È possibile parlare di Dio parlando del mondo? Può il linguaggio dell’uomo dire Dio? o l’uomo può solo parlare di se stesso e non trascendersi, pena la caduta nell’assurdo, nell’insensatezza? Secondo una forma di ateismo oggi in voga (ateismo semantico), sembra che l’uomo non possa in modo sensato parlare di Dio, perché solo Dio può parlare di se stesso. L’uomo non può superare se stesso. Trascendersi è un’illusione. A queste problematiche si può rispondere che se Dio si è incarnato sulla terra in Cristo, parlando di Dio non si trascende il mondo e se stessi. Le parole di S. Francesco possono offrire una luce, una speranza, una soluzione alla ricerca di senso in questo mondo: “…scongiuro tutti voi, fratelli, baciandovi i piedi e con quella carità di cui sono capace, che prestiate tutta la riverenza e tutto l’onore che vi sarà possibile al santissimo corpo e sangue del Signore Nostro Gesù Cristo, nel quale le cose che sono nei cieli e quelle che sono sulla terra, sono state pacificate e riconciliate a Dio onnipotente” (Lettera a tutto l’Ordine; FF 217).
Da queste parole risulta un modo nuovo di guardare il mondo e di interpretarlo alla luce della centralità del corpo di Cristo. Cristo ha espresso il divino nell’umano. Egli è il cosmizzatore, colui che toglie dal caos e dal non senso questo mondo terrestre. Tutta la terra è sua patria. Non occorrono templi e luoghi privilegiati per circoscrivere il sacro. Gli antichi costruivano il tempio (da temnei = tagliare) per ritagliare lo spazio sacro all’interno del quale il mondo traesse il senso. Il tempio era cosmizzatore poiché da esso si dava senso al mondo intero. S. Francesco, invece, non si chiude nel tempio o nel monastero. Per lui il mondo intero è il suo monastero. Frutto della sua conversione, cioè della nuova visione del mondo e della fede, è il suo incamminarsi per i monti dell’Umbria cantando, anziché rinchiudersi nel chiostro. Tutto è sacro. Egli prega ovunque. Anzi, le sue preghiere più forti sono nella foresta della Verna, nel mondo.
Non ha senso chiudersi nel proprio mondo e lasciare fuori gli altri. S. Francesco, infatti, costruisce ponti fra sé e il mondo profano poiché, nella sua conversione, ridà senso al mondo vedendolo cosmizzato intorno al corpo di Cristo. Il corpo di Cristo risulta la totalità del campo espressivo di Francesco che dà un senso nuovo a questo mondo e lo esprime nel suo linguaggio, perché vede il mondo come patria del corpo di Cristo. Ma per il francescano S. Bonaventura, causa il peccato, l’uomo ha perso la capacità di leggere il libro della natura. Ne ha perso l’alfabeto. Per questo Dio ha mandato un altro libro con cui poter di nuovo interpretare il primo libro scritto da Dio creatore: la Bibbia. La Bibbia è la chiave nuova che riesce a far leggere il libro del mondo, a far ricuperare il senso del mondo. S. Francesco legge il mondo nel linguaggio biblico il cui ermeneuta è Cristo.
L’amore singolare di Francesco verso le creature (il sole, il fuoco, le stelle, la terra, l’acqua…) non esprime un’immediatezza estetica e neppure un modo di sentire sacrale e numinoso proprio dei popoli primitivi. Le creature hanno un significato simbolico del corpo di Cristo: Cristo è l’acqua viva (Gv 4,11), fuoco (Lc 12,49), pietra angolare (1Pt 2,7), luce (GV 8,12)… L’atteggiamento di sommo rispetto verso l’acqua limpida, le pietre, il fuoco, che si esprime nel linguaggio di Francesco sempre positivo e privo degli aspetti negativi e terrificanti, dà senso alla loro realtà nell’orizzonte del corpo di Cristo. Il corpo di Cristo, per Francesco, ha consacrato il mondo e, perciò, il mondo intero può essere terra, chiesa, patria di ogni uomo.
La caratteristica fondamentale della fede di Francesco consiste nel cedere la realtà a Dio e vedere se stesso e il mondo non come realtà in sé, ma come simboli di Dio. S. Francesco legge la realtà a partire dal corpo di Cristo, non dice Dio a partire da se stesso. In questo risiede la concretezza fortissima della sua fede. L’esistere del corpo di Cristo è indicato nella totale fragilità, onde risulta un puro esistere. Cristo è prefigurato nell’agnello che viene ucciso e la cui morte è un’immolazione perché è accettata senza rabbia e senza difesa. È il linguaggio del Cristo che ambienta l’esistere degli uccelli del cielo che non seminano e non mietono; tuttavia sono vestiti e nutriti in un esistere aperto alla sollecita cura del Padre celeste di cui Cristo è testimonianza evidente.
Come non ricordare il dialogo di S. Francesco con gli uccelli, la tenerezza sollecita verso l’agnello e le creature più deboli, il verme tolto dalla strada perché non venga schiacciato, il suo andare incontro al lupo di Gubbio? S. Francesco ha potuto esprimere un nuovo linguaggio sul mondo, perché tutta la terra trova in Cristo il suo senso. Il corpo di Cristo è l’unico luogo privilegiato in cui si attua la comunione tra Dio e la terra, ed è l’unica possibilità di parlare concretamente e sensatamente di Dio.
Tratto da una relazione di p. Cherubino Bigi