Commento al Messaggio di Papa Francesco per la Giornata del Creato 2024
Don Stefano Culiersi
Il nostro tempo è caratterizzato da un deficit di speranza, come indicano diversi segnali, tra cui il più importante la denatalità. Spesso il Censis nei suoi rilevamenti denuncia una scarsa propensione al futuro della nostra gente, disincantata e avvilita, incapace di pensarsi a lungo periodo.
La speranza quindi sembra essere non l’ultima, ma la prima dea ad aver lasciato questa terra. Il prossimo Giubileo sarà dedicato proprio alla speranza cristiana, come ricorda il papa nella bolla di indizione Spes non confundit: la speranza non delude. Sulla scia di questo clima dettato dalla necessità di ritrovare speranza, anche il tempo del creato propone una rinnovata attenzione a questa virtù, con il Messaggio di Papa Francesco 2024: Spera e agisci con il Creato.
Il tema è apparentemente immediato:
«Sperare e agire con il creato significa anzitutto unire le forze e, camminando insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, contribuire a “ripensare alla questione del potere umano, al suo significato e ai suoi limiti”» (n. 6).
Riconoscere che ci sono persone nel mondo che, come noi, hanno qualcosa di buono da offrire per la custodia del Creato, soprattutto in ordine al modo di esercitare l’autorità e il potere. Il punto su cui più insiste il papa è proprio questo: come esercitare autorità e potere sulla Creazione per dare speranza, futuro al mondo?
C’è infatti un utilizzo della tecnologia e del dominio che distrugge e toglie futuro alla natura.
«Il nostro potere, infatti, è aumentato freneticamente in pochi decenni. Abbiamo compiuto progressi tecnologici impressionanti e sorprendenti, e non ci rendiamo conto che allo stesso tempo siamo diventati altamente pericolosi, capaci di mettere a repentaglio la vita di molti esseri e la nostra stessa sopravvivenza» (Laudate Deum, 28).
Un potere incontrollato genera mostri e si ritorce contro noi stessi. Perciò oggi è urgente porre limiti etici allo sviluppo dell’Intelligenza artificiale, che con la sua capacità di calcolo e di simulazione potrebbe essere utilizzata per il dominio sull’uomo e sulla natura, piuttosto che messa a servizio della pace e dello sviluppo integrale (cfr Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2024).
Per poter insieme agli altri offrire speranza al mondo, il credente deve vivere una identità umana rinnovata profondamente dallo Spirito Santo, ad immagine di Cristo, in comunione con il Padre celeste, che lo trasformi da predatore a coltivatore di quella terra che è affidata all’uomo ma rimane proprietà di Dio (Cfr n. 7).
L’uomo privo della grazia, nemico di Dio e di se stesso, finisce per rendere dis-graziata anche la terra.
La condizione che noi viviamo è questa: di una Creazione sofferente, con la quale soffriamo anche noi finché non sia ristabilita in pienezza la nostra e la sua Redenzione, cioè liberazione dal male, dal peccato e dalla morte.
Sperare e agire con il creato significa allora vivere una fede incarnata, che sa entrare nella carne sofferente e speranzosa della gente, condividendo l’attesa della risurrezione corporea a cui i credenti sono predestinati in Cristo Signore. In Gesù, il Figlio eterno nella carne umana, siamo realmente figli del Padre. (n. 9).
L’invito del messaggio, di per sé molto semplice ed intuitivo, è quello di portare la speranza della risurrezione a quella parte della Creazione che più patisce perdita di futuro, di senso, di vita, insieme con quanti condividono l’anelito alla liberazione dal male. Però – e il messaggio di papa Francesco ne è pienamente consapevole – questo invito così semplice, ha bisogno di essere motivato e fondato con molta attenzione, per evitare una certa faciloneria che porterebbe a peggiorare invece che a migliorare la situazione.
Noi infatti, nel tentativo di esercitare una autorità e un potere sul mondo che diano futuro e speranza, rischiamo un intervento contrario al presente, ma altrettanto malato di autorità e potere, perché esercitato dallo stesso essere umano che ha causato il problema. La questione è e rimane sempre non tanto di applicare norme, protocolli, controlli e sanzioni diverse da oggi, ma di cambiare il cuore dell’uomo.
Nell’enciclica Spe Salvi di Benedetto XVI, citata da papa Francesco, l’uomo sempre bisognoso di essere liberato dai mali che lo affliggono, si illude nella corruzione del suo cuore, che arriverà una tecnologia che libererà da questo o da quello, convinto che sarà la scienza a redimerlo, a sgravarlo dalle cose che lo opprimono e lo schiacciano oggi. In vista di un futuro dove la tecnologia sarà in grado di dare liberazione egli è disposto anche a sacrifici, nelle “magnifiche sorti e progressive” che dovranno finalmente affrancarlo ed aprire un’età dell’oro, un paradiso terrestre nel tempo storico della sua vita.
Non sarà mai così. Ne abbiamo evidenze continue nella storia e anche nella più recente situazione contemporanea.
Alcuni esempi. Come non ricordare la nostra pandemia con l’“Andrà tutto bene”? Perché doveva andare tutto bene? Per la fiducia incrollabile e positiva nel futuro?
Per l’osservanza dei protocolli, per una tecnologia farmaceutica che certamente ci avrebbe liberato dalla minaccia? L’unica cosa che avrebbe fatto bene non era né un protocollo né un farmaco, ma l’assumere la premura per il fragile come priorità e quindi una conversione del cuore… ed è l’unica che non abbiamo fatto.
Mi viene da pensare anche alla sostituzione dei motori a scoppio con motori elettrici per ridurre le emissioni di CO2. Sembra una tecnologia perfetta che sostituisce i carburanti combustibili e contrasta il riscaldamento del pianeta. Senza però contare che sposta altrove i problemi ecologici, come lo sfruttamento minerario degli elementi rari che compongono le batterie, la creazione di centrali per la produzione di energia elettrica e lo smaltimento delle batterie esauste. Tutto questo per sostituire le auto, pur di non cambiare abitudini nel nostro modo di muoverci e di vivere, mentre la cosa primaria da fare è quella di gestire diversamente la mobilità, cambiando stile di vita.
L’enciclica Spe Salvi punta il dito sulla questione centrale: non è la tecnologia a liberarci dal male, ma è l’amore e questo non perché l’amore risolva i problemi, ma perché cambia i cuori. Papa Francesco ricorda questo passaggio dell’enciclica del suo predecessore e ci permette così di puntare la nostra attenzione sulla questione principale. La speranza non viene da un ingenuo ottimismo sul futuro che ci attende, ma dall’essere amati in maniera straordinaria da Gesù Cristo.
Questo amore perfetto ci redime, cambia i cuori, dà speranza ben oltre la risoluzione di un problema.
Per questo, per sperare e agire con il Creato, il punto di partenza di papa Francesco è la fede in Cristo Redentore, è la vita nuova del credente che nello Spirito del Signore Gesù Cristo vince la carne e possiede la primizia della risurrezione.
“Spera e agisci con il creato”: è il tema della Giornata di preghiera per la cura del creato, del 1° settembre. È riferito alla Lettera di San Paolo ai Romani 8,19-25: l’Apostolo sta chiarendo cosa significhi vivere secondo lo Spirito e si concentra sulla speranza certa della salvezza per mezzo della fede, che è vita nuova in Cristo.
Partiamo allora da una domanda semplice, ma che potrebbe non avere una risposta ovvia: quando siamo davvero credenti, com’è che abbiamo fede? Non è tanto perché “noi crediamo” in qualcosa di trascendente che la nostra ragione non riesce a capire il mistero irraggiungibile di un Dio distante e lontano, invisibile e innominabile. Piuttosto, direbbe San Paolo, è perché in noi abita lo Spirito Santo. Sì, siamo credenti perché l’Amore stesso di Dio è stato «riversato nei nostri cuori» (Rm 5,5).
La speranza uno non se la dà da solo, ma la riceve: vede qualcosa che gli fa prevedere un futuro, si incammina verso quel futuro. Per esempio uno sente un profumo che viene da un’altra stanza e per questo si alza e va in quella stanza nella speranza di trovare quella pietanza: c’è qualcosa che dà fondamento, solidità alla speranza, anche se volatile come un profumo.
L’uomo può sperare solo se riceve speranza, e il fondamento solido della nostra speranza è anche per noi un alito promettente: lo Spirito.
Credendo in Cristo, ricevendo lo Spirito di Dio, noi siamo portati a vivere la vita del Figlio di Dio che è anticipo del Paradiso, profumo di ciò che sarà il Regno, muovendo i nostri passi sulla affidabilità di quella promessa – o caparra come la chiama la Scrittura – che è lo Spirito. Il credente, conoscendo la promessa di Gesù nella rivelazione, accoglie lo Spirito e si indirizza verso ciò che ancora non si vede, seguendo il profumo di ciò che ancora è dietro la porta.
1. La fede allora. Se vogliamo agire con speranza nel Creato, occorre agire da credenti.
L’esistenza del cristiano è vita di fede, operosa nella carità e traboccante di speranza, nell’attesa del ritorno del Signore nella sua gloria. Non fa problema il “ritardo” della parusia, della sua seconda venuta. La questione è un’altra: «il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8). Sì, la fede è dono, frutto della presenza dello Spirito in noi, ma è anche compito, da eseguire in libertà, nell’obbedienza al comandamento dell’amore di Gesù (n. 2).
Davanti al dolore del mondo che soffre, il credente conosce l’esito redentivo che attende l’umanitàe il creato intero. Perché credente, spera nella liberazione e agisce in vista di quella liberazione dal male e dalla morte.
L’ottimismo cristiano si fonda su una speranza viva: sa che tutto tende alla gloria di Dio, alla consumazione finale nella sua pace, alla risurrezione corporea nella giustizia, “di gloria in gloria” (n. 2).
Senza dimenticare il gemito della Creazione, il credente conosce però il senso di quel gemito, perché crede in Cristo e nella sua Pasqua vede anticipato e compiuto il cammino di tutta l’opera di Dio.
Il gemere manifesta inquietudine e sofferenza, insieme ad anelito e desiderio. Il gemito esprime fiducia in Dio e affidamento alla sua compagnia affettuosa ed esigente, in vista della realizzazione del suo disegno, che è gioia, amore e pace nello Spirito Santo (n. 2).
Prima di ogni tecnologia e strategia per riparare il mondo l’uomo ha bisogno di speranza e non c’è speranza senza la fede. Dice la Lettera agli Ebrei, che «La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede» (Eb 11,1).
Questa fede mosse i patriarchi verso ciò che non era visibile, attirati dalla speranza di trovare ciò di cui avevano sentito parlare e che offriva loro comunque una valida e sostanziale prova di ciò che li attendeva, un punto di forza su cui sostenere le proprie aspirazioni. La presunzione di tecnologie risolutive potrà essere fondamento di speranze minimali, attese mediocri e parziali, ma non della liberazione definitiva e piena di tutto il Creato dal male e dalla morte. È la tesi che sviluppa in molti capitoli papa Benedetto XVI nella Spe Salvi e che papa Francesco assume a fondamento del messaggio.
Allora la speranza è una lettura alternativa della storia e delle vicende umane: non illusoria, ma realista, del realismo della fede che vede l’invisibile. Questa speranza è l’attesa paziente, come il nonvedere di Abramo (n. 3).
Cosa crediamo che ci permette di offrire speranza al mondo? Davanti a tutte le smentite che questa umanità vive, credendo alla Pasqua di Cristo, noi abbiamo speranza nella fraternità universale, di cui la Chiesa comincia a vivere l’anticipo, nell’espressione di una reale fraternità. Perché Cristo ha distrutto l’inimicizia sulla croce io posso avere speranza di vincere i conflitti nella storia. Perché Cristo ha raccolto e unito i dispersi che io ho speranza di vedere uniti i popoli.
Senza il fondamento della fede, la mia speranza è illusoria. Nel messaggio il papa cita un grande medievale e la sua aspirazione alla fraternità universale: Gioacchino da Fiore, abate calabrese, nel XIII secolo.
Mi piace ricordare quel grande visionario credente che fu Gioacchino da Fiore, l’abate calabrese “di spirito profetico dotato”, secondo Dante Alighieri: in un tempo di lotte sanguinose, di conflitti tra Papato e Impero, di Crociate, di eresie e di mondanizzazione della Chiesa, seppe indicare l’ideale di un nuovo spirito di convivenza tra gli uomini, improntata alla fraternità universale e alla pace cristiana, frutto di Vangelo vissuto. Questo spirito di amicizia sociale e di fratellanza universale ho proposto in Fratelli tutti. E questa armonia tra umani deve estendersi anche al creato, in un “antropocentrismo situato” (cfr Laudate Deum, 67), nella responsabilità per un’ecologia umana e integrale, via di salvezza della nostra casa comune e di noi che vi abitiamo (n. 3).
2. Se la fede è fondamento, la speranza ci fa chiedere un quando.
Nel parlare di speranza cristiana da condividere con il mondo noi ci scontriamo con una facile incomprensione, ovvero la distanza tra il tempo storico e il tempo escatologico.
Dopo la Passione, Gesù Cristo Risorto dai morti sale al Padre e siede sul trono della sua maestà a dirigere la diffusione del suo Regno e della sua autorità fino al suo compimento, nel suo ritorno.
Tornando ad alcune affermazioni che abbiamo già visto, il messaggio ha degli orizzonti e delle prospettive che sono più ampie del calendario storico in cui viviamo e vivremo.
Ecco la grande speranza: l’amore di Dio ha vinto, vince sempre e ancora vincerà. Il destino di gloria è già sicuro, nonostante la prospettiva della morte fisica, per l’uomo nuovo che vive nello Spirito (n. 1).
Non fa problema il “ritardo” della parusia, della sua seconda venuta. La questione è un’altra: «il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8) […]
L’ottimismo cristiano si fonda su una speranza viva: sa che tutto tende alla gloria di Dio, alla consumazione finale nella sua pace, alla risurrezione corporea nella giustizia, “di gloria in gloria” (n. 2).
Per tutti coloro che credono che la religione possa essere una strategia che con la sua tecnica riesca a offrire un tempo in cui vivere liberati dalle afflizioni, occorre ribadire che non è così. La migliore organizzazione religiosa che distribuisca cibo, promuova la scolarizzazione, apra ospedali e faccia peace keeping, non libererà il mondo dal male, dall’ingiustizia e dalla morte. Come non lo potrà fare la migliore amministrazione pubblica dello stato, la tecnologia sanitaria più avanzata e le strategie economiche meglio perfezionate.
Il compimento del Regno è oltre quella porta dalla quale ci viene il profumo di buono, lasceremo la sala d’attesa ed entreremo dove è pronta la cena dell’Agnello, il banchetto escatologico del Figlio di Dio.
Dobbiamo allora soltanto sederci e aspettare che sia pronto? No affatto. Spera e agisci, dice il messaggio del papa. Ma conviene rifondare la nostra azione sulla speranza cristiana integrale collocando ogni nostra attesa terrena nell’orizzonte in cui questa creazione deve passare e noi aspettiamo nuovi cieli e terra nuova.
Lo Spirito, che è lo Spirito del Risorto, si porta con sé nel nostro cuore le premesse e le promesse di quel futuro di salvezza atteso e sperato. Colloca così nel nostro cuore il profumo di Cristo e ci incoraggia a vincere la carne e le sue logiche, per cominciare a vivere nello Spirito con le sue logiche. Se il cristiano agisce per la promozione sociale, umana, per risolvere conflitti, lo fa perché questo cambia il suo e il cuore dell’altro e ci rende conformi con ciò che ci sarà di là, oltre quella porta. Se abbiamo inalato lo Spirito del Risorto, agiamo da risorti e svegliamoci al mondo come figli di Dio, perché il mondo attraverso di noi senta che c’è esito di salvezza per il suo gemito.
Nell’attesa speranzosa e perseverante del ritorno glorioso di Gesù, lo Spirito Santo tiene vigile la comunità credente e la istruisce continuamente, la chiama a conversione negli stili di vita, per resistere al degrado umano dell’ambiente e manifestare quella critica sociale che è anzitutto testimonianza della possibilità di cambiare (n. 5).
Perché tanto male nel mondo? Perché tanta ingiustizia, tante guerre fratricide che fanno morire i bambini, distruggono le città, inquinano l’ambiente vitale dell’uomo, la madre terra, violentata e devastata?
Riferendosi implicitamente al peccato di Adamo, San Paolo afferma: «Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi» (Rm 8,22). La lotta morale dei cristiani è connessa al “gemito” della creazione, perché essa «è stata sottoposta alla caducità» (v. 20). […] Ma, in senso contrario, la salvezza dell’uomo in Cristo è sicura speranza anche per il creato: infatti «anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21). Sicché, nella redenzione di Cristo è possibile contemplare in speranza il legame di solidarietà tra gli esseri uomini e tutte le altre creature.
Quando mossi dallo Spirito, nella speranza del cielo, noi vinciamo la carne e ci riveliamo per quello che siamo, cioè figli di Dio che lo pregano chiamandolo Padre e che esercitano un potere che è servizio e non dominio, allora stiamo dando speranza al mondo.
5Quelli infatti che vivono secondo la carne, tendono verso ciò che è carnale; quelli invece che vivono secondo lo Spirito, tendono verso ciò che è spirituale. 6Ora, la carne tende alla morte, mentre lo Spirito tende alla vita e alla pace. 7Ciò a cui tende la carne è contrario a Dio, perché non si sottomette alla legge di Dio, e neanche lo potrebbe. 8Quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio.
9Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. 10Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia. 11E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.
12Così dunque, fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, 13perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete. 14Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. 15E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!».
16Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. 17E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.
18Ritengo infatti che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. 19L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio.
20La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza 21che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. 22Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. 23Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. 24Nella speranza infatti siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? 25Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza (Rm 8,5-25).
* Direttore Ufficio Liturgico Diocesi di Bologna