Predazzo, 24-28 agosto 2020

L’ormai tradizionale Convegno estivo sulle Dolomiti in questo tempo di Covid ha avuto luogo con una modalità inedita. Col Patrocinio del Comune di Predazzo la Fraternità Francescana Frate Jacopa ha promosso l’incontro nazionale in presenza nell’Aula Magna del Municipio e in diretta streaming sulla pagina facebook del Comune e della rivista Il Cantico.
Dopo i saluti del Sindaco, Dott.ssa Maria Bosin, ha introdotto i lavori Argia Passoni, presidente FFFJ, che ha sottolineato la significativa e preziosa collaborazione offerta dal Comune di Predazzo nel succedersi di appuntamenti estivi che di anno in anno dal 2013 hanno dato continuità alla centralità della custodia del creato e del custodire l’umano nelle varie forme di attenzione all’abitare la terra in questo nostro mondo globalizzato.
Quest’anno il Convegno – ha evidenziato Passoni – non può che prendere le mosse dalla situazione che tutto il mondo si è trovato a vivere con l’avvento della pandemia. Il Covid ha messo a nudo la nostra fragilità, mentre ci credavamo onnipotenti. Ci ha messo di fronte al fatto che siamo tutti sulla stessa barca e dobbiamo imparare a remare insieme. Ci ha messo davanti alla necessità di una scelta tra ciò che è essenziale e ciò che non lo è. Ci ha richiamato ad interrogarci sul senso della nostra esistenza e al come custodire il progetto del Creatore che è progetto di fraternità universale. Dunque questo tempo si contrassegna come uno speciale tempo della cura, e non solo rispetto al virus, ma anche rispetto alle patologie socio-ambientali che hanno contribuito alla presente situazione. Un tempo che ci urge a responsabilità nel senso più profondo, di rispondere del dono, il dono del creato, il dono della vita in tutte le sue espressioni. Un tempo che ci chiama a ripensare le modalità della nostra vita e ci chiama alla cura della relazionalità, di cui è costitutivamente intrisa la nostra esistenza, entrando nel vivo di quel “tutto è connesso” che sentiamo più che mai vero e determinante oggi.
Quale equilibrio potremo ritrovare senza rinnovare il nostro sguardo e alimentare la speranza? Senza un rinnovato rapporto col Creatore e Padre di tutti? Quale possibilità di aprirci all’altro, senza la cura della nostra interiorità? E il fondamentale rapporto con l’altro, inquinato dall’individualismo e dall’indifferenza, come poterlo vivere senza incarnare nel quotidiano la prossimità, la comunione, la fraternità? Come poter agire in un rapporto risanante con la terra senza una cura del vivere sostenibile per tutti, rispetto al dominio e all’accaparramento dei beni di creazione?
Viviamo in una cultura dello scarto che riduce a merce uomini e natura, consumando le risorse del pianeta ed emarginando uomini e popoli. Non ci sarà futuro senza un’attenta cultura della cura. Tutto questo esige un profondo cambiamento di rotta, un profondo cammino di conversione personale e comunitario.
Tempo della cura – ha concluso Passoni – per un nuovo vivere insieme con sobrietà, giustizia, fraternità, ancorati alla speranza, perché la cifra del vivere non è l’individualismo, l’utilitarismo, bensì l’interdipendenza e la reciprocità.
Nelle cinque giornate, dal 24 al 28 agosto, si è dispiegato il Convegno nell’approfondimento di vari aspetti di questa ampia problematica, con il contributo di esperti relatori che hanno offerto importanti elementi di discernimento per il necessario cambiamento di rotta.

LA CURA DELLE RELAZIONALITÀ FONDAMENTALI
La riflessione di P. Martín Carbajo Núñez, Teologo morale e Etica della Comunicazione (Pontificia Università Antonianum di Roma e Facoltà Universitaria di S. Diego in California) ha portato in presenza la lezione che ci viene dalla pandemia, che ha smascherato la mancanza di relazionalità in questa società tecnocratica e concorrenziale. Partendo da una concezione antropologica negativa (homo homini lupus), la società occidentale ha incoraggiato una competitività individualista che accresce la sfiducia reciproca e approfondisce le disuguaglianze sociali.
L’essere umano sarebbe mosso dall’istintoegoista di autoconservazione e, quindi, cercherebbe sempre il proprio interesse, senza “dover niente a nessuno”. L’altro non è visto come un fratello, bensì come un rivale da vincere o plagiare.
La pandemia può farci capire – ha detto P. Martin – che la vita è un dono: siamo fragili, povere creature, ma infinitamente amate dal Creatore. La crisi che viene dal Covid può aiutarci a riprendere la relazionalità come aspetto fondamentale dell’esistere: ritrovare la vita nella relazione risanando la relazionalità malata dall’individualismo e dall’utilitarismo, rispetto ai quattro livelli dell’equilibrio: spirituale, interiore, solidale e naturale.
L’attuale pandemia è una “dolorosa prova della nostra finitudine”. Eravamo sicuri di essere padroni del nostro destino e di poter dominare la realtà; invece, stiamo scoprendo il bisogno di essere umili, accogliendo l’insuccesso e la debolezza come parte integrante della nostra vita. Di fronte alla pretesa di autonomia individualistica e di una libertà capita come assenza di costrizione, dovremo adesso riconoscere il bisogno di essere solidali e fraterni, cioè gioiosamente vincolati agli altri.
Abbiamo bisogno di una ecologia degli affetti e della condivisione che privilegi i beni relazionali ai beni economici. In questo contesto di ripensamento i cristiani devono rendere ragione della propria speranza, dando il loro apporto, per contribuire insieme ad ogni altro a ritrovare la strada. Covid ci ha ricordato l’appartenenza comune, alla quale non possiamo sottrarci. Soltanto insieme e facendoci carico dei più fragili, possiamo vivere la sfida globale, e custodire e coltivare l’appartenenza come fratelli. L’appello che ne consegue è a rafforzare la consapevolezza che siamo un’unica famiglia umana in un’unica famiglia creaturale. È determinante questa consapevolezza per assumere la indispensabile cultura della cura ed essere custodi l’uno dell’altro e della casa comune, recuperando la dimensione trascendente, l’attenzione al mistero nel guardare all’altro e a tutta la creazione e incarnando la libertà, che non significa essere disancorati da qualsiasi regola e appartenenza, ma essere chiamati ad esprimere quella donazione di sé che attiene alle radici della nostra vita.

ECOLOGIA INTEGRALE: NODI DI RIGENERAZIONE
La relazione di S.E. Mons. Mario Toso, Vescovo di Faenza Modigliana, ha posto immediatamente davanti al fatto che la chiamata a vivere una conversione integrale riguarda tutti e a tutti i livelli, e riguarda le molteplici relazioni che sostanziano tutto il sociale. La questione sociale oggi è una questione di ecologia integrale. E si presenta come una questione etica di giustizia: un debito ecologico intergenerazionale (verso le future generazioni) e infragenerazionale (tra i cittadini del pianeta). Da qui la domanda di fondo: “Quale cura terapeutica e rigenerativa della cultura dominante, tecnocratica, consumistica, devastante, foriera di ingiustizie?”.
Occorre fare leva su un nuovo umanesimo trascendente che può venire, come sottolinea Laudato si’, dalle motivazioni di fede contenute sia nel Vangelo della creazione che nel Vangelo della redenzione. Qui sono le fonti di saperi e vigore etico che siamo chiamati a proporre nella interazione con ogni altro sapere, perché, per dare vita a un rinascimento, c’è la necessità di un pensiero pensante non strumentale. Essendo la questione sociale oggi, questione di ecologia integrale, c’è bisogno di soluzioni integrali che tocchino i vari piani dell’esistenza con soluzioni su più livelli di azione (internazionale, locale, politica…) in cui è importante una democrazia dal basso e una cittadinanza attiva.
Tra i nuclei rigeneranti Mons. Toso ha dato particolare rilievo all’educazione, indicando come obiettivo centrale il formare ad una cittadinanza ecologica solida per un impegno disinteressato e costante, perché oltre alla legislazione, occorre una vita umana buona che animi le istituzioni al riconoscimento del primato del bene comune. E l’educazione ha bisogno di una spiritualità ecologica per proporre un modello alternativo di interpretare la qualità della vita, incoraggiando uno stile contemplativo, una vita più semplice e vera, testimoniando una sobrietà liberante.
Sobrietà che non riguarda solo l’aspetto personale ma deve investire anche il ripensare il modello di progresso e di po. Occorre infatti un’economia che non consideri la realtà in maniera consumistica, bensì dal punto di vista della destinazione universale dei beni. Mons. Toso ha poi sottolineato tra i vari soggetti educativi l’importanza di una attenzione maggiore alla famiglia, culla dei valori interiori della società e al tempo stesso peculiare soggetto politico. Il messaggio di Mons. Toso è stato condensato nella conclusione.
L’ecologia integrale di cui ha bisogno il pianeta e l’umanità – ha detto – è il risultato di una cura costante, di una responsabilità incessante che risponda del dono affidato da Dio all’umanità per il bene di tutti. Non è un di più la cura: la nostra vita si configura come un tempo della cura che sollecita a vivere con fraternità, sobrietà, giustizia, alimentata dalla speranza. Dunque la cura è il modo d’essere della nostra vita, rispondendo così del grande dono della creazione secondo l’ordinamento previsto dal Creatore.

CITTADINANZA ATTIVA. IL CASO DELE DOLOMITI UNESCO
“Non esiste un patrimonio senza le comunità che lo abitano”. Questa è una delle conclusioni a cui la Dott.ssa Marcella Morandini è giunta dopo sette anni di lavoro nella Fondazione Dolomiti Unesco di cui attualmente è direttrice. “Se si riduce il riconoscimento del sito Dolomiti Unesco a un marchio per la promozione turistica, e non si considera come pilastro fondamentale la consapevolezza dell’eccezionalità dei valori del proprio territorio, raggiunto dalle comunità che lo no, abbiamo perso in partenza”. Ma “se si lavora sulla cittadinanza attiva – ha ribadito – i processi diventano più radicati e ad essi possono seguire, a livello normativo, provvedimenti coerenti”.
“L’Unesco dà un riconoscimento di eccezionalità a luoghi che hanno valori universali, ma non una forma di tutela”, ha detto Marcella Morandini. L’Unesco ne riconosce più di mille, ma di questi solo duecento sono riconosciuti come “siti naturali”, perché per avere questa denominazione occorre poter garantire un’integrità paesaggistica e geologica difficilmente dimostrabile. Dolomiti Unesco è un sito complesso e di difficile gestione, riconosciuto sia per l’importanza geologica sia per l’“estetica del sublime” descritta da generazioni di viaggiatori che hanno fatto conoscere al mondo le Dolomiti. La Fondazione abbraccia un territorio molto ampio che va dal gruppo del Brenta fino al Friuli, formato da cinque province (Trento, Bolzano, Belluno, Udine, Pordenone) ed abitato da comunità che parlano quattro lingue. Il patrimonio naturale è inscindibile dal patrimonio culturale, poiché senza le comunità che fin dai tempi lontani hanno dissodato, coltivato e custodito faticosamente questo territorio, esso non si sarebbe mantenuto con l’aspetto che oggi lo caratterizza. Sono comunità che lavorano a livello di rete, lavoro sostenuto dalle Dolomiti Unesco con azioni di messa in circolo delle specifiche competenze e delle variegate risorse di ogni territorio.
Il documento sulla “Strategia complessiva di gestione” (2016) è tutto incentrato sulle comunità che si impegnano pur non senza difficoltà a “suonare insieme” per una gestione coordinata del patrimonio dolomitico. Ed è compito della Fondazione accompagnare le varie realtà perché questa sinfonia possa realizzarsi, creando mentalità di comunione nella diversità, apportando formazione e percorsi dii cittadinanza attiva che già ora si estendono anche alle giovani generazioni. “È il lavoro che stiamo facendo con tutte le province, ma anche con i parchi, con i musei, con i gestori di rifugio, con i produttori di qualità e con le associazioni giovanili – ha concluso la Direttrice Morandini –. Un lavoro che è simbolo importante del sentirsi tutti in connessione, portando avanti la fecondazione di un agire condiviso”.

IN ASCOLTO DEL GRIDO DEI POVERI E DELLA TERRA
Il terzo pomeriggio è stato dedicato al tema dell’ascolto del grido dei poveri e della terra per rivolgere lo sguardo sulle ingiustizie che incombono nel nostro pianeta, sulle diseguaglianze che incidono pesantemente sulla vita di tante persone e popoli in difficoltà per la sottrazione di risorse fondamentali di vita sul piano dei beni di creazione. A questo riguardo è stato posto il caso emblematico dell’acqua, fonte della vita, attraverso il contributo del Dott. Rosario Lembo, Presidente del Comitato Italiano del Contratto Mondiale dell’Acqua, mentre è stata posta l’attenzione sul piano più generale dei diritti negati attraverso la riflessione della Vaticanista, Dott.ssa Stefania Falasca, che con la sua testimonianza su “Il caso Amazzonia”, ha messo in evidenza la cruda realtà di veri e propri genocidi ed ecocidi in atto. Una terra l’Amazzonia, cuore biologico del mondo, posta al centro di quella esasperata logica del profitto che divora uomini e natura in nome del dio denaro. Luogo di straordinaria bellezza e ricchezza di biodiversità, l’Amazzonia ci rimanda a tutte le altre situazioni del mondo deprivate di tutto, simbolo di quella dissacrazione della creazione in atto senza sosta per il cosiddetto benessere del nostro mondo. Luogo che ci chiama a responsabilità, ad alzare lo sguardo su quel “tutto è connesso” e a mobilitarci a partire da una conversione personale e comunitaria alla luce della Laudato si’, perché possa crescere un nuovo ethos sociale di salvaguardia dei beni di creazione attraverso un nuovo modello di sviluppo dove al centro sia la dignità della persona. Come ricorda Papa Francesco: “Se non ci prendiamo cura gli uni degli altri a partire dagli ultimi, non possiamo guarire questo nostro mondo malato”.
L’accorato appello della Dott.ssa Falasca nasce dal viaggio intrapreso con la collega Lucia Capuzzi che ha dato luogo al libro inchiesta “Frontiera Amazzonia” (Ed. EMI, 2019), a seguito del desidero di mettersi in ascolto e capire “in situazione” il dramma di quella terra e di quei popoli. Una decisione presa nell’ascolto delle parole del Papa pronunciate a Puerto Maldonado davanti alle persone vittime di una tremenda condizione di sfruttamento su di loro e sulla loro casa, la foresta.
Ora – ha sottolineato Falasca – la catastrofe è duplice, perché agli incendi si è aggiunta la pandemia. Problemi respiratori legati alle polveri sottili si sono aggravati. Si è arrivati al collasso del sistema sanitario. E la pandemia ha diminuito i controlli sul commercio illegale e sulla devastazione degli ecosistemi. Il rischio dello sviluppo di Stefania Falasca. nuovi virus è alto che in passato. Tutto è collegato in questa forma distruttiva.
Le voci della “Laudato si’” e del Sinodo sulla Amazzonia – ha affermato Falasca – sono state profetiche, denunciando con coraggioso realismo questa crisi profonda causata da una prolungata arroganza umana. L’Amazzonia, emblema e specchio di tutta l’umanità, è il paradigma della cultura imperante che trasforma il pianeta in una grande discarica. È il paradigma di uno sviluppo orientato dagli idoli del denaro e del potere che distruggono le identità dei popoli.
Noi abbiamo il nostro consumo e il nostro benessere – ha proseguito – sulla pila di cadaveri di chi vive dall’altra parte del mondo e che subisce queste forme di schiavitù. Dobbiamo riflettere su quello che mangiamo, sulle multinazionali che producono la carne, sull’avvelenamento delle comunità indigene prodotto dall’estrattivismo predatorio e dalla deforestazione.
Nonostante tutto ciò gli scienziati e gli economisti hanno prospettato alternative, perché ci sono alternative. Il Papa in questi giorni ha esortato nuovamente i cristiani a condividere i beni, a metterli a frutto, “La cura del creato e della giustizia sociale vanno insieme.
Se ci prendiamo cura dei beni che il creatore ci dona e se mettiamo in comune ciò che possediamo in modo che a nessuno manchi il necessario, allora potremo ispirare speranza per generare e rigenerare un mondo più sano e più equo”.
Nel nostro viaggio – ha evidenziato la Dott.ssa Falasca – abbiamo ascoltato ma soprattutto ci siamo lasciate interrogare. Abbiamo sentito dall’Amazzonia l’Urlo di Munch. Lo abbiamo sentito parlando con i popoli indigeni. Il loro grido è il nostro. Una situazione dolorosissima che mette a nudo il nostro deficit di umanità.
Non si può pensare che debbano essere sempre gli altri, o i grandi, a cambiare – ha aggiunto –. È chiaro che si chiama in gioco l’economia mondiale ma, se non si prende coscienza di quale è la realtà di questa situazione e di come comportarci di conseguenza, non si cambia nulla. Tanti hanno parlato della Laudato si’ ma forse ancora non si è riflettuto profondamente – ha concluso –. Ora tutto quello che riguarderà il futuro del pianeta dipenderà anche dai nostri piccoli gesti e dalla nostra coscienza. E dobbiamo ricordare sempre come cristiani e cattolici che la cura del creato è un’istanza di fede biblica. Dobbiamo avere bene presente che danneggiare la natura significa danneggiare la nostra stessa vita. Significa deturpare il volto di Dio.
Noi non siamo i padroni del mondo. Rompere una minima cosa di questa relazione significa sfregiare il mondo e significa autodistruggerci, perché Dio ha creato il mondo in relazione.

L’ampio exursus proposto dal Dott. Rosario Lembo (Cicma) sul cammino del diritto umano all’acqua ha messo in evidenza quale necessità di impegno sia indispensabile per agire sul versante dei beni comuni, in specifico per salvaguardare l’acqua bene comune e come la strada sia ancora lunga per renderla fruibile a tutti. Da diritto naturale insito nella vita (senza l’accesso all’acqua non c’è vita), l’acqua è passata ad essere attenzionata dal mercato e dall’economia finalizzata al profitto nel momento in cui la comunità internazionale ha cominciato ad avere il controllo della natura e del ciclo della vita.
Da qui la corsa all’acqua, all’accaparramento delle sorgenti e delle risorse idriche: da diritto umano l’acqua è passata ad essere classificata merce. A fronte della crisi climatica molti stati l’hanno classificata “capitale naturale” da mettere a bilancio, con le conseguenze che possiamo immaginare. Il processo di mercificazione e privatizzazione ha avuto il suo apice nel 1990 in Bolivia con l’imposizione di un prezzo per l’accesso all’acqua, causa della prima guerra dell’acqua con la conseguente richiesta della Bolivia di riconoscimento dell’acqua bene comune, riconoscimento avuto da 33 paesi. Per assenza di consenso politico unanime tuttavia il Comitato delle Nazioni Unite ha derubricato l’acqua da diritto inalienabile a diritto economico e sociale con possibilità di gestione privata dei servizi. Da qui il mantenimento dello status quo all’implementazione del diritto.
Il Cicma assieme ad altre associazioni ha comunque continuato il suo impegno di proposta e di percorsi per giungere all’obiettivo, in particolare con il Progetto opzionale del Patto internazionale per il diritto umano all’acqua. Sul versante ecclesiale importanti i contributi a partire dalla Laudato si’, il documento più avanzato – ha sottolineato Lembo – su cui costruire un’alternativa, a cui ora ha fatto seguito il Documento “Acqua fons Vitae” del Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale, che consegna valutazioni importanti per camminare verso l’obiettivo dell’accesso universale all’acqua come diritto umano inalienabile, valutazioni poste all’attenzione del mondo ecclesiale e civile, sia sul piano legislativo sia sul piano di indicazioni per nuovi stili di vita.
Il documento denuncia la frammentazione delle politiche dell’acqua e condanna una visione dell’acqua come merce. Pone importanti riflessioni sul valore dell’acqua “religioso, sociale, culturale, estetico, istituzionale per la pace”. L’appello per una ecologia integrale – ha concluso il Dott. Lembo in sintonia col documento – deve trovare strade di attuazione anche a partire da una nuova visione dell’acqua in quanto elemento fondamentale col quale costruire ponti tra popoli, comunità, paesi.

ETICA PER UN TEMPO INEDITO
Il Prof. Simone Morandini, teologo della creazione e docente di ecumenismo (Facoltà Teologia del Triveneto e ISE S. Bernardino di Venezia) ha rivisitato i temi alla luce dell’etica che è chiamata a relazionarsi a questo tempo inedito. Lo ha fatto a partire dall’interessante Manifesto dal titolo omonimo posto in essere dal Consiglio di presidenza dell’ATISM, che ha predisposto in un libro una elaborazione dello stesso manifesto attraverso i contributi degli esperti che lo hanno preparato per un aiuto ad allargare lo sguardo (il libro è scaricabile sul sito di Vita e Pensiero a costo zero). Un tempo inedito – ha affermato Morandini – scoperto con la pandemia, ma che certamente segnerà il tempo a venire come un tempo dell’imprevisto, destinato a mutamenti veloci e rapidi, rispetto a cui è necessario ripensare ad un nuovo stile di umanità. E come tale richiede nuove attenzioni etiche, riferimenti capaci di affrontare l’imprevisto con gli anticorpi della solidarietà, della fraternità, della corresponsabilità. Un’etica che sappia fare tesoro del quotidiano, radicata in un abitare il mondo che ponga la misericordia come nocciolo centrale di risposta all’imprevisto, così da ricercare in ogni tempo, come il buon Samaritano, le modalità di cura per la vita. Si tratta di reagire all’imprevisto in questa logica di misericordia ma al tempo stesso occorre anticipare l’imprevisto.
Un’etica che sappia farsi carico della complessità in un equilibrio sempre da trovare e che sappia “prevedere”, nella consapevolezza che il tempo si è fatto breve: il cambiamento di rotta è ormai improcrastinabile, a causa del nostro distorto rapporto con la terra. Essere previdenti significa dotarci di un etica capace di far fronte ma anche rinnovare le nostre relazioni con la terra per dare adito al futuro in questo antropocene. Occorre scrutare l’orizzonte “come sentinelle vigilanti” per il bene di tutti, con tutto ciò che questo richiede, innanzitutto una sapiente formazione al discernimento. L’etica ci chiama a comportamenti che in ogni epoca dobbiamo individuare, facendo esperienza di “esodo” come il popolo di Israele nel deserto, ma illuminati da quell’amore da cui è generata la vita e l’universo. Questa sfida deve vedere in prima linea coloro che seguono Gesù Cristo e potremmo sintetizzarla con la frase evangelica “Ama il prossimo come te stesso” a cui aggiungere “Ama la terra come te stesso”.

VIVERE NEL MONDO CON SOBRIETÀ, GIUSTIZIA, PIETÀ. PER NUOVI STILI DI VITA
Il Vescovo di Trento, S.E. Mons. Lauro Tisi, per commentare il Messaggio per la Giornata del Creato 2020, ha posto in primo piano il discorso della fraternità come luogo in cui far abitare giustizia e sobrietà per uno stile di vita fatto di custodia dell’altro, di riconoscimento della propria finitudine, della scoperta dell’altro come opportunità e come libertà. Per fare questo il Vescovo si è soffermato sulla categoria della risurrezione, ritenuta comunemente poco efficace per descrivere la concretezza del vivere. È arrivato il tempo – ha detto Mons. Tisi – di percepire nella risurrezione imput straordinari per ripensare l’umano. La risurrezione, come i testi del Nuovo Testamento ci descrivono, riguarda il noi e non l’io. Veniamo da una tradizione e da un’abitudine di pensare la risurrezione in chiave singolare, come risposta a una vita etica buona da premiare o a una vita etica cattiva da sanzionare. Invece la vita dopo la morte è l’esplosione della fraternità, la festa di un popolo che incontra un Dio che ha nell’alterità il suo codice genetico. Un altro elemento che caratterizza la fraternità è che essa coinvolge anche il creato in un’interazione continua tra persone e creato. Come dice S. Francesco, siamo in un contesto in cui le creature sono fratello e sorella. E questo vale anche per chi non crede.
Dire con S. Paolo: “Voi siete risorti”, significa dire: “Voi siete cambiati dentro, perché siete fratelli e sorelle”. La risurrezione dà all’oggi, alla storia, la fraternità come categoria sanificante, umanizzante, beatificante che dopo la morte avrà il suo Simone Morandini. compimento. “bonificare il mondo – afferma Mons. Lauro Tisi – devo regalare fraternità”. “La pandemia ha fatto emergere che il male non viene da Dio, ma dallo squilibrio ambientale, abitativo”, è, cioè “figlio del disordine mondiale”. La vera sobrietà e giustizia è scoprire di avere dei fratelli, è rinunciare ad essere principio e fine del mondo per dire: “Io sono l’altro”. Narciso non conosce il canto della sinfonia, ma solo l’eco che è il ritorno della sua parola. La politica patogena è mortifera, perché è generata da uomini che non conoscono la fraternità. L’evento più fraterno è stato la morte di Cristo quando un uomo ha scelto di abbracciare il nemico. Da questo atto è partita la scintilla della massima fraternità. “Io sogno una Chiesa leggera”, ha detto Mons. Tisi, che non sia uno “spazio strutturato intorno a un’organizzazione” e prenda come modello S. Francesco che regala alla Chiesa la fraternità, in risposta al monito del Signore: “Va’ e ripara la mia casa”. La fraternità trasforma il confine nel terreno di incontro dove esultare insieme nella diversità.
Ha concluso gli interventi la testimonianza del Sindaco di Predazzo, Dott.ssa Maria Bosin. Dopo aver ringraziato la Fraternità Francescana e la Cooperativa Sociale Frate Jacopa per i Convegni proposti con una continuità di otto anni, motivo di arricchimento culturale e spirituale per tutti, il Sindaco ha parlato di alcune iniziative esemplari assunte dal Comune di Predazzo per generare sostenibilità. La prima iniziativa è legata alla distruzione operata dal ciclone Vaia che ha ferito il bosco, ricchezza da sempre curata con pratiche di taglio controllato per uno sviluppo sostenibile in vista del bene delle persone e del territorio. Di fronte alla necessità di non nuocere alle piante sane lasciando nel bosco il legname disboscato, dopo aver provveduto alla collocazione di una parte del legname ancora fruibile, il Comune ha provveduto ad utilizzare il materiale di scarto proveniente dalla tempesta, portando a pieno regime il teleriscaldamento già in atto, arrivando così all’uso per il 100% di energie rinnovabili. Un investimento importante sia in termini finanziari che tecnici, ma soprattutto frutto di lungimiranza ambientale.
L’altro esempio di generatività sostenibile ha riguardato l’acqua, acqua di cui la montagna è ricca, come dimostrano le numerose belle fontane di Predazzo ora proposte con adeguati percorsi. Ma l’attenzione all’acqua ha avuto un particolare esito nell’utilizzo di uno spazio lasciato libero dalla dismissione delle gare equestri, per dare luogo a un biolago, punto di aggregazione per abitanti e turisti. Un biolago reso possibile dalla scoperta di nuove falde d’acqua di particolare qualità e dall’inserimento di piccole piante che servono come fitto depurazione, capaci di nutrirsi del materiale organico presente nell’acqua per la balneazione, rendendo nel contempo pulita l’acqua del lago.

Il Convegno si è concluso con l’auspicio che ha raccolto il messaggio emerso in modo corale dalle varie riflessioni: l’auspicio che il tempo che stiamo vivendo non passi senza fecondità, ma dia luogo al ripensamento dei codici dell’umano. Possa essere rimessa in circolo quell’acqua pulita della gratuità che ha sorretto con totale donazione la sofferenza della pandemia, e quella sobrietà capace di liberare la vita della mercificazione in atto, a cui unire il dare forma alla giustizia verso i poveri e verso la terra, alla luce della logica fraterna che sa accogliere anche l’opposto per la costruzione del “noi”. La sola logica che può mettere in campo nuovi stili di vita personali e comunitari, rendendo ragione dell’appartenenza all’unica famiglia umana. Un grande appello a seminare speranza restituendo le risorse dello spirito che con la sua misericordia il Signore ci dona, per poter arrivare a un nuovo modo di abitare il mondo che non sia nell’ordine strumentale ma nel segno della benedizione e della lode.

Ricordiamo che il Convegno è interamente rintracciabile alla pagina youtube fraternitafrancescanafratejacopa.
Entro ottobre inoltre sarà in pubblicazione il libro degli Atti,
prenotabile su info@coopfratejacopa.it o telefonicamente al cell. 3282288455.

Il Cantico
ISSN 1974-2339
Pubblicazione riservata