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“Un’occasione per confrontarci e per riflettere sull’affettività è qualcosa di particolarmente vicino alla nostra vita, tocca le corde del nostro vissuto quotidiano”. È stata questa, all’interno della Fraternità Frate Jacopa di Roma, la reazione più diffusa nel momento in cui è diventata concreta l’idea di organizzare un convegno su questa tematica con la Fraternità Nazionale. Essendo composta la nostra Fraternità in larga misura da famiglie con figli (dai ventenni giù fino ai tre anni) questa possibilità di un approfondimento è stata percepita come l’occasione di avere una bussola per orientarsi al meglio in un mondo che chiama in causa tutti. Anche perché nei mesi precedenti ci eravamo molto interrogati fra noi sul senso dell’essere famiglia e su quell’impegno che è l’essere genitori, con il suo aspetto educativo e formativo che affonda nella quotidianità di ogni giorno.
Ci eravamo fermati a ricordare come in modo semplice ma anche sublime la paternità e la maternità siano un “legame costitutivo”, fondante per la singola persona perché istituiscono la soggettività; motivo per cui tutti gli incontri che ognuno di noi ha avuto, e che ogni nostro figlio ha o avrà, sono intervenuti, intervengono e interverranno su un tessuto che è stato “fondato” anzitutto dalla madre e dal padre.
I nostri figli (e noi genitori insieme a loro) incontrano le sfide che il mondo di oggi ci mette davanti e che sono insite nel semplice fatto di vivere nella nostra società. Sfide che a volte percepiamo come minacce, e molte effettivamente tali si rivelano. Ci capita di tanto in tanto di vedere traccia, in noi, o nel nostro coniuge, o nei nostri figli, di queste tendenze: piccoli fatti che ci drizzano le antenne, che ci lasciano interdetti, che ci invitano alla riflessione e al confronto.
Anche in noi e nei nostri figli troviamo tracce – piccole o grandi – di tendenze contemporanee diventate ormai maggioritarie. A partire dall’accentramento su se stessi come fulcro dell’esistenza, con la ricerca continua e prioritaria della soddisfazione dei bisogni che avvertiamo tali: desideri, istinti, sentimenti, cose. Troviamo traccia in noi o nei nostri figli dell’incapacità alla rinuncia, avvertita solo come una perdita e dunque, conseguentemente, solo come un qualcosa da evitare; viviamo sulla nostra pelle l’incapacità di una vera autonomia e l’assenza di un tratto identitario distinto, per cui ci succede di ritrovarci a far parte di un “branco”, a fare o pensare qualcosa perchè così fan tutti.
Ancora, ci accorgiamo che – in noi o nei nostri figli – è la chiave di volta dell’emozione quella con la quale consumiamo i fatti della vita. E succede di avvertire la norma, la regola, la legge, in modo soffocante, come una privazione di libertà.
Pensando in particolare ai figli, esiste il grande, enorme tema dell’affettività e della sessualità, e in rapporto a noi genitori esiste il tema della trasmissione della fede, per cui non è infrequente per noi stessi, per i nostri amici o per i nostri colleghi, il trovarsi di fronte dei figli che – come tanti loro coetanei – non sono in grado neppure di avvertire la differenza che passa fra una qualunque esperienza di interiorità e la Chiesa Cattolica. L’idea confusa che tutto sia uguale, che una qualsiasi meditazione sul senso dell’universo non sia poi qualitativamente differente dalla proposta cristiana. Una situazione in cui filosofie basate su parole d’ordine come “benessere”, “energia”, “cosmo”, sono avvertite più vicine delle parole del cristianesimo, che sono invece ben più concrete, vicinissime alla realtà esistenziale umana (pane, vino, cibo, bevanda).
Non siamo affatto impermeabili a quello che abbiamo attorno, viviamo dentro questo mondo e ci abbiamo a che fare tutti i giorni, e i nostri figli sono oggi e saranno ancora di più nei prossimi anni immersi in quella mentalità antropologica dominante di fronte alla quale abbiamo una responsabilità. Per noi stessi e per loro, abbiamo la responsabilità di comprendere, di capire, di guidare, di aiutare.
Sapendo, cioè avendo la certezza, che tutto il nostro vivere è abbracciato dalla grazia di Dio e che la grazia di Dio – in quanti ne fanno esperienza – risiede in pienezza. Quella singolare situazione del cristiano che è nel mondo, ma non è del mondo, e fa esperienza della vita nuova che Dio gli ha donato.

Stefano Caredda, FFFJ di Roma

ISSN 1974-2339