PREMESSA
Vivere in profondità il mistero dell’Incarnazione di Gesù Cristo che muore e risorge per salvare e rinnovare il mondo: questo potrebbe essere in sintesi il contenuto del Messaggio per la Giornata mondiale della pace del 1° gennaio 2025: “Rimetti a noi i nostri debiti, concedici la tua pace”.1 Per noi, che camminiamo in questo mondo con Cristo risorto, in mezzo ad angosce, disperazioni, confusioni, delusioni, come i discepoli di Emmaus, papa Francesco ci ricorda che, al di là di tutto e nonostante tutto ciò che può disorientare, dobbiamo guardare al nostro cuore – noi siamo, in ultima analisi, il nostro cuore – che viene guarito e reso più capace di amare perché Dio diventa l’Emmanuele, il Dio con noi, nel suo Verbo fatto carne. In un mondo liquido, in una società di consumatori seriali che vivono alla giornata, dominati dai rumori e dai ritmi della tecnologia, scrive papa Francesco nella sua ultima enciclica Dilexit nos, è necessario ritornare al cuore, parlare nuovamente del cuore, scendere nell’interiorità. Oggi il rischio è quello di smarrire il centro, di perdere il cuore dell’uomo. Per cambiare le cose, per creare movimenti sussultori che spacchino le incrostazioni che soffocano la vita vera, occorre giungere lì ove ogni persona, di ogni categoria e condizione, fa la sua sintesi, lì ove le persone concrete hanno la fonte e la radice di tutte le altre loro forze, convinzioni, passioni, scelte.2 Bisogna superare il razionalismo, l’intellettualismo generatore di un individualismo malsano che non dà spazio all’amore, ad un vero incontro con gli altri, alla fraternità.
Le persone costruiscono la loro vita a partire dal cuore, che consente di coesistere con gli altri cuori, di riconoscersi come dei «tu» entro un «noi» di cuori, strutturati a tu.3
Nel cuore di ogni persona si produce una stretta connessione tra la valorizzazione di sé e l’apertura agli altri, tra l’incontro personalissimo con sé stessi e il dono di sé agli altri. Si diventa sé stessi quando si acquista la capacità di riconoscere l’altro, e si incontra con l’altro chi è in grado di riconoscere e accettare la propria identità.4 È il cuore che ci fa riconoscere gli altri come identità spirituali, come degli «io» distinti e, nello stesso tempo, come esseri interi, fatti di anima e corpo, soggetti liberi e responsabili, strutturalmente aperti agli altri.
È il cuore che ci mette in comunione con le altre persone e ce le fa amare come centri di amore, secondo la verità dell’essere globale della nostra persona, vivente come sinolo di anima e di corpo.5 «Il “cuore” ascolta in modo non metaforico “la silenziosa voce” dell’essere, lasciandosi temperare e determinare da essa».6 Il cuore coglie i nostri legami, rende possibili vere e sane relazioni favorendo l’apertura agli altri; supera la frammentazione degli individualismi, ci fa diventare noi stessi assieme agli altri, assieme a Dio, vivendo in una comunità fraterna.
In definitiva, se il nostro cuore non viene guarito da Cristo, se il nostro cuore di pietra non diviene un cuore di carne, ossia un cuore che si apre all’affetto e all’amore che viene dal cuore di Dio, non vivremo autenticamente il mistero del Natale e, quindi, il Giubileo.7 L’anno di grazia del Giubileo proviene, sgorga, dal cuore del Redentore, accolto, celebrato, testimoniato!

1. L’APERTURA DELL’ANNO GIUBILARE NELLA NOTTE DI NATALE: NON UNA MERA CAUSALITÁ
A tutti voi – così esordisce papa Francesco nel Messaggio – speranza e pace, «perché questo è un Anno di grazia che proviene dal cuore del Redentore».8 In questa maniera il pontefice esprime la sua profonda convinzione.
L’anno giubilare come nell’Antico Testamento, va vissuto come un anno di clemenza e di liberazione per tutti coloro che vivono sulla faccia della terra. Dev’essere un anno in cui si ristabilisce la giustizia di Dio, secondo il quale nessuna persona viene al mondo per essere oppressa: «siamo fratelli e sorelle, figli dello stesso Padre, nati per essere liberi secondo la volontà del Signore (cf Lv 25,17.25.43.46.55)».
Proprio perché l’anno del Giubileo è un anno di grazia che proviene dal cuore del Redentore, papa Francesco ha aperto la porta santa nella notte del Natale, in cui il Verbo si è fatto carne, è venuto ad abitare fra noi, è divenuto uomo per la nostra salvezza. L’antica celebrazione del Giubileo ebraico, già ripresa dalla Chiesa cattolica da papa Bonifacio VIII nel secolo XIII, variamente adattata dai successori, è rivissuta in relazione a Gesù Cristo, al grande Evento dell’incarnazione, morte e risurrezione del Figlio di Dio.
Papa Francesco, aprendo la porta dell’anno santo nella notte di Natale ci ha voluto far capire, in maniera tangibile e visiva, che il Giubileo della speranza 2025 si innesta nel tronco dell’albero della Vita, che è la Croce di Cristo, speranza che non delude (cf Rm 5,5). Esso va celebrato e vissuto in comunione con Colui che ci colma di speranza, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.
Solo a partire dal cuore di Cristo crocifisso, solo camminando uniti al suo Cuore – che è estasi, uscita e dono totale, incontro – diventiamo capaci di relazionarci in modo sano e felice e di realizzare le istanze del Giubileo, costruendo in questo mondo, per quanto possibile, il Regno di Dio, regno di giustizia e di pace. Solo il nostro cuore unito a quello di Cristo è capace di compiere dei «miracoli sociali»,9 che lo stesso Messaggio per la pace di quest’anno ci suggerisce di realizzare.

2. IL NESSO STRETTO TRA NATALE ED ANNO SANTO: L’AMORE DI CRISTO CI PONE IN MARCIA COME PELLEGRINI DI SPERANZA
L’anno giubilare è anno di speranza perché scaturisce da Cristo nostra Speranza. Ciò induce ad approfondire il nesso stretto tra Anno santo e Natale. La grazia che dobbiamo accogliere e vivere con/nel Giubileo è la stessa che riceviamo con la nascita di Dio nella nostra umanità, nel mondo.
Divenendo Bambino, il Figlio di Dio viene ad abitare nella nostra umanità per divinizzarla, per renderla nuova, capace di amare, di perdonare come Lui. La vita nuova che, durante il Giubileo, siamo chiamati a concretizzare e a estendere nel mondo, ferito da ingiustizie, guerre fratricide, povertà, disastri ecologici, a seguito anche di alluvioni e di terremoti, è la stessa vita di amore, di perdono, di bontà, di servizio solerte al bene comune – specie nei confronti dei più poveri –, che ci è portata da Gesù, il Figlio di Dio, nato da Maria.
L’incarnazione del Figlio di Dio ci pone in una comunione mirabile con Lui morto e risorto. Ne condividiamo l’amore e la vita immortale, mediante quel sublime scambio che avviene tra natura umana e la natura divina nel Natale del Bambino Gesù: la nostra debolezza è assunta dal Verbo, la natura mortale è innalzata a dignità perenne.
Noi, uniti a Dio, in comunione con Lui, condividiamo la sua vita trascendente. Se noi siamo associati alla vita del Figlio e camminiamo con Lui, il percorso della nostra vita è, in certo modo, indicato. Noi cresciamo in pienezza nella nostra singola umanità, ma anche come famiglia umana, se viviamo in comunione con il Signore Gesù che ci divinizza, ci rende capaci di amare come Dio, siede con la sua umanità gloriosa accanto al Padre e ci attende lassù per condividerla.
È così che noi diveniamo pellegrini di speranza!
Aneliamo a partecipare al compimento umano che Cristo ha già realizzato. L’amore di Cristo, a noi partecipato con il suo Natale, ci mette in marcia verso un’umanità in pienezza. Siamo chiamati non a qualcosa di astratto, di etereo, bensì verso Gesù Cristo, che è l’insuperabile assoluto umano di Dio!
Con noi e attraverso di noi avanzano, verso il Cristo glorioso, tutte le creature.10 Tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, vengono ricondotte a Cristo, ricapitolate in Lui, unico capo, mediante la ricchezza della sua grazia. Una tale ricchezza di vita è riversata in noi (cf Ef 1,10), mediante l’amore di Cristo a noi partecipato. Con tale amore aiutiamo l’universo a svilupparsi in Dio, che tutto lo riempie con un’impronta trinitaria. Ogni creatura porta in sé, insegnava san Bonaventura, una struttura propriamente trinitaria.
Vivendo in comunione con l’amore di Dio, l’uomo riconosce il dinamismo trinitario che Dio ha impresso in noi e nel cosmo fin dalla creazione. Non solo lo riconosce ma lo asseconda, cercando di portarlo a compimento, secondo la pienezza realizzata in Cristo, camminando verso la casa comune del cielo, al di là del sole.11
Nella nostra esistenza terrena, contrassegnata da ingiustizie, conflitti, diseguaglianze, prevaricazioni sui più deboli, sfruttamenti delle risorse umane e naturali dei Paesi più poveri, trattamenti disumani delle persone migranti, non possiamo limitarci, per conseguenza, ad aspettare. Dobbiamo annunciare, organizzare, costruire la speranza! Come pellegrini della speranza, che è Cristo Gesù, proprio per essere segni efficaci e luminosi di speranza, dobbiamo tracciare e concretizzare cammini di speranza per tutti. Tocca a tutti organizzare la speranza e tradurla nella quotidianità, nei rapporti umani, nei legami con il pianeta, nell’impegno sociale e politico.
Tocca, ovviamente, anche alla Chiesa e ai credenti, pena la contro testimonianza, la rinuncia a vivere il sacerdozio, la profezia, la regalità di Cristo, che si è incarnato, è morto e risorto per noi, per l’umanità.
Nella sua pienezza trascendente abbraccia e illumina tutto. È così che Egli porta a compimento la nuova creazione iniziata con l’Incarnazione. Qui si radica l’impegno missionario della Chiesa relativo all’evangelizzazione del sociale e all’organizzazione della correlativa pastorale sociale, le quali non possono essere disattese, pena il rischio di sfigurare il senso integrale della Redenzione di Cristo.12

3. APRIRE SENTIERI DI SPERANZA SIGNIFICA RICONOSCERE LA FRATERNITÁ E RICERCARE LA GIUSTIZIA LIBERANTE DI DIO SU TUTTA LA TERRA
Celebrare il Giubileo, connesso con il mistero della redenzione di Cristo, significa sentirsi chiamati a rompere le catene dell’ingiustizia. Ma, prima ancora, significa riconoscere l’errore di negare di avere un unico Padre, Dio, che destina i beni della terra a tutti. Ignorare di avere un unico Padre porta a negare la fraternità tra gli uomini, la destinazione universale dei beni, la solidarietà. Porta alla mancanza sia di gratitudine nei confronti di Dio sia di responsabilità nei confronti dei propri fratelli. È spalancata la porta dello sfruttamento dei propri fratelli, della crisi del debito estero dei Paesi più poveri13 sulle cui spalle pesa talvolta il peso del debito ecologico dei Paesi più sviluppati.14 È chiedendo perdono a Dio, mediante conversione, che poniamo le condizioni per riconoscere la fraternità tra i popoli, per rimuovere le ingiustizie e le diseguaglianze. Papa Benedetto insegnava che «convertirsi significa cambiare direzione nel cammino della vita: non, però, con un piccolo aggiustamento, ma con una vera e propria inversione di marcia.
Conversione è andare controcorrente, dove la “corrente” è lo stile di vita superficiale, incoerente ed illusorio, che spesso ci trascina, ci domina e ci rende schiavi del male o comunque prigionieri della mediocrità morale. Con la conversione, invece, si punta alla misura alta della vita cristiana, ci si affida al Vangelo vivente e personale, che è Cristo Gesù. È la sua Persona la meta finale e il senso profondo della conversione. È Lui la via sulla quale tutti sono chiamati a camminare nella vita, lasciandoci illuminare dalla sua luce e sostenere dalla sua forza che muove i nostri passi».15
C’è bisogno di un cambiamento spirituale e culturale. In una simile situazione, quella della crisi del debito, dobbiamo riconoscere che siamo tutti debitori, che abbiamo doveri di giustizia. Tutti, Paesi ricchi e Paesi poveri, sono chiamati a riconoscersi debitori gli uni degli altri. La crisi del debito, che può essere considerata una «struttura di peccato» – implicante una logica di sfruttamento del debitore, ove il più forte pretende di avere il diritto di prevaricare sul più debole –, potrà essere superata quando ci si riconoscerà finalmente tutti figli del Padre e, davanti a Lui, ci si confesserà tutti debitori, ma anche tutti necessari l’uno all’altro, secondo una logica condivisa e diversificata.
Solo allora potremo scoprire una volta per tutte che abbiamo bisogno e siamo debitori gli uni degli altri.16 Il cambiamento spirituale e culturale comanderà il cambiamento delle «strutture di peccato» sulle quali scrisse san Giovanni Paolo II nell’enciclica Sollicitudo rei socialis.17
Col cambiamento spirituale e culturale papa Francesco suggerisce tre azioni che possono ridare dignità alla vita di intere popolazioni e rimetterle in cammino sulla via della speranza, affinché si superi la crisi del debito e tutti possono ritornare a riconoscersi debitori perdonati:
1) Anzitutto, come propose san Giovanni Paolo II in occasione dell’anno 2000, una consistente riduzione, se non il totale condono del debito internazionale, che pesa sul destino di molte Nazioni. Riconoscendo il debito ecologico, i Paesi più benestanti si sentano chiamati – scrive papa Francesco – a far di tutto per condonare i debiti di quei Paesi che non sono nella condizione di ripagare quanto devono.
Purtroppo, la piaga del debito estero, nonostante l’ampio condono fatto venticinque anni fa, non è scomparsa, anzi è aumentata. Ciò, a giudizio del professor Stefano Zamagni, già presidente della Pontificia Accademia delle scienze sociali, è avvenuto perché l’economia globale ha mantenuto una sua struttura di «usurocrazia». Una tale struttura è alimentata, da una parte dall’aumento dei tassi di interesse, frutto di politiche finanziarie speculative, dall’altra dall’irresponsabilità dei governanti che destinano somme enormi dei prestiti ottenuti all’arricchimento di individui specifici, invece di utilizzarle per sostenere i cambiamenti necessari allo sviluppo dei Paesi.
Se, dunque, come scrive papa Francesco nel Messaggio (cf n. 11), non si vuole ridurre il condono ad un atto isolato di beneficenza, che rischia poi di innescare nuovamente un circolo vizioso di finanziamento-debito, ossia se si vuole sradicare la piaga del debito estero, occorre sviluppare una nuova architettura finanziaria, invocata anche dai BRICS, che porti alla creazione di una Carta finanziaria globale. E ciò mediante alcuni passi: a) l’eliminazione del neocolonialismo, implicante, ad esempio, l’accaparramento delle terre (land grabbing), il «commercio triangolare» oggi inserito nelle supply chains (catene di approvvigionamento); 18 b) l’applicazione ai propri lavoratori, da parte delle multinazionali operanti nel mondo, degli stessi standard sociali in atto nei propri paesi di provenienza; c) il cambiamento degli Statuti del FMI, della Banca Mondiale, del WTO, dell’OMS: le regole di funzionamento di tali organizzazioni sono state scritte nel 1944 a Bretton Woods, e sono state tarate sul processo di sviluppo dei paesi occidentali, mentre dovrebbero essere riscritte in un senso più universalistico, tenendo conto dei problemi del mondo, anche dei Paesi Global South;19 d) la riforma delle Nazioni Unite, eliminando il diritto di veto finora riconosciuto ai membri permanenti del Consiglio di sicurezza, dando vita ad una Assemblea parlamentare delle Nazioni Unite sul modello della proposta avanzata dalla OMG Democracy Without Borders; e) la progettazione di un modello di integrazione per i migranti che vada oltre le mere politiche di accoglienza e verso un modello di dialogo interculturale, superando il modello multiculturalista di tipo inglese o di assimilazione di matrice francese, dando vita ad una Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (OIM) sulla falsariga dell’Organizzazione Mondiale del Commercio;
2) Una seconda azione importante per papa Francesco è la promozione, ferma ed ampia, di una cultura della vita e della speranza,20 attraverso, in particolare, il rispetto della dignità della vita umana dal concepimento alla morte naturale e l’eliminazione della pena di morte in tutte le Nazioni.21 La pena di morte, infatti, annienta ogni speranza umana di perdono e di rinnovamento. Il rifiuto della pena di morte deve essere assoluto. Comprende, secondo papa Francesco, anche altre forme camuffate di omicidio da parte dell’apparato repressivo dello Stato come, sotto alcune latitudini, le esecuzioni extragiudiziali. Non si può permettere che continuino a esserci funzionari pubblici che si rifugiano all’ombra dei poteri statali per giustificare questi delitti. Sono crimini che, in molti casi, presentano anche elevate componenti di razzismo e classismo.
Nello stesso spirito, si deve denunciare un’altra pena di morte mascherata, che sulla scena internazionale, è basata su attacchi selettivi con droni e altre armi di precisione a distanza contro presunti criminali, spesso legati a delitti di terrorismo e cospirazioni. Cristiani e uomini e donne di buona volontà sono chiamati a lottare non solo per l’abolizione della pena di morte in tutte le sue forme, ma anche per un miglioramento delle condizioni carcerarie affinché rispettino la dignità umana dei detenuti;22
3) La grande terza azione che propone papa Francesco è l’utilizzo di almeno una percentuale fissa del denaro impiegato negli armamenti per la costituzione di un Fondo mondiale che elimini definitivamente la fame e faciliti nei Paesi più poveri attività educative e volte a promuovere lo sviluppo sostenibile, contrastando il cambiamento climatico.

4. CONCLUSIONE: LA META DELLA PACE
Papa Francesco reputa che le azioni suggerite, qualora messe in atto, possano rendere più vicina l’agognata meta della pace.23 Quando ci si spoglia dell’arma del credito e si aprono sentieri di speranza – come, ad esempio, la cessazione dell’aggressione di altri Paesi e l’apertura di trattative di pace, come l’eliminazione di tante situazioni di sfruttamento della terra24 e del trattamento disumano delle persone migranti, come forme di amnistia o indulto per restituire speranza ai detenuti,25 come il superamento della crisi della democrazia che ha il cuore ferito, 26 come l’amore politico che non si accontenta di curare gli effetti ma cerca di affrontare le cause,27 come la creazione di un’Agenzia internazionale per l’IA che ne promuova le applicazioni pacifiche nei vari contesti civili, perché non siano sostituite le capacità dell’uomo anziché aumentarle, per ridurre effettivamente le diseguaglianze, come –,28 si può contribuire al ristabilimento della giustizia e della pace. La vera pace può nascere solo da un cuore disarmato: «un cuore che non si impunta a calcolare ciò che è mio e ciò che è tuo; un cuore che scioglie l’egoismo nella prontezza ad andare incontro agli altri; un cuore che non esita a riconoscersi debitore nei confronti di Dio e per questo è pronto a rimettere i debiti che opprimono il prossimo; un cuore che supera lo sconforto per il futuro con la speranza che ogni persona è una risorsa per questo mondo».29
Previe a tutto questo è la speranza di un’umanità fraterna, la fede, che ci consentono di riconoscerci tutti fratelli e sorelle, di camminare accanto a fratelli e sorelle ritrovati. «La speranza di un mondo fraterno non è un’ideologia, non è un sistema economico, non è il progresso tecnologico. La speranza di un mondo fraterno è Lui, il Figlio incarnato, mandato dal Padre perché tutti possiamo diventare ciò che siamo, cioè figli del Padre che è nei cieli, e quindi fratelli e sorelle tra di noi».30
Con l’annuncio di Gesù Cristo, della sua amicizia per tutti, testimoniamo in mezzo all’umanità Colui che tutti convoca e tutti invia verso un Giubileo evento di tutti. Aiutiamo le nuove generazioni a prendere sempre più coscienza che sono richiesti per il Signore, per Lui solo (cf 1 Sam 1,28).
Il Signore Gesù, la Madre di Dio e della Chiesa, ci sollecitano a farci luminosi entro e in continuità con la grande ed universale Epifania del Figlio di Dio a tutti i popoli.
+ Mario Toso

1 Cf FRANCESCO, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1° gennaio 2025: “Rimetti a noi i nostri debiti, concedici la tua pace”, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2024.
2 Cf FRANCESCO, Dilexit nos (=DN), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2024, n. 9.
3 Cf DN, n. 12.
4 Cf DN, n. 18.
5 Cf DN, nn. 14-16. È a questo punto, ossia quello del cuore come ciò che ci consente di cogliere il centro delle persone, la realtà tutt’intera della persona, in quanto essere corporeo e spirituale, è su questo piano, quello del cuore che non esclude, anzi implica una connessione con la verità dell’essere, che troviamo la continuità tra il magistero sociale di Benedetto XVI, autore dell’enciclica Caritas in veritate, e il magistero sociale di papa Francesco che scrive l’enciclica Dilexit nos. 6 DN, n. 16.
7 FRANCESCO, Spes non confundit. Bolla di indizione del Giubileo ordinario dell’anno 2025, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2024. Sul Giubileo e sull’anno giubilare si legga: R. FISICHELLA, Il Giubileo della speranza, San Paolo Edizioni, Milano 2024. Per aiutare a vivere l’Anno Santo sono usciti vari pronunciamenti e sussidi. Nella Diocesi di Faenza- Modigliana è stato pubblicato Pellegrini di speranza. Anno Santo 2025, Edizioni delle Grazie, Bona Digital Print (TO) 2024.
8 DN, n. 1.
9 Cf DN, nn. 28-29.
10 Cf DN, n. 31.
11 Cf FRANCESCO, Laudato sì’, nn. 233-245.
12 Cf FRANCESCO, Evangelii gaudium, n. 176. Sull’evangelizzazione del sociale si può leggere M. TOSO, Nuova evangelizzazione del sociale. Per una nuova cultura politica e di democrazia, Diocesi di Faenza-Modigliana, Universal Book di Rende-CS 2024.
13 Il problema del debito affligge in particolare molti Paesi del sud globale. Affligge milioni di famiglie e di persone nel mondo. Parlando della crisi del debito, papa Francesco, il 5 giugno 2024 ebbe a dire: «Ai popoli non serve un finanziamento qualsiasi, ma quello che implica una responsabilità condivisa tra chi lo riceve e chi lo concede. Il beneficio che questo può apportare a una società dipende dalle sue condizioni, da come viene usato e dagli ambiti in cui si risolvono le crisi dei debiti che possono prodursi. Dopo una globalizzazione mal gestita, dopo la pandemia e le guerre, ci troviamo di fronte a una crisi del debito che colpisce soprattutto i Paesi del sud del mondo, generando miseria e angoscia, e privando milioni di persone della possibilità di un futuro dignitoso. Di conseguenza, nessun governo può esigere moralmente dal suo popolo che subisca privazioni incompatibili con la dignità umana. Per cercare di rompere il circolo finanziamento-debito sarebbe necessaria la creazione di un meccanismo multinazionale, basato sulla solidarietà e sull’armonia tra i popoli, che tenga conto del significato globale del problema e delle sue implicazioni economiche, finanziarie e sociali. L’assenza di tale meccanismo favorisce il “si salvi chi può”, dove a perdere sono sempre i più deboli» (FRANCESCO, Discorso ai partecipanti all’Incontro “Debt Crisis in the Global South”, 5 giugno 2024).
14 In generale, il debito ecologico fa riferimento, in termini di obbligazione e responsabilità, a quanto i Paesi industrializzati, o Nord del mondo, hanno accumulato nei confronti dei Paesi in via di sviluppo, o Sud del mondo, per aver sfruttato le loro risorse naturali e aver contribuito in modo determinante al loro degrado ambientale e sociale. Su questo ha scritto l’enciclica Laudato sì’ (cf nn. 51-52) come anche l’esortazione apostolica Laudate Deum (4 ottobre 2023), che ha evidenziato sia la debolezza della politica internazionale sia i progressi e i fallimenti delle Conferenze sul clima.
15 BENEDETTO XVI, Udienza generale, 17 febbraio 2010; corsivo non presente nel testo originale.
16 Cf FRANCESCO, Messaggio per la giornata mondiale della pace 1° gennaio 2025, n. 8.
17 Cf GIOVANNI PAOLO II, Sollicitudo rei sociallis, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1987, nn. 35-37. Le «strutture di peccato» o i peccati sociali si radicano nei peccati personali e, quindi, sono sempre collegati ad atti concreti delle persone che, da sole o in gruppo, li introducono, li consolidano, li rendono difficili da rimuovere. E così si rafforzano, si diffondono e diventano sorgente di altri peccati, condizionando la condotta degli uomini.
18 Per supply chain o catena di approvvigionamento si intende il processo che permette di portare sul mercato un prodotto o servizio, trasferendolo dal fornitore fino al cliente.
19 Se le suddette organizzazioni internazionali non verranno riformate il debito estero continuerà ad essere prodotto. Non è sufficiente cancellare il debito se non si modificano i fattori che lo generano. Uno dei fattori causali è legato alla politica delle sovratasse (surcharges) che il FMI impone ai Paesi che ritardano a rispettare i tempi della restituzione dei prestiti ottenuti. Non solo sta aumentando il numero dei Paesi che pagano sovratasse al FMI, ma è pure salito il tasso base del FMI che è passato da meno l’1% a quasi il 5%. Le penalizzazioni che il FMI impone ai Paesi che ritardano a rispettare i tempi della restituzione dei prestiti ottenuti è antitetico alla missione stessa del Fondo che è quello di favorire la stabilità finanziaria (cf D. MOTTA, Intervista a Stefano Zamagni: «Le democrazie tornino a pensare in grande. Stop al neocolonialismo», in «Avvenire», 27 dicembre 2024, pagina 1-8/ foglio ¼).
20 Siamo chiamati a guardare al futuro con speranza. «Purtroppo, dobbiamo constatare con tristezza che in tante situazioni tale prospettiva viene a mancare. La prima conseguenza è la perdita del desiderio di trasmettere la vita. A causa dei ritmi di vita frenetici, dei timori riguardo al futuro, della mancanza di garanzie lavorative e tutele sociali adeguate, di modelli sociali in cui a dettare l’agenda è la ricerca del profitto anziché la cura delle relazioni, si assiste in vari Paesi a un preoccupante calo della natalità. Al contrario, in altri contesti, “incolpare l’incremento demografico e non il consumismo estremo e selettivo di alcuni, è un modo per non affrontare i problemi”. L’apertura alla vita con una maternità e paternità responsabile è il progetto che il Creatore ha inscritto nel cuore e nel corpo degli uomini e delle donne, una missione che il Signore affida agli sposi e al loro amore. È urgente che, oltre all’impegno legislativo degli Stati, non venga a mancare il sostegno convinto delle comunità credenti e dell’intera comunità civile in tutte le sue componenti, perché il desiderio dei giovani di generare nuovi figli e figlie, come frutto della fecondità del loro amore, dà futuro ad ogni società ed è questione di speranza: dipende dalla speranza e genera speranza. La comunità cristiana, perciò, non può essere seconda a nessuno nel sostenere la necessità di un’alleanza sociale per la speranza, che sia inclusiva e non ideologica, e lavori per un avvenire segnato dal sorriso di tanti bambini e bambine che vengano a riempire le ormai troppe culle vuote in molte parti del mondo. Ma tutti, in realtà, hanno bisogno di recuperare la gioia di vivere, perché l’essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio (cf Gen 1,26), non può accontentarsi di sopravvivere o vivacchiare, di adeguarsi al presente lasciandosi soddisfare da realtà soltanto materiali. Ciò rinchiude nell’individualismo e corrode la speranza, generando una tristezza che si annida nel cuore, rendendo acidi e insofferenti » (FRANCESCO, Spes non confundit, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2024, n. 9).
21 Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden – pare che fondamentale sia stata la telefonata di qualche giorno fa con papa Bergoglio al quale Biden farà visita il 10 gennaio 2025 – ha commutato le pene capitali di 37 dei 40 detenuti federali nel braccio della morte (senza abolire la pena di morte), agendo prima del possibile ritorno di Donald Trump, che durante il suo primo mandato aveva consentito un alto numero di esecuzioni. Papa Francesco ha approvato con un Rescritto la nuova redazione del n. 2267 del Catechismo della Chiesa Cattolica relativo alla pena di morte. Il nuovo testo è il seguente: «Per molto tempo il ricorso alla pena di morte da parte della legittima autorità, dopo un processo regolare, fu ritenuta una risposta adeguata alla gravità di alcuni delitti e un mezzo accettabile, anche se estremo, per la tutela del bene comune. Oggi è sempre più viva la consapevolezza che la dignità della persona non viene perduta neanche dopo aver commesso crimini gravissimi. Inoltre, si è diffusa una nuova comprensione del senso delle sanzioni penali da parte dello Stato. Infine, sono stati messi a punto sistemi di detenzione più efficaci, che garantiscono la doverosa difesa dei cittadini, ma, allo stesso tempo, non tolgono al reo in modo definitivo la possibilità di redimersi. Pertanto, la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che «la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona», e si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo”. La citazione è tratta dal discorso di Papa Francesco ai partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, l’11 ottobre 2017, mentre l’approvazione è avvenuta nel corso dell’udienza al prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Luis F. Ladaria, l’11 maggio scorso, e la firma è datata 1° agosto 2018, memoria di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Secondo papa Francesco, la prospettiva cristiana ed umanista, che rifiuta ogni pena gravemente lesiva della dignità umana, porta a sostenere anche il rifiuto delle condanne all’ergastolo (FRANCESCO, La speranza non delude mai, Piemme, Milano 2024, p. 74).
22 Cf FRANCESCO, La speranza non delude mai, Piemme, Milano 2024, p. 75. 23 Una puntuale e pregnante traduzione delle istanze spirituali, pastorali, sociali, culturali, pedagogiche dell’Anno Giubilare 2025, specie con riferimento alla Diocesi di Milano, è rappresentata dal Discorso alla città, tenuto nella Basilica di sant’Ambrogio (Milano, 6 dicembre 2024) dall’arcivescovo Mario Delpini (cf Lasciate riposare la terra. Il Giubileo 2025, tempo propizio per una società amica del futuro, Boniardi grafiche, Milano 2024). Sul tema della pace si legga almeno: M. TOSO, Basta guerre: è l’ora della pace, Cittadella Editrice, Assisi 2023.
24 Sul rapporto uomo e terra si può leggere con frutto J. RIFkIN, L’età della resilienza. Ripensare l’esistenza su una terra che si rinaturalizza, Mondadori, Milano 2022.
25 Cf FRANCESCO, Spes non confundit, n. 10: «Nell’Anno giubilare saremo chiamati ad essere segni tangibili di speranza per tanti fratelli e sorelle che vivono in condizioni di disagio.
Penso ai detenuti che, privi della libertà, sperimentano ogni giorno, oltre alla durezza della reclusione, il vuoto affettivo, le restrizioni imposte e, in non pochi casi, la mancanza di rispetto. Propongo ai Governi che nell’Anno del Giubileo si assumano iniziative che restituiscano speranza; forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società; percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto impegno nell’osservanza delle leggi». Il richiamo è rivolto ai governi di tutto il mondo. Nell’ordinamento italiano esistono proprio i due istituti indicati da papa Francesco, l’amnistia e l’indulto. L’amnistia (art. 151 del Codice penale e art. 79 della Costituzione) estingue il reato. Mentre l’indulto (art. 174 Codice penale) condona in tutto o in parte la pena inflitta oppure la commuta in un’altra specie di pena. Infine, ci può essere la grazia che, si potrebbe dire, è come un indulto, ma ha un valore particolare, ossia riguarda un solo soggetto o più soggetti, ma non tutti i rei. Alle parole di papa Francesco sulle condizioni delle carceri ha fatto eco il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella che nel suo Messaggio di fine anno ha richiamato «il dovere del rispetto della dignità di ogni persona umana, dei suoi diritti, anche per chi si trova in carcere. L’alto numero dei suicidi è indice di condizioni inammissibili». «Abbiamo il dovere – ha proseguito Mattarella – di osservare la Costituzione che indica norme imprescindibili sulla detenzione in carcere. Il sovraffollamento vi contrasta e rende inaccettabili anche le condizioni di lavoro del personale penitenziario. I detenuti devono poter respirare un’aria diversa da quella che li ha condotti alla illegalità e al crimine. Su questo sono impegnati generosi operatori, che meritano di essere sostenuti». Poco tempo dopo le parole del Presidente Mattarella la Presidenza della CEI ha emesso la seguente Nota: «Esprimiamo profonda gratitudine al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per le parole che ha rivolto al Paese nel Messaggio di fine anno. È un’occasione per rinnovargli la nostra riconoscenza per il suo servizio di custode e garante della democrazia e dei valori della nostra Repubblica e dell’Europa. Lo ringraziamo, in particolare, per aver ricordato le tante povertà che segnano il nostro tempo e le nostre comunità. Tra queste, la drammatica situazione delle carceri che impone un ripensamento radicale del sistema penitenziario. “Abbiamo il dovere – ha sottolineato il Presidente – di osservare la Costituzione che indica norme imprescindibili sulla detenzione in carcere. Il sovraffollamento vi contrasta e rende inaccettabili anche le condizioni di lavoro del personale penitenziario. I detenuti devono potere respirare un’aria diversa da quella che li ha condotti alla illegalità e al crimine”. Attualmente, i 189 Istituti italiani ospitano 61.246 persone su una capienza di 51.230 posti.
L’indice di sovraffollamento, pari a 130,44%, e i suicidi, sempre più numerosi, chiedono ascolto: la disperazione non può avere come risposta l’indifferenza. Serve uno sforzo collettivo per assicurare condizioni dignitose a quanti vengono privati della libertà e per offrire percorsi adeguati perché la detenzione sia un’occasione di rieducazione e redenzione. Per garantire sicurezza, c’è bisogno di giustizia, non di giustizialismo. Esistono misure alternative che, oltre a prevenire la reiterazione di un reato, salvaguardano l’umanità e favoriscono il reinserimento nella società: se ben proporzionate e gestite con saggezza, sono in grado di produrre un cambiamento e di guardare al futuro. Non si tratta di scorciatoie o concessioni buoniste, ma di un vero dovere costituzionale e, per i cristiani, di un atto di amore. Occorrono però strumenti e finanziamenti mirati ed efficaci, lavoro, collaborazione degli enti locali e dell’amministrazione penitenziaria. Esperienze bellissime, diffuse sul territorio, dimostrano che un’altra realtà esiste, che il traguardo della “recidiva zero” è possibile. È una sfida da affrontare insieme: Istituzioni, società civile, comunità ecclesiale, con il supporto del mondo del volontariato, fondamentale anche nel fare cultura fuori da pregiudizi e distorsioni. A pochi giorni dall’apertura del Giubileo e della Porta Santa nel carcere di Rebibbia, a Roma, ripetiamo l’appello che Papa Francesco ha lanciato nella bolla di indizione Spes non confundit: “Propongo ai Governi che nell’Anno del Giubileo si assumano iniziative che restituiscano speranza; forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società; percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto impegno nell’osservanza delle leggi”. È necessario mettersi in ascolto e dare dignità al grido degli ultimi: come Chiesa in Italia continuiamo a camminare con i fratelli che hanno sbagliato, con amore, perché questo ci fa riconoscere nell’altro la persona che è sempre degna della nostra compassione.
La Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana»
26 Cf FRANCESCO, Al cuore della democrazia, Libreria Editrice Vaticana-Il Piccolo, Noventa Padovana 2024.
27 Cf FRANCESCO, Discorso presso il Centro Congressi “Generali Convention Center” di Trieste (domenica, 7 luglio 2024), in M. TOSO, Chiesa e democrazia, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 20252, pp. 329-338.
28 Cf FRANCESCO, La speranza non delude mai. Pellegrini verso un mondo migliore, Piemme, Milano 2024, p. 158.
29 FRANCESCO, Messaggio per la giornata mondiale della pace 1° gennaio 2025, n. 13. 30
FRANCESCO, Omelia, martedì 31 dicembre 2024.

Il Cantico
ISSN 1974-2339
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