È stata una grande emozione partecipare in Piazza S. Pietro alla Messa di inizio pontificato di Papa Francesco. Una gioia grande che si fa sempre più inno di grazie per ciò che lo Spirito sta donando alla sua Chiesa.
Con i suoi gesti di straordinaria umiltà e semplicità, con la sua parola così piena della forza e della tenerezza del Vangelo, Papa Francesco ci sta chiamando a vivere una Chiesa comunione, proiettata nella testimonianza e nel servizio verso ogni uomo a partire dagli ultimi, per portare a tutti la speranza.
Senza titoloE oggi la categoria biblica della “custodia”, colta nella feconda esemplarità di S. Giuseppe, ha costituito il filo conduttore per arrivare a delineare i tratti del ministero petrino come servizio, un servizio volto ad “aprire le braccia per custodire tutto il popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza la intera umanità, specialmente i più poveri”. Ed aprire così orizzonti di speranza.
L’universalità che percorreva Piazza S. Pietro, nei volti variegati della moltitudine presente e nella molteplicità delle espressioni linguistiche, ha trovato qui nella parola del Papa tutta la sostanza della Parola di Dio.
Quel “custodire”, riportato al cuore come modalità di vita per ogni cristiano – chiamato a custodire Cristo nel proprio cuore per custodire gli altri e il creato –, il Papa ce lo ha poi ricordato come compito di ogni uomo. Senza la custodia l’uomo è deturpato, perde la preziosità della sua umanità e impoverisce la sua capacità di riconoscere la bontà del creato, anzi ha “paura della bontà e della tenerezza”. La distruzione, l’inquinamento che tutto questo comporta, mi ha fatto pensare al dramma dell’uomo di oggi che è ancora il dramma di Caino: l’uomo che si pone in antitesi alla custodia e che risponde anche oggi “Sono forse io il custode del mio fratello?”.
E mi ha fatto pensare al custodire a cui richiama Francesco d’Assisi nella sua Regola, dove i frati sono sollecitati a custodirsi sempre l’un l’altro nel Signore, e alla preziosità che Francesco e Chiara annettono al custodire.
Ancora una volta la scelta del nome Papa Francesco è sembrata confermarsi come indicazione della modalità propria del suo essere “Vescovo di Roma che presiede a tutte le Chiese”:
• uno stare tra il suo popolo, tra la gente, rimandando a ciò che è fondamentale: Cristo e Cristo Crocefisso;
• un riparare la Chiesa che è innanzitutto il riportare ciascuno alla comunione con Cristo, custodendo Cristo in se stessi come hanno fatto Maria e Giuseppe per tutta l’umanità;
• un invocare una “Chiesa povera per i poveri”, dove la povertà non è qualcosa di ideologico o contro qualcuno, ma è l’accogliere la condizione dell’uomo, la sua povertà radicale che lo porta accanto ad ogni altro uomo da riconoscere come fratello. La Chiesa povera è la chiesa di tutti, perché tutti vi possono entrare.
E questo richiede il coinvolgimento di ognuno in un “camminare insieme alla presenza del Signore” (Vescovo e popolo) e Papa Francesco sollecita ognuno a quell’“usare misericordia” che consiste nel portare la luce della speranza, edificando nella fedeltà alla custodia una nuova umanità.
Allora alla gioia grande si unisce, soprattutto come francescani, una responsabilità grande, interpellati a questo cammino con tutta la Chiesa che ci riporta alle radici stesse del carisma francescano, di cui sembra dirci oggi il Papa, il mondo ha più che mai bisogno.
È un debito di amore a cui non possiamo sottrarci! Richiede la nostra conversione, richiede la nostra risposta.

Argia Passoni

La francescana Argia Passoni:
Le parole di Papa Francesco sono come rugiada

Custodire gli altri e il creato: è uno dei passaggi forti dell’omelia di Papa Francesco. Una sottolineatura che ha particolarmente colpito la grande famiglia francescana.
Alessandro Gisotti ha raccolto la testimonianza di Argia Passoni, responsabile della Comunità francescana “Frate Jacopa” di Roma:
R. – È davvero una gioia grandissima, proprio perché veramente si respira questa gioia che lo Spirito sta donando alla Chiesa tramite Papa Francesco. Questa sua parola, piena di forza, così piena di tenerezza, scende davvero come rugiada e ci sta chiamando a vivere una Chiesa-comunione, una Chiesa proiettata proprio nella testimonianza e nel servizio verso ogni uomo, a partire dagli ultimi, dai più piccoli per portare a tutti la speranza.
D. – Camminare, edificare, confessare: sono stati i tre verbi che hanno scandito la prima omelia del Papa in Cappella Sistina dopo il Conclave. Oggi si aggiunge “custodire”…
R. – È qualche cosa di straordinario: il custodire come modalità di vita di ogni cristiano! Ma ha anche ricordato che il custodire riguarda ogni uomo: cioè, ha richiamato questo fatto. Ogni uomo è chiamato a custodire. Senza la custodia c’è l’impoverimento, c’è il deturpare il volto dell’uomo. Cristo nel nostro cuore è il primo modo per riparare la Chiesa…

Intervista di Radio Vaticana (19-03-2013)