Sintesi dei lavori
Roma, Casa Frate Jacopa, 3-5 gennaio 2015

Anche quest’anno la Scuola di Pace di gennaio ha posto al centro della propria attenzione il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace. La Fraternità Francescana Frate Jacopa – ha detto Argia Passoni nella introduzione ai lavori – non può venire meno a questa importante tradizione di ascolto e di verifica della vita personale e comunitaria, in comunione con la Chiesa, in ordine al grande compito della edificazione della pace, che ci interpella come cristiani ad un sempre rinnovato cammino.
Il Messaggio 2015 “Non più schiavi, ma fratelli” si pone chiaramente nel solco del Messaggio 2014 “Fraternità, fondamento e via per la pace” portando su un terreno molto concreto, nella messa a fuoco di ciò che si oppone radicalmente alla fraternità: il rendere l’altro un oggetto, con la violazione della sua intrasgressibile dignità di figlio di Dio.
E ci rimanda a un fatto inequivocabile: anche noi siamo complici di questo abominio se non ce ne facciamo carico. Il Messaggio ci pone davanti agli esiti drammatici di una globalizzazione selvaggia, in cui tutto è anonimo, divorato da un individualismo utilitaristico, dominato dall’idolatria del denaro che coltiva la cultura dello scarto e dell’asservimento attraverso la mercificazione della vita.
Come possiamo convivere con tutto questo senza sentirlo come uno scandalo? – ha proseguito A. Passoni – Siamo di fronte ad una ferita aperta nella carne di Cristo; e questa ferita alla dignità umana e alla fraternità che ci costituisce, è una ferita inferta a tutta la società. La mia stessa dignità è compromessa nella mancata difesa del povero, così come la società che non elimina questa piaga, è una società malata destinata ad immiserirsi sempre più, una società a sua volta dominata. C’è dunque una liberazione a cui porre mano, sempre ricordando che Gesù Cristo, liberando l’uomo dal legame di peccato, lo ha liberato dalla disumanizzazione. Gesù Cristo è venuto a ricostruire l’umanità, e nessuno di noi può sottrarsi a questa custodia dell’umano, senza la quale non si dà salvezza.
Il percorso offerto dagli importanti relatori che hanno animato la Scuola di Pace ha dissodato il campo di questa complessa problematica, aiutando a fare un serio esame di coscienza sulla cruciale questione delle nuove schiavitù ed interpellando a conversione personale e sociale per mobilitare ad un cammino di prossimità e di riparazione.

Ha aperto i lavori la magistrale relazione di S.E. Mons. Mario Toso, Segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, che, alla luce della Dottrina Sociale della Chiesa e dell’alto Magistero di Papa Francesco, con la sua presentazione ha fornito le chiavi di lettura di tutto il Messaggio, mettendo in particolare evidenza tre rapporti: il rapporto tratta e pace, il rapporto tratta e fraternità, il rapporto tratta e democrazia.
La tratta rappresenta un virus letale per la convivenza civile in quanto ne intacca il tessuto relazionale, riducendo la persona a mezzo, priva di coscienza e di responsabilità sociale. E la pace, quale ordine sociale fondato sulla verità, sulla giustizia e sulla libertà ne è profondamente minacciata. Se tolleriamo che qualche uomo possa essere padrone della vita degli altri, immettiamo un virus che distrugge la società nei suoi principi basici e che finirà per distruggere la stessa democrazia.
Questa situazione del rapporto subordinato e strumentale finisce per essere presente e replicato in maniera diversa anche in rapporti oggi considerati normali ma in sostanza dominati dal primato della redditività e del denaro. E cresce l’indifferenza verso l’altro. Cosa consentirà di cambiare rotta?
Si dovrà crescere nell’esperienza del nostro essere partecipi di una stessa famiglia, la famiglia dei figli di Dio. Per combattere la schiavitù, è fondamentale la nostra conversione a Dio, principio di una fraternità non semplicemente umana ma divina.
Il potenziamento della persona si realizza nella società politica vivendo una democrazia. Ma dobbiamo riappropriarci della democrazia – ha sottolineato Mons. Toso – perché la democrazia attualmente esistente è ormai divenuta “democrazia di 1/3”, dove i diritti di cittadinanza sono riservati a pochi, e non si cambia lo stato delle cose senza lavorare per una democrazia inclusiva, partecipativa dove tutti possano godere della terra, della casa, dell’istruzione, del lavoro. E’ un impegno che riguarda la nostra fedeltà a Gesù Cristo: in lui e con lui siamo chiamati a redimere la vita sociale. E l’evangelizzazione del sociale diventa priorità nel nostro impegno cristiano, se vogliamo attendere al compito di cura della dignità umana, così violata in tanta parte del mondo.
Molteplici sono le cause della schiavitù: innanzitutto il non riconoscere l’umanità dell’altro, a cui si accompagna la povertà, il sottosviluppo, il mancato accesso ai beni fondamentali, la corruzione …, cause che esigono un impegno comune, un impegno istituzionale degli stati sul piano nazionale ed internazionale, un impegno legislativo, un impegno di tutti gli attori della società civile, ma se dobbiamo globalizzare la fraternità – ha concluso Mons, Toso – occorre convertirci sempre più e mostrare a tutti il cammino verso la conversione: vedere l’altro come un fratello in umanità (per i contenuti più specifici si rimanda alla relazione pubblicata a seguire). C’è un cammino di liberazione da porre in atto: cambiare la vita di coloro che sono nella invisibilità e cambiare anche la nostra vita.
AlbaneseP. Giulio Albanese (missionario comboniano, giornalista, direttore delle Riviste Missionarie delle PP.OO.MM.) con la relazione “Il mondo capovolto” ha prospettato la grande responsabilità che abbiamo come cristiani rispetto alla situazione drammatica in cui versa tanta parte dell’umanità e ci ha richiamato fortemente a mobilitare le nostre coscienze, tenendo presente che la informazione è la prima forma di solidarietà perché ci permette di conoscere e di capire ciò che sta succedendo.
Viviamo in un tempo senza precedenti, in cui a vertici di progressi mai raggiunti prima, si associano abissi di povertà e di solitudine anch’essi senza precedenti. C’è una umanità dolente che viene immolata sull’altare degli egoismi umani, potenziati dalla finanziarizzazione dell’economia e in sostanza da un sistema che acuisce le sperequazioni e produce una situazione di conflittualità permanente, legata al controllo delle materie prime.
L’Africa è uno specchio in questo senso del fatto che le periferie del mondo non sono povere, sono “impoverite”, in un connettersi di vecchi e nuovi colonialismi attraversati dall’ombra trasversale della massoneria.
C’è l’urgenza di gridare dai tetti la bella notizia. Abbiamo la responsabilità di essere sentinelle del mattino e dobbiamo dare voce a chi non ha voce.
Dobbiamo soprattutto promuovere consapevolezza e scuotere le coscienze. Viviamo nel mondo villaggio globale e abbiamo un destino comune: bisogna avere il coraggio di incontrarci. La sfida prima ancora che essere sociale, politica, economica, è una sfida culturale: l’altro non rappresenta una minaccia, è grazia, è una opportunità, non può essere ridotto a merce.
E il tema della pace è centrale. Dobbiamo investire le nostre migliori energie proprio nel creare le condizioni perché vi possa essere la pace. La pace è un fatto dinamico; non è sinonimo di quiete, è associato all’esodo, come ci ricordava Don Tonino Bello: è qualcosa che va costruito ferialmente, quotidianamente. Se non c’è azione a favore del bene comune come può esserci pace? inc
Ora come fare? Dobbiamo metterci in discussione, innanzitutto abbandonando una situazione di cristianesimo schizofrenico. Occorre essere membra vive di questa società. La dimensione della contemplazione mi deve portare all’azione. E la Dottrina Sociale della Chiesa è centrale per creare un tessuto in cui il lessico della pace possa germogliare e portare frutto. Se dobbiamo essere il cuore pulsante della società civile, l’informazione, la conoscenza sono all’ordine del giorno.
Il tema della pace ci dice che non dobbiamo ragionare secondo la logica dei numeri, ma secondo la qualità: essere sale che dà sapore, lievito che fa fermentare la massa. Devo comunicare la parresia, il coraggio di osare, portare il messaggio di speranza ai più deboli. Se vogliamo ricominciare, rifacciamoci alla ispirazione della Evangelii Gaudium: usciamo fuori le mura. Conoscere i segni dei tempi, essere segno di contraddizione, essere “guastafeste” nel nome di Dio, è il nostro specifico.
P. Giovanni La Manna (direttore Istituto Massimo, già responsabile del Centro Astalli per i rifugiati) con la riflessione sul tema “Migrazioni e tratta” ha dato ragione del rapporto davvero cruciale tra migrazioni e tratta, sia dal punto di vista oggettivo per i gravissimi problemi che sottende, sia dal punto di vista soggettivo perché può farci toccare con mano dove siamo nel nostro cammino cristiano ed umano, se siamo davvero nella dimensione dell’accoglienza o se permaniamo nell’indifferenza e nell’esclusione dell’altro.
la MannaPortando in presenza il magistero dei gesti di Papa Francesco a Lampedusa, P. La Manna ha sollecitato a “provare” a vivere in maniera diversa, un punto fondamentale per uscire dalle situazioni di alibi e di paura che sono anche fortemente ingenerate. Ha posto in evidenza la povertà, innanzitutto la nostra povertà culturale ed umana, che ci ha fatto perdere il senso della sacralità dell’accoglienza e ci fa abdicare al dare priorità alla persona rispetto alla egemonia economica.
Ed ha sollecitato ad aprire gli occhi sulle tante bugie che vengono avanti anche a livello istituzionale. Che senso ha infatti una politica cieca che mira a spaventare sia chi doverosamente dovrebbe accogliere, sia coloro che scappano, in una situazione in cui la stragrande maggioranza delle persone che fugge, fugge da feroci situazioni di guerra (pensiamo alla Siria, all’Afganistan, ma anche alla Libia) ed affronta il calvario di un viaggio per raggiungere l’Italia e l’Europa perché è l’unica strada per tentare di salvare la vita?
Di fronte ai morti in mare si afferma l’impegno per colpire i trafficanti, ma per colpire i trafficanti il modo vero sarebbe quello di sottrarre loro i clienti. Ed è un modo che l’Europa potrebbe mettere in atto a partire dalla Convenzione di Ginevra del 1951 e secondo le Convenzioni internazionali, in base alle quali l’Europa potrebbe andare a prendere le persone nei campi profughi e distribuirli sul territorio europeo con dignità.
Altrimenti alla violazione dei diritti fondamentali della persona dei paesi di origine si unisce una schiavizzazione in varie forme nel lungo percorso di arrivo in mano ai trafficanti, unita all’alto rischio della vita e ai traffici squallidi che si registrano per molti di loro anche una volta giunti in Italia (da uno sfruttamento ignobile sul lavoro, alla prostituzione, alle forme di corruzione emerse sui centri di accoglienza …), aspettando anni per vedere riconosciuto il diritto d’asilo e per poter raggiungere altri paesi, dove di per sé secondo le normative avrebbero diritto ad essere congiunti a propri parenti o a persone conosciute.
Come riparare a queste drammatiche distorsioni?
E’ determinante una presa di coscienza e un cambiamento profondo. È un cammino di liberazione che riguarda anche le nostre persone se vogliamo davvero porci in stato di risposta e di accoglienza dell’altro. Si tratta di metterci in movimento per una vera cultura dell’incontro, che esige una costruzione artigianale della pace a partire dal considerare l’altro un fratello, come ci ricorda Papa Francesco con le sue parole e i suoi gesti. Tra l’altro l’esperienza del Centro Astalli evidenzia come siamo quasi sempre di fronte a persone che hanno sperimentato carcere, torture, sopraffazioni di ogni genere per rimanere fedeli alla propria fede e alle proprie idee, persone che insegnano a tutti noi che cosa questo significhi e che meritano un profondo rispetto.
È una realtà che non possiamo ignorare: possiamo decidere di viverla da credenti, come ci chiede Papa Francesco, ed incidere in termini di qualità della vita presente e nella costruzione di un mondo veramente dignitoso, dove la schiavitù non abbia più patria, o rimanere nell’indifferenza complice, rispondendo anche oggi come Caino “Sono forse io il custode del mio fratello?”.

Una significativa e bella integrazione alla riflessione della Scuola di Pace è stata proposta attraverso lo spazio dedicato alla testimonianza di liberazione da asservimenti anche nel nostro contesto italiano, nel passaggio da una situazione di rassegnazione ad una situazione di presa in carico e difesa del proprio territorio di fronte al pericolo di un inquinamento devastante di una delle valli più belle della Sicilia.
La testimonianza proposta da Chiara Longo, Assessore all’Istruzione e all’Ambiente del Comune di Adrano, sul tema “Un Patto per il fiume Simeto tra comunità e Istituzioni. Valori, Progetti e priorità condivisi per una governance partecipata” (pubblicata integralmente nelle pagine a seguire a cui si rimanda) ha portato in presenza la forza e la fecondità che si sprigiona dal sentirsi custodi della propria terra e della dignità del fratello. Essa presenta una esemplarità di percorso particolarmente interessante, che, dal cominciare a prendere coscienza e dal farsi voce, in un allargamento progressivo di coinvolgimento attraverso la coltivazione del “noi” in ambito associativo, arriva a riposizionare il sociale ancorandolo ai valori e facendo divenire soggetto della dimensione politica gli stessi abitanti del territorio. Si è così messo in movimento un processo di rigenerazione che, anche con l’apporto dello studio e della ricerca, ora abbraccia un’area di circa 30 comuni con un esperimento pilota di sostenibilità ambientale – riconosciuto dal Ministero dello Sviluppo economico – proiettato ad una ulteriore crescita umana, ambientale, sociale, economica e politica.
Un tassello importante sul tema della libertà religiosa è stato infine offerto dallo spazio dedicato alla presentazione del ciclo per TV 2000 “I militi ignoti della fede” sulle tracce della persecuzione dei cristiani, a cura del regista Cesare Bastelli e della giornalista Ljiljana Dzalto. È stato proposto il documentario inedito relativo alle puntate sulla Croazia “Le isole del sacrificio Daksa e Goliotok” sulla persecuzione operata dal regime comunista fino agli anni 80 del secolo scorso, simbolo di ogni violazione della fondamentale libertà religiosa. La proiezione ha dato luogo all’incontro con la realtà disumana e terribile della sopraffazione di ogni libertà, della soppressione della vita, della violenza mirata a trasformare l’innocente in criminale.lilli e bastelli
Un incontro che ha messo più che mai in evidenza la necessità dell’incontro con la storia e la necessità di informarsi, di aprire gli occhi sulle atrocità di oggi su questo piano, perché ciò che sembrava ormai attenuato, ora si ripropone in forme sempre più drammatiche e devastanti.

Alla ricchezza della riflessione, fortemente convergente pur nella pluriformità degli apporti, ha fatto eco un ampio e costruttivo dialogo per poter individuare vie di rinnovata sensibilizzazione nelle nostre realtà e poter divenire più capaci, nel discernimento ecclesiale e sociale, di mobilitarci coralmente con tutti gli uomini e le donne di buona volontà per debellare il delitto di lesa umanità proprio delle nuove schiavitù, convinti più che mai che la edificazione del bene comune e della pace può avvenire realmente solo mettendo al centro i più deboli e indifesi della società. E’ un fatto su cui si misura la nostra civiltà.

A cura di Argia Passoni

Nel prossimo Cantico saranno pubblicate le relazioni ad integrazione del presente Speciale