p. Lorenzo Di Giuseppe

img82“La Speranza è una dimensione fondamentale della persona umana ed una caratteristica essenziale della sua esistenza” (J.A. Merino, “Speranza” in Dizionario Francescano, 1912-1926). Perciò deve essere ricercata, accolta e coltivata con grande cura, deve soprattutto essere chiesta a Dio con insistenza: essa infatti è strettamente legata alla fede e tutte e due sono principalmente dono di Dio.
La Speranza è un atteggiamento, un respiro e un modo peculiare di essere che si apre al futuro, un vedere oltre che nella vita francescana si manifesta come ottimismo di fronte alla vita e a tutto il creato e come atteggiamento fraterno e accogliente nei confronti dei fratelli.
Come dono di Dio, essa suppone necessariamente una presenza di Dio che cammina con noi e fa promesse per il bene di noi creature.
S. Francesco raramente parla di speranza nei suoi scritti ed anche i suoi biografi fanno solo pochi cenni. Ne parla in alcuni momenti fondamentali della sua vita.
Troviamo una sua invocazione intensa nella preghiera di Lodi di Dio Altissimo (FF 261). Il Santo si rivolge a Dio: “Tu sei la nostra speranza!”. Dio è contemplato non in se stesso, ma come si rivela, in Gesù Cristo nel suo amore per noi: Dio è bellezza, bontà, gioia, pace, speranza. Dio è il bene di cui noi abbiamo bisogno per essere veramente noi stessi, per rendere piena la nostra vita. Dio in Gesù Cristo è Colui che ci attrae, che dà senso al nostro esistere terreno: e noi siamo pellegrini verso la patria. In Gesù Cristo, suo Figlio, Dio ha redento le anime dei suoi servi mediante il santissimo suo sangue e certamente “Egli non abbandonerà tutti quelli che sperano in lui” (FF 287).
S. Francesco vive in sé la speranza in una maniera anche molto concreta, molto vicina alle sue vicende quando fa le sue scelte ed ha bisogno di cercare qualcosa di stabile, la roccia, su cui appoggiarsi. Nel momento della rinuncia di tutto davanti al padre terreno, Francesco comprende chiaramente che la sua vita d’ora in poi sarà diversa e non potrà più contare sulle sicurezze di prima. La scelta della povertà gli fa concludere: “D’ora in poi posso dire con sicurezza: Padre nostro che sei nei cieli, perché in lui ho riposto ogni mio tesoro e ho collocato tutta la mia fiducia e la mia speranza” (FF 1043).
Nell’ultimo periodo della sua vita, Francesco sentiva una forte preoccupazione per la vita dell’Ordine. Si sentiva praticamente estromesso, come se gli avessero tolto il suo figlio che tanto amava e per il quale aveva tanto lavorato e sofferto. Tutta la sua fiducia era riposta nel Signore e tuttavia, per il venir meno di alcuni e per la resistenza opposta da molti ad accogliere integralmente la Regola, una certa ansia per il futuro era subentrata in lui. “Essendo turbato per i cattivi esempi e avendo fatto ricorso un giorno, così amareggiato, alla preghiera, si sentì apostrofato in questo modo dal Signore: “Perché tu, omiciattolo, ti turbi? Forse io ti ho stabilito pastore del mio Ordine in modo tale che tu dimenticassi che io ne rimango il patrono principale […] Io vi ho chiamati: vi conserverò e pascolerò. Non turbarti dunque” (FF 742).
Pur in mezzo a difficoltà e incomprensioni da quel momento, nell’animo di Francesco, subentrò una pace e una gioia particolare e la ferma speranza che la fraternità sarà sempre protetta e guidata dal Signore stesso.
Nella sua vita, non lunga, Francesco dovette affrontare anche tante sofferenze fisiche a causa di tremende malattie a volte insorte per il suo modo austero di trattare il suo corpo. Tommaso da Celano annota: “È incredibile come le sue forze potessero resistere, essendo tutto il corpo stremato dai dolori. E tuttavia, queste sue tribolazioni, non le chiamava pene, ma sorelle” (FF 800). Ma una notte, le sofferenze diventarono insopportabili e allora, anche per insistenza dei suoi compagni, invocò Cristo, perché lo soccorresse e gli alleggerisse i dolori.
“Mentre pregava così impegnato in questa lotta, il Signore gli promise la vita eterna con questa similitudine: “Supponi che la terra e l’universo intero sia oro prezioso di valore inestimabile e che, tolto ogni dolore, ti venga dato per le tue gravi sofferenze un tesoro di tanta gloria che, a suo confronto, sia un niente l’oro predetto, neppure degno di essere nominato: non saresti tu contento e non sopporteresti volentieri questi dolori momentanei? “Certo sarei contento – rispose il Santo e sarei contento smisuratamente”. “Esulta dunque – conclude il Signore – perché la tua infermità è caparra del mio regno e per ilmerito della pazienza devi aspettarti con sicurezza e certezza di aver parte dello stesso regno” (FF 802). La speranza non solo gli faceva sentire sopportabili e come sorelle le tante sofferenze, ma gli rendeva amica e dolce la stessa morte.
Narrano i suoi biografi che vicino al termine della sua vita, quando ormai sentiva imminente la morte e giaceva tra violenti dolori nel palazzo vescovile di Assisi, spesso con le mani alzate, invocava: “Ben venga sorella morte!”
Questa invocazione non era frutto di stanchezza o di delusione ma desiderio e speranza della vita felice che Dio riserva ai suoi figli. Nella conclusione del Cantico di Frate Sole Francesco volle esprimere la sua attesa e la sua fiducia nella patria che il Signore prepara ai suoi figli. E così cantò: “Laudato si’, mi Signore, per sora nostra morte corporale, dalla quale nullo omo vivente po’ scampare. Guai a quelli che morranno ne le peccata mortali! Beati quelli che trovarà nelle tue sanctissime voluntati, ca la morte seconda no li farrà male” (FF 1820).
Mentre Francesco ci ha lasciato poche parole sulla speranza, tutta la sua vita, le sue azioni, il suo volto manifestano in lui un uomo permeato dalla speranza: si sente amato e perdonato da Gesù Cristo che ha dato la vita per lui, in cammino verso il Padre, pellegrino in questa vita, povero ed a servizio di tutti, proteso verso una promessa meravigliosa; e questo traspariva nelle sue parole, nei suoi gesti, nella vita quotidiana.
Ed è proprio la sua vita animata dalla speranza, che insegna e attrae. Nel Prologo della Leggenda Maggiore S. Bonaventura presenta Francesco come luce per i credenti i quali “mentre venerano in lui la sovrabbondante misericordia di Dio, sono istruiti dal suo esempio a rinnegare radicalmente l’empietà e i desideri mondani, a vivere in conformità con Cristo e ad aspirare, con sete e desiderio insaziabili, alla beata speranza” (FF 1020). Continua S. Bonaventura: “(Dio)… lo scelse come luce per i credenti, affinché divenuto testimone della luce, preparasse per il Signore la via della luce e della pace” (ibidem).
Tutta la vita di S. Francesco è una testimonianza della speranza che lo abitava. Aveva gratitudine e lode costante verso l’Altissimo bon Signore: tutto intorno a lui manifestava la bontà e la bellezza del Signore; le creature, che sentiva fratelli e sorelle, manifestavano ciascuna in modo originale, l’amore del Signore che lo avvolgeva da ogni parte. Con tutte le creature viveva una comunione meravigliosa, nel rispetto e nell’attenzione per tutte anche per le più piccole considerate insignificanti. I Fioretti narrano la felicità di S. Francesco che insieme a frate Masseo mette il pane elemosinato sopra una bella pietra larga allato di una fonte e ha la sensazione di stare come un re in una stanza meravigliosa che è la volta del cielo (cf FF 1841).
La sua amabilità raggiungeva ogni uomo, in tutti sapeva vedere gli aspetti più positivi e la presenza di Dio, magari nascosta e ricoperta da debolezze. Era fiducioso anche verso chi appariva malvagio: egli sapeva scoprire il bene nascosto in ogni uomo. Ci fu un episodio molto significativo a Montecasale che rese manifesto come il santo poneva fiducia verso tutti, anche verso gente che faceva violenze e derubava i passanti. Alla richiesta di alcuni di questi di avere qualcosa da mangiare i frati li avevano mandati via in malo modo; ma il padre S. Francesco li mandò a cercare e li fece rifocillare con buon cibo. Questi “ladroni” cambiarono vita e qualcuno di loro entrò a far parte anche della fraternità.
Presentandosi piccolo, servo di tutti, non trovava barriere nell’incontro con gli altri. Aveva una predilezione particolare verso i lebbrosi, i poveri, gli scartati nella vita sociale; era pieno di speranza per il futuro (FF 2125).
Scrive P. Merino “Francesco fu lo specialista della speranza escatologica e della speranza umana” (J.A. Merino, “Speranza” in dizionario Francescano, 1915). “Per lui, la virtù della speranza era certamente uno sperare in Dio e nella sua promessa, ma era anche uno sperare negli altri, con gli altri e per gli altri” (ibidem in Dizionario Francescano, 1917). La povertà lo faceva camminare libero e gioioso verso il Padre, fratello universale verso ogni uomo e verso tutte le creature che sentiva familiari. Francesco era un uomo nuovo: aveva ricuperato i rapporti dell’uomo del Paradiso terrestre e avanzava nella vita vivendo il progetto originario del Creatore.
Il suo modo di vivere diventa una proposta anche per il nostro mondo: il suo ottimismo, la sua attenzione a tutti, la sua vicinanza ai più poveri e a quelli che non contano, la sua capacità di vedere e accogliere tutto il bene, indica una via da percorrere per edificare un vivere insieme dove ogni uomo veda riconoscere i diritti di ognuno e ognuno viva nella pace e nella speranza.