Dall’intervento di Rita Battistini, Responsabile di Casa Rodari
Sono sempre lieta per questi momenti di incontro perché aiutano a dare un senso di appartenenza al quartiere e questo ci fa sentire meno soli.
Devo confessare che, pensando al mio intervento qui oggi, all’inizio la speranza mi sembrava una parola quasi estranea, invece riflettendo l’ho trovata ovunque.
La speranza è uno stato d’animo che ci accompagna; è la motivazione che spinge ad attivarci. Le persone con cui io lavoro non sono in grado di attivarsi da sole, nonostante abbiano dei sogni, dei desideri. La loro speranza è rappresentata da chi lavora a Casa Rodari.
Casa Rodari è a tutti gli effetti una “casa” anche se di dimensioni più grandi e un nucleo familiare più allargato. Dietro a questa Casa c’è il dolore di famigliari che hanno dovuto prendere la sofferta decisione di “rinchiudere” i loro cari, per problematiche varie di gestione o di salute, e di metterli in una struttura ad alta protezione dove gli utenti sono vigilati ventiquattro ore su ventiquattro e dipendono in buona parte dagli operatori.
La loro speranza dipende da questi ultimi. Dunque il nostro è un lavoro di grandissima responsabilità. Tutti i giorni io spero di fare qualcosa di buono al lavoro per le persone che ci sono state affidate.
Una volta si badava solo a sopperire ai bisogni di base: pulizia, alimentazione, ecc. E andava bene così. Oggi si può lavorare sulla qualità della vita: ragioniamo sul soddisfacimento dei loro desideri che vengono sempre mediati perché, a volte, le richieste sono eccessive. Comunque possiamo fare molto!
Ci vuole una grande capacità che possiamo tradurre con la parola “empatia” che ogni persona, che lavora nella relazione di aiuto, deve avere per poter comprendere l’altro.
Alcuni nostri utenti non sono in grado di esprimersi per cui senza l’empatia non possiamo sentire i loro bisogni o da cosa è motivato il loro disagio. Solo così possiamo prodigarci. Se invece non siamo in grado di ascoltare non lo possiamo fare.
Si dice che quando alcuni sensi non sono sviluppati gli altri sensi si amplifichino. I nostri utenti sono molto più sensibili di noi, sentono se non sono accettati.
La residenza sostituisce la famiglia, perciò noi vogliamo dare un prototipo di famiglia. Come si fa in ogni casa diamo la scansione del tempo: ci si sveglia, ci si lava, poi si fa colazione, si fanno attività interne e spesso in uscita dalla struttura ecc. Tutto questo accompagnato da alcune regole di convivenza.
La nostra struttura è molto aperta: gli utenti vanno a casa o i famigliari li vengono a trovare. Chi vuol venire a trovarci è ben accetto.
La vera integrazione non è solo quella che va dall’interno all’esterno ma soprattutto l’inverso poiché è l’unico modo per avvicinarsi a una realtà che altrimenti rimane sconosciuta.
C’è anche la speranza del famigliare che ci affida il proprio parente e ripone in noi aspettative e la speranza se noi possiamo essere le persone giuste, quelle che faranno del bene al loro congiunto.
Abbiamo fatto inserimenti faticosi in cui bisognava costruire un rapporto di fiducia a partire da zero. Il nostro lavoro può essere fatto solo con amore.
Non tutti lo possono fare. Ci sono persone più adatte, altre meno. Se non sono in grado di immedesimarmi nella persona bisognosa d’aiuto non posso rappresentare per quella persona una risorsa.
Il volontariato oggi è diventato molto importante per noi e per tutte le realtà simili. Abbiamo venti “ragazzi” (termine affettivo perché le età sono molto varie) e vorremmo garantire a tutti la soddisfazione dei loro desideri (andare ad un concerto, al cinema, allo stadio…). Aggiunta di risorse, come appunto i volontari, ci permettono di offrire qualche cosa di più. Anche una semplice passeggiata è importante, una visita, un caffè preso insieme e qualsiasi altra occasione che dia la possibilità di sentirsi “cittadini del mondo”.
Momento conviviale a casa Rodari