettere di essere unico e irrepetibile.

3. COSTRUIRE LA PACE SOCIALE NELLO SPIRITO DI ASSISI
Molti autori sostengono che, per poter affrontare adeguatamente le sfide globali, le religioni devono assumere un ruolo più attivo nella sfera pubblica.
La sapienza delle grandi tradizioni religiose è in grado di offrire orientamenti ben fondati e altri contributi che possono essere decisivi al momento di costruire una nuova cultura di pace. “Il mondo ha bisogno di una rinascita attraverso i valori spirituali ed etici”. Fino ad ora, però, sono prevalse le opinioni di segno contrario.
La religione e l’etica sono state considerate una sorta di esperienza emotiva individuale da circoscrivere all’ambito privato. Küng sostiene che il dialogo interreligioso è la migliore risposta alle inquietanti sfide attuali, perché le religioni sono le istanze che, con maggior forza, possono fare appello all’essere umano in tutta la sua complessità di mente, di cuore e di spirito. Concretamente, l’etica politica si baserebbe su principi accettabili per tutti, come il rispetto per la vita, l’amore reciproco, l’onestà e la verità.
Il dialogo interreligioso dovrebbe affrontare gli enigmi più fondamentali della condizione umana, ad esempio il senso della vita e della morte, la sofferenza, la felicità, la nostra origine e la nostra meta.
In realtà, molte persone si avvicinano alla religione proprio perché sono in cerca di risposte a queste domande.
Papa Francesco ribadisce che la dimensione religiosa è fondamentale per poter costruire una società pacificata. Infatti, senza un’apertura trascendente, l’uomo cade facile preda del relativismo e nell’indifferenza verso gli altri e verso l’ambiente naturale.

3.1. Lo Spirito di Assisi
La “Giornata mondiale di preghiera per la pace”, convocata dal Papa Giovanni Paolo II ad Assisi, il 27 ottobre 1986, è stata considerata un frutto creativo e ben riuscito della dichiarazione del Concilio Vaticano II Nostra Aetate, a cui allude il Papa nella ricorrenza del 50º anniversario della sua pubblicazione (49GMP 2). In altre parole quella Giornata ad Assisi fu
“un’illustrazione visibile, una lezione dei fatti, una catechesi a tutti intelligibile, di ciò che presuppone e significa l’impegno ecumenico e l’impegno per il dialogo interreligioso raccomandato e promosso dal Concilio Vaticano II”20.global ethis
L’incontro rese evidente simbolicamente che le religioni possono svolgere un ruolo chiave nel porre le basi della convivenza pacifica nel mondo globalizzato. Vi presero parte centoventiquattro capi religiosi: sessantadue rappresentanti delle chiese cristiane e sessantadue membri delle altre religioni. “Sono venuti insieme per pregare, ma non per pregare insieme”, come è stato spiegato da Giovanni Paolo II al fine di evitare ogni possibile apparenza di sincretismo. Allo stesso tempo, il Papa ha sottolineato che “le differenze sono un elemento meno importante rispetto all’unità, che invece è radicale, basilare e determinante”21.
“Se l’ordine dell’unità è quello che risale alla creazione e alla redenzione ed è quindi, in questo senso, «divino », tali differenze e divergenze anche religiose risalgono piuttosto a un «fatto umano», e devono essere superate nel progresso verso l’attuazione del grandioso disegno di unità che presiede alla creazione”22.
Questa iniziativa pionieristica ha dato origine allo “Spirito di Assisi”, che promuove la pace nel mondo attraverso il dialogo interreligioso e la preghiera. In questo senso, Giovanni Paolo II aveva affermato: “ogni preghiera autentica si trova sotto l’influsso dello Spirito”. L’incontro di Assisi è stato molto efficace nel mostrare che la pace è un obiettivo prioritario per tutte le religioni e che “la religione non può che essere foriera di pace”23.
Con l’incontro di Assisi e altre iniziative, Giovanni Paolo II mostrò che la pace era al centro della sua azione pastorale e che le religioni devono assumere un ruolo importante nella ricerca della pace, soprattutto dopo la caduta del Muro di Berlino.
“La religione e la pace vanno di pari passo: dichiarare guerra in nome della religione è un’evidente contraddizione. […] Il compito che dovremo affrontare sarà quello di promuovere una cultura del dialogo. Da soli e tutti insieme, dobbiamo dimostrare che la fede religiosa ispira la pace, incoraggia la solidarietà, promuove la giustizia e sostiene la libertà” 24.
Alcuni anni più tardi, volendo evidenziare l’importanza dell’incontro interreligioso di Assisi, Benedetto XVI disse:
“Tra gli aspetti qualificanti dell’Incontro del 1986, è da sottolineare che questo valore della preghiera nella costruzione della pace fu testimoniato da esponenti di diverse tradizioni religiose, e ciò avvenne non a distanza, ma nel contesto di un incontro. In questo modo gli oranti delle varie religioni poterono mostrare, con il linguaggio della testimonianza, come la preghiera non divida ma unisca, e costituisca un elemento determinante per un’efficace pedagogia della pace, imperniata sull’amicizia, sull’accoglienza reciproca, sul dialogo tra uomini di diverse culture e religioni25.
3.2. Il necessario cambio di mentalità nello Spirito di Assisi
Il dialogo interreligioso richiede interlocutori sicuri delle proprie convinzioni e in continua ricerca della verità. Cercando la pace, i capi religiosi e i credenti dovranno affrontare con coraggio temi come la violenza, la guerra e la criminalità organizzata. Papa Francesco, infatti, sta mostrando una grande determinazione in questo senso. In riferimento alla Mafia, ha affermato: “coloro che nella loro vita seguono questa strada di male, come sono i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati!”26. La forte reazione delle persone coinvolte dimostra l’efficacia delle parole del Papa.
slide 1Purtroppo, la criminalità organizzata e la guerra sono un grande business. A causa di molteplici interessi, le finanze globali e l’industria sono orientate alla guerra; la scienza è impegnata nello sviluppo delle armi e i Mass media spesso presentano la violenza come qualcosa di naturale e inevitabile.
È necessario eliminare questi errori e superare la visione antropologica negativa (homo homini lupus), che esclude la possibilità di una pace duratura. In questo senso, il preambolo della Costituzione dell’UNESCO afferma: “poiché le guerre nascono nella mente degli uomini, è nello spirito degli uomini che devono essere poste le difese della pace”.
Abbiamo bisogno di un “disarmo mentale” che ci liberi dall’avidità, dall’odio, dai pregiudizi. Questa necessaria guarigione va oltre le nostre forze in un mondo segnato dalla violenza. I credenti di diverse religioni ritengono che questo cambiamento di mentalità non sia soltanto un compito urgente per ogni uomo, ma anche un dono da chiedere continuamente a Dio, giacché solo lui può portare la vera pace.
Le religioni hanno una lunga tradizione di saggezza e di impegno disinteressato nell’affrontare le questioni sociali. Di fatto, le organizzazioni religiose sono note a livello mondiale per la loro sollecitudine e diligenza nell’aiutare le persone più vulnerabili. La vicinanza affettuosa all’altro favorisce il senso di responsabilità, crea legami di fiducia e costruisce la coesistenza pacifica. Inoltre, le religioni aprono gli esseri umani alla contemplazione della bellezza in un modo che qualsiasi ideologia o materialismo sarebbe incapace di fare. Con l’aiuto divino, i nostri errori e le nostre imperfezioni non sono più un ostacolo alla crescita personale e sociale, poiché Cristo, sposo bellissimo, tutto purifica e così ristabilisce la bellezza facendo “nuove tutte le cose”27.

CONCLUSIONE
La religione (re-ligare) ha come scopo il costruire la comunità, cioè i legami umani che uniscono e danno vita. Attraverso l’incontro personale, il perdono e i rapporti di fiducia, la religione pone veramente le basi della pace. Invece, il sistema economico-finanziario oggi dominante offre molti mezzi tecnici di connessione, ma non riesce a evitare che le persone si sentano sempre più sole.
Nella nostra società individualista, i legami familiari sono sempre più deboli e il globale minaccia il locale. I Media e le reti sociali offrono soltanto un’illusione di comunità, mentre in realtà rispondono alla logica del consumismo. L’assenza di un contatto umano diretto favorisce, ad esempio, l’esibizionismo e il cyber-bullismo.
La stessa dinamica di irresponsabilità agisce nella guerra moderna che uccide migliaia di persone senza guardarle in faccia, ridotte di proposito a mere figurine statistiche sullo schermo del computer.slide 2
Cercando ciecamente un progresso materiale fine a se stesso, l’economia promuove una guerra di interessi in cui si sacrifica l’essere umano e si abusa della natura perché, come diceva Hobbes, “la tua morte è la mia vita”.
Contraddicendo questa visione darwiniana della società, i francescani affermano che il bene più desiderabile è la relazione con l’Altro e con gli altri, lo “stare con” (inter-esse). Bisogna creare l’atmosfera adeguata affinché ogni persona cerchi di realizzarsi “non contro o accanto agli altri, ma con e in comunione con loro”28.
La vera religione promuove la pace, l’armonia e la riconciliazione, risanando le quattro relazioni fondamentali: con Dio, con gli altri esseri umani, con sé stessi e con la natura. Anche la morte diventa una sorella nella percezione dei credenti come Francesco d’Assisi, perché ci apre la porta alla vera vita. In quel momento solenne, saremo giudicati sull’amore.

1 FRANCESCO, «Messaggio per la 48ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali» [=GMCS], 24-01-2014.
2 FRANCESCO, «Lettera enciclica Laudato Si’», [=LS], 24-05- 2015, n. 47, LEV, Città del Vaticano 2015.
3 BENEDETTO XVI, «Discorso nell’incontro con i giovani», S. Maria degli Angeli, 17 giugno 2007.
4 FRANCESCO D’ASSISI, Testamento, [=Test], n. 4 e 6, in Fonti Francescane [=FF], Ed. Francescane, Padova 32011, 110-131, qui 111-112.
5 FRANCESCO D’ASSISI, Regola non bollata, [=Rnb], n. 23,2, in FF 1-73, qui 63.
6 Cf. 1Cel 81, in FF 460.
7 CELANO T., Memoriale nel desiderio dell’anima [Vita seconda], [2Cel], n. 165, in FF 578-820, qui 750.
8 Cf. Compilatio Assisiensis, n. 88, in FF 1544-1676, qui 1623.
9 Cf. 1Cor 12,12-31.
10 1Cel 81, in FF 461.
11 Cfr FRANCESCO D’ASSISI, Lettera ai fedeli. Seconda redazione, [2CtaF], n. 61-62, in FF, 179-206, qui 202; ExhAl 10- 11, in FF 265.
12 1Cel 59, in FF 426.
13 “Non si approprino di nulla”. Rb 6,1, in FF 90.
14 Leggenda dei tre Compagni, [=3Comp], n. 35 in FF 1394- 1487, qui 1438.
15 Specchio di perfezione, [EP] n. 26, in FF 1677-1825, qui 1710.
16 Test 9, in FF 113; FRANCESCO D’ASSISI, Lettera a un Ministro, [=CtaM], n. 5-11, in FF 234-239, qui 235.
17 Rnb 11,7-12, in FF 37. Non sparlino di quelli che mangiano e vestono bene. Rb 2,17, in FF 81; Rnb 9,12, in FF 32.
18 I frati “cerchino di umiliarsi in tutte le cose”. Rnb 17,5, in FF 47.
19 Rnb 11, 3-4.9, in FF 36-37.
20 GIOVANNI PAOLO II, «Discorso alla Curia romana», 22-12- 1986, n. 3, in AAS 79 (1987) 1082-1090.
21 GIOVANNI PAOLO II, «Discorso alla Curia romana», 22-12- 1986, cit., n. 3.
22 GIOVANNI PAOLO II, «Discorso alla Curia romana», 22-12- 1986, cit., n. 5.
23 BENEDETTO XVI, «Lettera a S.E. Mons. Domenico Sorrentino in occasione del XX anniversario dell’incontro interreligioso di preghiera per la pace» 2-09-2006, in AAS 98 (2006) 749-754.
24 GIOVANNI PAOLO II, «Discorso ai rappresentanti religiosi», 28-10-1999, n. 3, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, [=InsJP2], Lev, Città del Vaticano, vol. 22/2 (1999) 651-655, qui 653.
25 BENEDETTO XVI, «Lettera a S.E. Mons. Domenico Sorrentino…», cit.
26 FRANCESCO, «Omelia nella spianata dell’area ex Insud (Sibari, Calabria)», 21-06-2014.
27 Ap 21,5.
28 BENEDETTO XVI, Discorso ai nuovi ambasciatori presso la Santa Sede (16-12-2010), in OR (17-12-2010), 3.