Dalla riflessione di S. Em. Cardinale Maria Matteo Zuppi

Con grande cordialità S. Em. il Card. Zuppi, nostro Arcivescovo, ha aperto l’incontro esprimendo la sua gioia per questo appuntamento della Domenica delle Palme perché è un aiuto a riflettere su tutta la Settimana Santa. Una piccola tradizione – ha sottolineato – che conserva con molta gratitudine. È bello sempre ritrovarsi, camminare insieme. Citando Giovanni XXIII, potremmo dire come lui “mettere il mio cuore accanto al vostro cuore”.
I temi proposti sono molto belli – ha proseguito –. Seminare la pace è un tema di grande attualità, perché seminare riguarda il futuro.
Senza la semina non c’è futuro perché la semina ha bisogno di tempo: contiene sempre l’attesa e noi sappiamo attendere molto poco. La cura della pace ha bisogno di tempo. E ci chiede di guardarci intorno con interesse.
La pace è un seme. La pace non è mai definitiva: è sempre da curare. Richiede manutenzione, attenzione, passione, insistenza, perseveranza. La pace viene minacciata perché manca la manutenzione. Abbiamo il seme della pace da gettare, dono del Signore affidato alle nostre mani. Rendere interessante sempre la vita degli altri diventa qualcosa di bello, di significativo, di personale.
Chi semina? Chi sono i seminatori di pace? Tutti, tutti noi siamo i seminatori di pace.
Dove seminare? Si semina nei palazzi dove si decide la pace. E questo richiede un amore “politico”, non opportunismo. Si richiede a ognuno di fare la differenza con convinzione. Se nel mondo i governanti fossero più ispirati a propositi di pace, forse la pace non sarebbe un sogno. “Si vis pacem, para civitatem”. Si richiedono istituzioni di pace. E questo riguarda tutti.
Benedetto XV fu il primo Papa che disse: “la guerra è un’inutile strage. La guerra non è santa”. Pio XI che era un carattere molto determinato, fece una enciclica contro il nazismo dicendo che il nazismo è paganesimo perché siamo tutti fondamentalmente ebrei.
Lo disse quando il Parlamento Italiano stava decidendo tutte le norme contro gli ebrei. La persona fa la differenza e noi dobbiamo fare la differenza. Siamo cristiani ma per grazia non possiamo fare come tutti. La nostra giustizia non può essere quella degli scribi e dei farisei. Dobbiamo fare la differenza non perché siamo migliori, ma perché abbiamo la grazia di essere cristiani. Tutti quanti noi dobbiamo fare la differenza e seminare ovunque, non solo sulla terra buona. Seminare perché senza la pace non c’è futuro. Raccoglieremo quello che seminiamo o che non abbiamo seminato. Se non seminiamo c’è sempre chi semina la zizzania. Chi viene dopo di noi raccoglierà quello che abbiamo seminato. Della nostra vita resterà sempre e solo quello che lasciamo agli altri. Il giudizio è sull’amore. Se prevale l’indifferenza non c’è il noi.
Ma noi abbiamo vigilato sulla pace? Onestamente lo facciamo troppo poco. L’individualismo semina tanta violenza: i pregiudizi, il sarcasmo sono distruttivi. L’odio cancella la dignità dell’essere umano: l’altro è un nemico, non è più una persona. Se hai il cuore in pace, puoi seminare pace. Noi dobbiamo aiutare il Signore. È nostra responsabilità portare a tutti il Vangelo. Dio ci fa suoi discepoli perché il suo amore attraverso di noi giunga a tutti. Pensiamo alla grazia che abbiamo nel credere. La fede è vedere e sono chiamato a aiutare l’altro che non vede. Se noi facciamo vedere l’amore, attraverso l’amore rendiamo testimonianza di chi ce l’ha dato. È nostra responsabilità.

Cosa significa essere uomini di speranza?
I contadini – ha proseguito l’Arcivescovo citando Mazzolari – nelle nebbie di ottobre e novembre vedono già i campi che biondeggiano a giugno. Questa è la speranza, è la pace che dobbiamo seminare. La guerra non è mai un caso. Ha sempre una giustificazione.
La speranza, come ben ci indica “Spes non confundit”, non cede nelle difficoltà, si fonda sulla fede, è nutrita nella carità. E interpella tutti.
Nelle nostre città c’è sempre più odore di morte e divisione. Questo cancella la dignità umana, facendo credere che la forza sia efficace e che il male si vince con il male, mentre in realtà si finisce sempre con l’essere collaboratori del male.
Nelle tribolazioni attraverso il buio si scorge la luce. E occorre assumere una virtù strettamente collegata con la speranza: la pazienza. La responsabilità si traduce così in pace per il mondo, verso tanti popoli oppressi dalla violenza. Siamo chiamati – ha sottolineato il Cardinale – a scrutare i segni dei tempi e a trasformarli in semi di speranza. E dobbiamo essere la famiglia vicina alla famiglia, ricostruire la famiglia che è la comunità, il noi della comunità. Seminare questa pace tra di noi e verso tutti. Per Francesco d’Assisi il lupo è “frate lupo”. È determinante guardare con benevolenza: dove è odio, lì bisogna portare l’amore, la riconciliazione.
Il servizio ai più poveri è sempre seminare pace, perché fa crescere l’attenzione e il valore dell’altro. Bisogna fare guerra contro se stessi e avere un cuore in pace. Il fatto di essere uomini di pace comunica pace. La benevolenza, la gentilezza è una delle cose che tutti noi possiamo fare, cercando in ogni altra persona anche quel piccolo frammento che c’è di buono. La benevolenza disarma.
S. Francesco impone ai suoi di non avere lo sguardo cattivo. Lo troviamo in modo molto significativo nella Regola Non Bollata. E come ci attestano le cronache della città di Bologna “Tutta la sostanza delle parole di Francesco mirava a spegnere le inimicizie e a gettare le fondamenta di nuovi patti di pace”. Il suo saluto è “pace e bene” o “Il Signore ti dia pace”. Ricordava ai suoi frati “siamo servi inutili” e raccomandava loro di non adirarsi e di non avere lo sguardo cattivo. Augurare la pace significa accoglienza, solidarietà, preghiera.
Dobbiamo avere speranza e insistere con la strategia della semina evangelica laddove invece la rassegnazione sembra rinunciare alla pace.
L’individualismo semina tanta violenza. I pregiudizi razziali segnano divisione e quindi violenza. C’è purtroppo tanto sarcasmo che offende, umilia, cancella la dignità dell’essere umano rendendo l’altro un nemico.
A questo proposito S. Eminenza. ci ha fatto dono della testimonianza di Hetty Illesum, una giovane ebrea che diventa sostanzialmente cristiana anche se non ha mai ricevuto il Battesimo. E mentre è ad Auschwitz a soli 26 anni, e sa che sta andando incontro alla morte, dice: “Dalle tue mani, Signore, accetto tutto come viene, sò che è sempre un bene. Ho imparato che un peso può essere convertito in bene se lo sai sopportare. Non vedo altre alternative. Ognuno di noi deve raccogliersi e distruggere in se stesso ciò che richiede di distruggere negli altri. Cercherò di aiutarti Dio affinché tu non venga distrutto dentro di me. L’unica cosa che possiamo salvare è salvare un piccolo pezzo di te in noi stessi e forse possiamo anche contribuire a disseppelirti nel cuore degli altri uomini. Tocca a noi aiutare te per difendere la tua casa in noi”. Un esame di coscienza: dipende da noi e dobbiamo aiutare il Signore. Ci fa essere suoi discepoli perché il suo amore attraverso di noi raggiunga tanti. “L’amore di Dio è affidato a te”.
Tutto questo ci fa capire l’importanza di credere e quanto sia importante il rapporto con i non credenti.
Ci aiuta Papa Francesco con il n. 8 della “Spes non confundit”. “Il primo segno di speranza si traduca in pace per il mondo che ancora si trova nella tragedia della guerra. […] l’umanità è sottoposta a una nuova e difficile prova che vede tante popolazioni oppresse dalla brutalità della violenza… Come è possibile che il grido disperato di aiuto di nazioni non spinga i responsabili delle nazioni a porre fine ai loro conflitti regionali e smettano di portare distruzione e morte. Il Giubileo ricorda che quanti si faranno operatori di pace saranno chiamati figli di Dio. L’esigenza della pace interpella tutti e impone di perseguire progetti concreti. Non venga a mancare l’impegno della diplomazia per ricostruire con coraggio e creatività trattative finalizzate a una pace duratura”.
Attraverso il buio si scorge la luce. Si capisce come a sorreggere l’evangelizzazione sia la forza che scaturisce dalla Croce e si scopre una virtù strettamente connessa con la speranza: la pazienza.
Qualche volta – aggiunge poi il Cardinale Zuppi – chi non crede ci spiega quanto sia importante credere e la grazia che abbiamo nel credere. Mi ha colpito il pensiero di un intelletuale spagnolo Javier Cercas: “Ho sempre creduto assieme a Nietzsche che quella cristiana fosse una visione della vita terrena in attesa di riscatto. Poi ho capito che il messaggio evangelico contiene una celebrazione della vita e una formidabile ribellione contro la morte. La promessa della vita eterna è la più grande rivoluzione immaginata”. Detto da un non credente ci aiuta a credere e anche ad aiutare tanti non credenti.
Chi fa vedere Dio? Se noi facciamo vedere l’amore, attraverso l’amore testimoniamo chi ce l’ha dato. Questa è la nostra responsabilità. Cosa significa essere uomini di speranza?
La Bolla di questo anno giubilare “Spes non confundit” è fondata sulla certezza che niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore divino. Questa speranza non cede nelle difficoltà. Essa si fonda sulla fede, è nutrita dalla carità, unita alla virtù della pazienza.
Assieme a tutta la Chiesa siamo chiamati a scrutare i segni dei tempi e a trasformarli in semi di speranza per il mondo!

A cura della Redazione