Sr Lorella Mattioli *
Pubblichiamo la riflessione proposta da Sr. Lorella Mattioli nell’incontro promosso dalla Fraternità Francescana Frate Jacopa e dalla Parrocchia S. Maria Annunziata di Fossolo il 13 ottobre 2024 per meditare nella logica del Giubileo della speranza.
In questo tempo caratterizzato da eventi drammatici, che pongono davanti ai nostri occhi un forte decadimento dell’umano, per guerre e violenze inaudite che abbracciano anche la nostra quotidianità, la Chiesa è venuta prodigiosamente in soccorso con l’Anno giubilare indetto da Papa Francesco con la Bolla “La speranza non delude”, un Giubileo che cade proprio tra le Celebrazioni degli 800 anni di S. Francesco. E poiché tutta la vita di S. Francesco è una testimonianza della speranza che lo abitava, abbiamo ritenuto importante approfondirne il senso nel cammino giubilare. Per S. Francesco la virtù della speranza era sperare in Dio e nelle sue promesse, ma era anche uno sperare negli altri, con gli altri e per gli altri (cfr J.A. Merino). Suor Lorella ci ha donato la possibilità di comprendere come tutto questo ci interpelli a muoverci in una prospettiva di conversione profondamente rinnovata nell’attenzione a Cristo, nostra speranza.
Dall’introduzione di Argia Passoni
La speranza, così come è presentata nella Bolla di indizione del Giubileo da parte di papa Francesco, è la speranza che rimanda alla vita eterna.
Il fondamento della speranza è una persona: è Gesù Cristo risorto.
Per parlare di Francesco di Assisi come testimone di speranza è bene partire da una speranza che potremo definire mondana, per arrivare poi alla speranza nella vita eterna. Francesco da giovane aveva una speranza che era quella del nonno Bernardone, del padre Pietro, quella di passare da uno stato sociale inferiore (perché faceva parte come ogni artigiano, e commerciante, dei minores), ad un altro stato superiore, quello dei maiores: la speranza quindi di una scalata sociale.
La prima speranza che troviamo nella vita di Francesco è una speranza di gloria umana, una speranza tutta mondana, lui che già era ad Assisi il re delle feste, vuole far parte di quell’alta società che avrebbe permesso lustro a tutta la sua famiglia.
Il desiderio di diventare cavaliere lo spinse ad imprese militari molto deludenti e fallimentari: Francesco parte per una battaglia tra Assisi e Perugia, ma già a Collestrada viene catturato dai perugini. Francesco viene portato a Perugia (nella Rocca Paolina) come prigioniero e per circa un anno rimane in prigione. È qui che Francesco scopre le realtà di cui aveva forse solo sentito parlare, che non conosceva direttamente per esperienza… scopre la rabbia, scopre l’odio, la violenza, scopre la cattiveria, scopre anche la fame e la malattia, scopre che gli altri possono essere nemici, lui che aveva avuto tanti compagni per fare imprese goliardiche e feste.
Quando dopo un anno torna ad Assisi Francesco è cambiato profondamente. Porta dentro di sé non più certezze, ma il fallimento, la sconfitta della speranza mondana.
Davanti alla Basilica di S. Francesco in Assisi c’è un’opera, una statua bronzea creata dall’artista Norberto Proietti che rappresenta proprio Francesco a cavallo che torna sconfitto da Perugia. È una statua che esprime molto bene la frustrazione di Francesco per aver perso la speranza mondana di diventare cavaliere e dunque di salire a quel grado più alto di società a cui aspirava, e l’aver anche sperimentato la forza del male e molteplici sofferenze.
Ma grazie a questa sconfitta Francesco entra in crisi e si apre per lui la possibilità di cambiare sguardo e orizzonte. Francesco farà tre incontri che risulteranno per lui fondamentali e che lo orienteranno verso la vera speranza
I TRE INCONTRI
1. L’incontro con il crocifisso di San Damiano in una chiesina quasi abbandonata, mezza diroccata che si trova appena fuori dalla città di Assisi. Francesco entra in quel luogo e si ferma davanti a quest’immagine bizantina del Crocifisso.
L’immagine del Crocifisso di San Damiano è un’immagine molto significativa perché non esprime tanto la sofferenza del Cristo in croce, ma essenzialmente è un incontro fatto di sguardi. Gli occhi aperti del crocifisso stanno guardando ‘qualcuno’ che è la sua speranza, la sua certezza: il Padre. Entrando in questo sguardo tra il Padre e il figlio Crocifisso, Francesco scopre il senso di quelle ferite che il Signore Gesù ha vissuto e porta sulla croce. Quello sguardo gli dà la certezza del senso e del valore di quelle ferite perché sono ferite di amore e per questo redentive.
Sicuramente questa immagine oltre a parlare a Francesco in termini di missione: “Va’ Francesco ripara la mia casa”, ha prima di tutto curato le sue ferite. Francesco si è inserito in quello sguardo tra il Padre e il Figlio, ha fatto suoi quegli occhi che guardavano una persona alla sua stessa altezza, quegli occhi che gli hanno parlato del senso di quel dono e che dava senso a quelle ferite. Possiamo dire che Francesco ha avuto così il coraggio di guardare le proprie ferite, quelle che si portava dentro, tutti quei punti interrogativi sorti durante la guerra e la prigionia e che aveva maturato: le ferite di tutte le delusioni. Incontrare quello sguardo e farlo suo e sentire l’amore con cui era stato amato e salvato, aveva dato a Francesco il coraggio di guardare tutte quelle ferite, le stesse ferite che ognuno di noi si porta dentro. Tutti siamo dei feriti, la vita ci procura ogni giorno delle ferite: ferite relazionali, ferite procurate dagli avvenimenti e dal male.
Tutti siamo essenzialmente degli uomini e delle donne feriti dalla vita!
Francesco inizia a capire davanti al crocifisso di S. Damiano il senso di quelle ferite.
Le ferite hanno un senso perché il Figlio di Dio ha assunto tutte le ferite umane; se Lui non fosse stato ferito, le nostre ferite sarebbero rimaste un assurdo senza risposta, non sarebbero state redente. Solo tutto quello che Gesù ha assunto è stato redento. Tutte le ferite dell’umanità, passate, presenti, future sono state redente e in quelle ferite del crocifisso-risorto ogni uomo può appoggiare su di Lui ogni sua ferita.
Francesco grazie a questo incontro redentivo vince una delle paure che si portava dentro e che in fondo è la paura della sofferenza, la paura della morte: la paura di incontrare i lebbrosi (il lebbroso è la morte che cammina). Ecco allora il secondo incontro.
2. Francesco riesce, dopo l’incontro a san Damiano, ad incontrare il lebbroso.
Dirà nel Testamento che prima era “cosa amara” vedere i lebbrosi, ma quel giorno egli riesce a vedere, a guardare (ecco ancora lo sguardo) e a fermarsi e a incontrare il lebbroso e le sue piaghe senza paura.
Francesco scendendo da cavallo e abbracciando il lebbroso incontra gli occhi di quell’uomo lebbroso e in quel lebbroso Francesco incontra inaspettatamente un fratello.
Nella sua esperienza giovanile Francesco era stato circondato solo da compagni di feste, poi durante la guerra si era scontrato con i nemici, ora si apre per lui un nuovo orizzonte e scopre, come dono di Dio, una nuova categoria relazionale, quella che lo accompagnerà per tutta la vita: scoprirà che gli uomini sono suoi fratelli e sorelle.
Grazie all’esperienza fatta con il crocifisso di San Damiano, Francesco aveva incontrato, attraverso gli occhi di Gesù che si relaziona con il Padre, il volto del Padre celeste e questo lo porterà a dire di fronte a suo padre Pietro (che gli chiedeva conto del suo comportamento, dell’uso del denaro… degli abiti lussuosi patrimonio di famiglia: “Ho un altro padre, il vero Padre, Il Padre che è nei cieli”. restituendo gli abiti al padre, Francesco in quella piazza davanti al vescovo, inizierà il suo nuovo percorso di vita, lascerà la casa paterna e andrà a vivere proprio a S. Damiano, possiamo dire, abbracciato a quel crocifisso dove aveva incontrato Dio. Quello sarà il primo luogo della sua nuova vita.
E di fronte a quell’immagine che non solo gli aveva parlato allora, ma che continua a parlargli, Francesco esprime tutta la sua lode, tutto il suo ringraziamento.
Ne è testimonianza la preghiera ispirata davanti a questo Crocifisso.
– Immaginiamo Francesco ai piedi del Crocifisso -:
Altissimo glorioso Dio illumina le tenebre de lo core mio,
damme fede diritta, speranza certa e carità perfetta,
senno e cognoscimento, Signore che io faccia
lo tuo santo, verace comandamento
Quando le speranze mondane sono state deluse, Francesco scopre la vera speranza, un’altra speranza: la speranza certa! Francesco sente che sotto lo sguardo di Dio Padre e davanti alla piaghe gloriose del Figlio, cominciano a diradarsi le tenebre del suo cuore pieno di paure e di ferite e chiede una quiete, una fede dritta, soprattutto una speranza certa.
La speranza certa dell’amore di Dio, la speranza certa che intravede in quel volto che lo amava, quegli occhi aperti che lo proiettavano negli occhi del Padre.
Ma come alimentare questa speranza, come vivere questa speranza?
Ecco il terzo incontro.
• Il primo è il Crocifisso di S. Damiano,
• il secondo è il lebbroso dove scopre il fratello
• il terzo è il Vangelo.
3. Francesco scopre che la via che Dio ha scelto per lui è la strada della penitenza. Cerchiamo di comprenderla bene perché questa è la strada del Vangelo, è vivere il Vangelo.
Francesco testimonierà a tutta la Chiesa, a tutto il mondo cristiano, che il Vangelo si può vivere, che il Vangelo è da vivere, perché il Vangelo è la persona di Gesù. Vivere il Vangelo è vivere Gesù, è portare a compimento quella conformità a Gesù iniziata nel battesimo. Francesco inizia a vivere il vangelo, a vivere di vangelo!
La parola penitenza ha un doppio significato.
Sicuramente fa riferimento alla conversione, e dunque è questo passaggio dall’io mondano (dall’io del re delle feste) a Dio che gli indica la strada dell’amore; questa è la prima conversione.
Ma sicuramente penitenza significa anche spingere più a fondo. Una volta che uno ha compreso la strada, vivere di penitenza significa portare avanti questo cammino evangelico. La strada per Francesco è vivere il Vangelo. Vivere il Vangelo, questa è la vita di penitenza.
E la storia va avanti: arrivano i compagni, c’è il riconoscimento della Regola da parte del Papa… l’Ordine diventa grande ed importante, ma poi arriva un momento nella vita di Francesco in cui sembra che questa speranza vada in crisi. C’è una causa ben precisa che è la causa che sempre ci manda in crisi. Sì, c’è la causa delle malattie, gli eventi negativi della malattia, e Francesco era molto malato, ma, forse, quello che lo manda più in crisi sono i rapporti relazionali con i suoi frati-fratelli.
Arriva il momento quando Francesco non viene più compreso. Francesco vede questi frati, e ormai sono anche tanti, allontanarsi dalla regola, dal suo insegnamento, da quella che a lui sembrava l’intuizione e l’ispirazione di Dio. Francesco accusa nel suo cuore la presenza di queste ferite. Dicono i biografi che egli diventa silenzioso, diventa triste, (oggi potremmo dire anche un po’ depresso…) e dunque alle sue malattie fisiche si aggiunge questo momento difficile di prove ed anche una tentazione: di lasciare tutto e fondare qualche altra cosa…
Il rapporto con gli altri porta sempre gioie ma spesso anche sofferenze e difficoltà. Queste ferite sono diverse dalle ferite dell’inizio: sono ferite relazionali e forse in quel momento anche molto grandi per lui perché riguardano il suo Ordine, i suoi frati, … riguardano il futuro.
Francesco lascia Assisi e si reca in un luogo dove anche la natura lo aiuta a vivere questo stato d’animo: La Verna. Rocce spaccate dalla violenza della natura, è un luogo particolare, austero e lui si nasconde in queste ferite della natura per chiedere ragione delle sue ferite.
Ecco allora nella sua prostrazione orante apparirgli gli angeli e il crocifisso che imprime nella sua carne le stimmate. Cosa ha significato questo per Francesco? Egli ritrova, in un certo senso, l’incontro degli inizi con il crocifisso di S. Damiano, ritorna in quello sguardo. Francesco è di nuovo sotto la croce, davanti alla croce, ma questa volta partecipando a quella croce. Possiamo dire che Francesco permette che Cristo entri dentro la sua vita, anzi, permette che Cristo tocchi le sue ferite imprimendogli le Sue.
Francesco riesce a dare a Cristo le sue ferite e Cristo le trasforma nelle Sue, in stimmate. Prima erano ferite che gridavano, ferite di dolore, ferite di incomprensione, ferite di rifiuto, ma a contatto con le ferite di Cristo diventano stimmate, diventano ferite d’amore. Le ferite di Cristo sono un amore donato ai fratelli, ma con gli occhi sempre rivolti al Padre. Francesco ritrova nel Cristo anche il volto del Padre e viene guarito. Quelle ferite del Crocifisso impresse nella sua carne, guariscono le sue ferite interiori.
Francesco, dopo La Verna, sarà un uomo ferito nella carne, ma in realtà egli è un uomo guarito e redento.
Quelle ferite non sono le ferite di una sofferenza, sono le ferite di un incontro con colui che è risorto.
Lo stato d’animo di Francesco è profondamente cambiato, non c’è più tristezza, delusione, scoraggiamento. Francesco scriverà in quella cartula tutto il suo amore per i suoi frati-fratelli.
Francesco che ha ritrovato in Gesù il volto del Padre, il senso di quelle ferite e l’amore per i suoi fratelli, come a San Damiano, riempie lo spazio del suo cuore con la lode. In quella cartula noi troviamo ancora un’altra lode:
la Lode a Dio Altissimo.
È il Signore che ha fatto questo miracolo; noi vediamo le ferite della carne, ma sono le stimmate del Signore crocifisso-risorto.
Cosa quelle ferite hanno procurato interiormente in Francesco? Quelle ferite hanno fatto fare a Francesco l’esperienza di una vita donata, quella del cristo, e della Sua risurrezione. Sono ferite che non parlano più di divisione, di distanza, di rifiuto, ma di perdono, di amore, di comunione. Una ritrovata comunione con Dio, una ritrovata comunione con i fratelli.
Questa è speranza certa: che le nostre ferite possono diventare delle feritoie, delle sorgenti, perché Cristo, il Ferito, ha dato un senso a tutte le nostre ferite trasformandole, (non guarendole, nel senso che non ci sono più), in sorgenti di comprensione e compassione.
Francesco sarà molto diverso tornando da La Verna, sarà molto comprensivo, molto amabile nei confronti dei suoi fratelli. Quelle incomprensioni che lui viveva dentro di sé hanno lasciato il posto all’amore, al desiderio di stare accanto ai suoi fratelli e non abbandonarli.
É Dio che è intervenuto nella sua vita e ha dato a Francesco quella fede diritta che lui aveva chiesto, quella speranza certa che lui aveva implorato, quella carità perfetta, quella letizia perfetta a cui lui aveva fatto riferimento e che era quella di non allontanarsi dai fratelli.
Quella era la letizia perfetta, la carità perfetta di rimanere accanto ai fratelli anche se in quel momento sembra che ti rifiutino, anche se in quel momento sembra che non abbiano bisogno di te: rimanere accanto… continuare ad amare i tuoi fratelli.
Dunque ferite-feritoie. Quella misericordia che Francesco aveva sentito su di sé ora la riversa sugli altri, su tutti i miseri perché il suo cuore ferito è capace di amare, di amare come ama Dio. Francesco ha ricevuto quello sguardo del Crocifisso di San Damiano, che guarda Dio per contemplarlo, per lodarlo e guarda i fratelli vedendo in essi dei fratelli da non abbandonare ma con i quali usare misericordia.
Francesco riceve cioè un nuovo rapporto filiale con Dio (ecco la lode) e nel rapporto filiale riscopre il rapporto con i fratelli.
Tutte le nostre ferite possono essere trasformate in grazia di comunione, in grazia di bellezza, in grazia di amore nel rapporto con il Figlio: figli nel Figlio e fratelli; questa è la fede dritta, la speranza certa, la carità perfetta che Francesco aveva chiesto all’inizio della sua conversione portata a compimento nell’esperienza della Verna.
* Insegnante, impegnata costantemente anche nella guida di corsi
per catechisti, fidanzati e famiglie, seguendo la vocazione di essere
a servizio nella educazione alla vita evangelica,
maturata nell’Istituto delle Suore Francescane della
Beata Angelina da Marsciano
