Premessa. La situazione attuale
Sono contento di essere con voi in queste giornate del vostro rinnovamento, aggiornamento, formazione.
Non pretendo di dire molte cose, ma vorrei sottolineare alcuni aspetti proprio sulla nuova evangelizzazione e sul cammino che siamo chiamati a percorrere.
Siamo nel tempo di Pasqua e si sa che la Pasqua è la sintesi della nostra fede. “Chi crede con il cuore e proclama con le labbra che Gesù è il Signore, è salvo”. È il cuore della nostra fede cristiana. È la rivelazione piena del mistero di Gesù annunciato per secoli e secoli, poi venuto nel tempo attraverso l’incarnazione. Il compimento della sua missione avviene con la sua gloriosa resurrezione e ascensione al Cielo, e con il dono dello Spirito Santo nella Pentecoste.
Il mistero di Gesù: questo mistero di Gesù che si è sviluppato nel tempo e che ha avuto il suo sviluppo nella storia e che ha formato la cristianità, oggi è in una certa difficoltà, perché la fede cristiana, principalmente nei paesi dove essa ha messo radici ed ha avuto il suo sviluppo, è in crisi. Particolarmente in Europa questa crisi ha raggiunto livelli tali che quasi la fede sta scomparendo. In questi giorni ero in Francia, la prima nazione ufficialmente riconosciuta come nazione cristiana: la pratica religiosa ha raggiunto il 4%; quanto peso abbia poi la pratica religiosa è anche difficile sapere. Certamente esiste in Europa una profonda crisi. E a me crea una certa perplessità: qualcosa non deve aver funzionato.
Pensate, abbiamo avuto quasi trent’anni del pontificato di Giovanni Paolo II, un trentennio di grandezza dell’annuncio della Parola di Dio attraverso il Sommo Pontefice. Pensiamo a tutti i suoi viaggi, discorsi, encicliche. Una ricchezza di insegnamento che forse mai ha avuto l’uguale nella Chiesa. Siamo stati poi nel periodo post conciliare e ancora lo siamo, nel 50° del Concilio Vaticano II. Il Concilio era molto promettente e certamente ha avuto grandi frutti dal punto di vista dottrinale. Pensiamo alla vita religiosa per es., che ha avuto una dottrina bellissima da parte del Concilio e successivamente dai documenti postconciliari. Eppure nonostante tutto questo, com’é la Chiesa di oggi in Europa, ma direi anche nel mondo, prima del Pontificato di Giovanni Paolo II e dopo?
Certo non è colpa di Giovanni Paolo II che si è donato totalmente nel servizio e la Chiesa ha riconosciuto la sua santità proclamandolo beato, e presto avremo anche la canonizzazione. Abbiamo avuto il pontificato di Benedetto XVI, di cui tutti noi ammiriamo particolarmente l’aspetto dottrinale, i discorsi, gli incontri, le udienze, le omelie. Tutti noi ci siamo sentiti arricchiti di questa spiritualità. Eppure il popolo cristiano (almeno apparentemente, poi il Signore sa) sembra aver avuto una ulteriore decadenza nel cammino della fede. Come mai? Proprio davanti a questa constatazione di una massa di cristiani battezzati che non praticano più e che addirittura a volte con una certa insistenza chiedono di essere sbattezzati (rinnegano la propria fede pubblicamente), rimaniamo perplessi. Che cosa è successo?
Culturalmente parliamo della secolarizzazione. La secolarizzazione é un fenomeno che ci impressiona e deve impressionarci. È vero che i non credenti ci sono sempre stati. Coloro che dalla realtà di questo mondo non sono capaci di vedere la presenza di Dio e di risalire al Creatore, ci sono sempre stati. Negatori di Dio e negatori della verità (scettici) ci sono sempre stati. Negatori della moralità ci sono sempre stati. Ma oggi nel fenomeno della secolarizzazione noi abbiamo quasi la sintesi di tutti questi errori del passato e per di più diffusi a livello di massa. Soprattutto, è cambiata la visione dell’uomo e la visione di Dio. Di Dio non se ne parla più. Qualche decennio fa veniva proclamata la morte di Dio, qualche centinaio di anni fa abbiamo detto che Dio non ci interessa, anche perché se Dio non c’è, noi possiamo andare avanti con la nostra ragione, abbiamo tutti gli elementi necessari. E per di più non è più una negazione drammatica, come forse quando eravamo ragazzi, quando vedevamo qualcuno che non credeva, era sofferente di non avere la fede.Oggi c’è quasi il grido esultante, quasi satanico, di gioia. Dio non c’è: lo proclamiamo, lo scriviamo anche sui muri…
Ecco il problema di una nuova evangelizzazione, perché pensiamo, e giustamente, che se tanti cristiani hanno dimenticato il Battesimo, e comunque non praticano, vuole dire che non sono stati raggiunti profondamente dal mistero cristiano. Si vede che l’annuncio del Vangelo non ha penetrato in profondità. E allora bisogna procedere ad una nuova evangelizzazione.
Quali le cause?
Qui si pone il problema: bisogna individuare le cause di questa situazione, altrimenti difficilmente possiamo trovare le medicine. Se sono malato e le medicine non mi guariscono, vuole dire che è stata sbagliata la diagnosi. Devo ancora andare dal medico e, quando ho capito bene la malattia, colgo anche le cause e posso trovare la medicina giusta.
Perché siamo in questo stato? Alle volte si dice: perché il mondo secolarizzato dispone dei giornali, dei mass media, di tutti i mezzi di comunicazione e di ricchezza e di capitali; oggi abbiamo questa realtà organizzata. E in parte è vero. Ma se il demonio ha lavorato bene, se il mistero di iniquità è riuscito a imporsi, noi dove siamo stati? Abbiamo fatto il nostro compito? Certamente non possiamo rimproverare agli altri se hanno fatto il male, ma siamo impegnati a scoprire le eventuali nostre negligenze, le eventuali strade sbagliate per riprendere il cammino sulla via diritta.
Papa Benedetto XVI nel Motu Proprio con cui ha indetto l’Anno della Fede “Porta Fidei” ci ha offerto alcuni elementi per la riflessione, che il Sinodo della nuova evangelizzazione ha approfondito. Egli ha questa affermazione: “Noi cristiani ci siamo soffermati più sulle conseguenze culturali, politiche, anche religiose del mistero cristiano, piuttosto che sulla fede stessa”.
Che cosa vuole dire? Ci siamo fermati molto sulle conseguenze. Abbiamo parlato molto di inculturazione, delle conseguenze politiche, di giustizia, di povertà, tutte cose molto belle, che appartengono al patrimonio cristiano; però non sono il cuore della fede cristiana. Sono le conseguenze che derivano dalla fede cristiana. E, illusi di saperne già abbastanza della nostra fede, abbiamo voluto quasi fare concorrenza con quelli che parlavano di tutte queste cose. Abbiamo lavorato molto come Chiesa, persino alle opere che sono segno della presenza cristiana nel mondo, ma di tutte queste cose belle di cui abbiamo parlato (dell’uomo integrale, del dialogo, del rispetto degli altri, della giustizia sociale, dei diritti umani…) e di cui dobbiamo interessarci, noi abbiamo fatto un lungo discorso, ma abbiamo dimenticato il fondamento stesso di tutto questo, e il fondamento è la persona del nostro Signor Gesù Cristo.
Già San Paolo diceva ai suoi tempi che, se noi non credessimo nella resurrezione di nostro Signore Gesù Cristo, saremmo i più miserabili degli uomini. Se noi annunciassimo del mistero cristiano la legge morale ma non parlassimo più di Gesù, perché Gesù non ci interessa più, saremmo i più miserabili degli uomini. E annunciare il messaggio cristiano senza Gesù Figlio di Dio, fatto uomo, nato e morto per noi, è annunciare un messaggio vuoto.
Credo che almeno una delle cause sia questa. Gli Atti degli Apostoli descrivono la comunità cristiana, come la comunità raccolta nel nome di Cristo Risorto, si forma dopo che Cristo è risorto e dopo la venuta dello Spirito Santo, che rende presente Gesù Risorto in questa comunità nell’ascolto della dottrina degli Apostoli, nella Celebrazione dell’Eucarestia, nella preghiera assidua e nella comunione dei beni temporali. Da dove nasce la carità? La carità cristiana nasce dall’Eucarestia, dal Mistero di Gesù presente in mezzo a noi. Se volessimo proporre una carità che dimenticasse questa radice, saremmo destinati al fallimento. Non per nulla le opere caritative sono nate col cristianesimo, il mondo pagano non conosceva le opere caritative.
Benedetto XVI nella enciclica Deus Caritas Est, dopo aver parlato del significato della Caritas cristiana, si diffonde anche a trattare il problema delle opere caritative. Proprio perché Dio è amore e come tale rimane in mezzo a noi, ecco che noi siamo spinti a condividere i nostri beni, a soccorrere chi è nel bisogno, ma se togliamo questa premessa, noi non troviamo più la ragione profonda delle stesse attività caritative.
Quando nella sua enciclica Benedetto XVI parla delle opere caritative, che sono come il segno della presenza di Gesù nella storia, ricorda il famoso episodio di Giuliano l’Apostata, l’imperatore che ha rinnegato la fede cristiana per riportare il mondo al paganesimo. Egli però si rendeva conto che il ritorno semplice al paganesimo non era possibile, perché c’era stato tutto il fiorire delle opere caritative. Egli indicava questa soluzione: ritorniamo nel mondo pagano, ritorniamo alle divinità pagane, ma manteniamo le opere caritative cristiane. Ed è stato un fallimento la sua proposta perché non aveva capito che le opere caritative erano fondate sul mistero di Cristo.
La secolarizzazione. Una visione della vita senza speranza
La secolarizzazione c’è sempre stata ma era in una dimensione ridotta. La secolarizzazione ha avuto una accelerazione particolarmente nel tempo moderno, proprio nel suo punto più debole. Quando ha raggiunto il suo vertice, il mondo moderno si è illuso che poteva fare senza Dio, e senza Dio ha proclamato il primato della scienza, il primato della tecnica: l’uomo afferma di essere diventato adulto e di bastare a se stesso!
Se voi riprendete l’enciclica Spe Salvi, noterete come Benedetto XVI fa un cammino sulla speranza cristiana. Parte dalla constatazione che il mondo pagano non aveva speranza. E di fatto, che speranza poteva avere il mondo pagano, idolatra senza Dio? Veniamo dal nulla e torniamo al nulla, e la vita che viviamo nel tempo è una semplice parentesi tra il nulla, e quindi anche senza senso.
Il mondo cristiano porta dentro una speranza. San Paolo nella Lettera ai Tessalonicesi dice: “Non siate come coloro che non hanno speranza, non dovete essere tristi, perché noi abbiamo la speranza e la nostra speranza è Cristo”. E poi il Papa fa vedere anche culturalmente come gli antichi avevano fiducia nei filosofi, ma i filosofi erano sapienti che sapevano dire poche cose sulla vita dell’uomo. A questo proposito c’è un autore cristiano Teodoreto di Ciro che in un libro “Terapia dei morbi pagani” esamina tutti i grandi filosofi del passato prima del cristianesimo (Platone, Aristotele, ecc.) e conclude che non hanno saputo dire niente sull’uomo. Perciò il mondo pagano era senza speranza, invece – invita Teodoreto di Ciro – interrogate i cristiani, appena appena che abbiano una certa istruzione sulla propria fede (“interrogate un ciabattino, una sarta …”), essi sanno rispondere a domande fondamentali: “Chi è l’uomo?”, “Chi è Dio”, “Qual è il senso della vita dell’uomo? Dove andiamo? Da dove veniamo?”. Ricordiamo le definizioni semplici del Catechismo di San Pio X: “L’uomo è nato per conoscere, servire e amare Dio e goderlo con gli altri in Paradiso”. Le risposte del Catechismo cristiano, proprie della fede cristiana, presentano una visione antropologica grandiosa perché si modella sul mistero di Gesù, Figlio di Dio fatto uomo, primogenito di ogni creatura. La meta finale del cristiano è la vita eterna che si radica sulla fede. La radice della nostra speranza è la fede.
La speranza non è una realtà che viene domani: è già presente. Nella speranza siamo già salvi oggi. In germe. Per il compimento dobbiamo attendere che si compia il cammino della nostra esistenza. La fede e la speranza sono profondamente legate tra di loro. E sono fondate sul mistero di Gesù. Il papa nell’enciclica Spe Salvi fa notare come ad un certo momento questa speranza si è secolarizzata. Il Papa fa cenno alla rivoluzione francese. Cose lontane ma che ancora influiscono. Ancora viene esaltata la rivoluzione francese. Anche oggi in Francia il matrimonio gay che hanno approvato, viene presentato dai giornali francesi come un compimento della rivoluzione francese: “liberté, egalité, fraternité, mariage pour tous”. La rivoluzione francese è frutto del cosiddetto Illuminismo. Gli uomini, a loro dire, si sono liberati dell’oscurantismo della fede e hanno avuto fiducia nella propria ragione e sono degli illuminati. È stato scritto un libro qualche anno fa che metteva in evidenza come il settecento è il secolo delle tenebre non dei lumi. L’uomo ha due luci, se ne spegniamo una, non possiamo certamente dire che ci vediamo meglio! L’uomo si è esaltato e ha pensato che fosse padrone di se stesso, dominatore di tutto, e tutto si risolvesse nella sua presenza nel mondo. La ragione, la dea ragione. Ci sono certi episodi della rivoluzione francese che tutti noi conosciamo che fanno impressione e non siamo ancora capaci di fare una minima critica alla rivoluzione francese… Pensate all’episodio delle monache di Compiègne… Pensate a quello che è successo nella Vandea… per non parlare poi dello sbocco che questa rivoluzione francese ha avuto con le guerre napoleoniche… L’uomo che si fa padrone assoluto, che pretende di appropriarsi del mondo e proclama la morte di Dio, in realtà annuncia la morte di se stesso. Perché in una visione del mondo secolarizzata, la parola ultima è la morte. Tale è’ l’illuminismo. Siamo nelle tenebre e le tenebre incombono sempre di più, mano a mano che l’uomo abbandona la sorgente e si abbandona alla propria ragione soltanto, e nega il mistero e l’assoluto.
Se è vero che la ragione è una luce, la fede la può aiutare, ma se neghiamo la fede, neghiamo anche l’evidenza della ragione, allora siamo allo sbando, diceva Frossard nel suo dialogo con Giovanni Paolo II. La fede cristiana è razionalista però è un razionalismo diverso da quello che noi conosciamo dalla filosofia. Il razionalismo cristiano è razionalismo perché la nostra fede deve avere una dimensione culturale, dobbiamo esprimere la nostra fede e rendercene conto con un linguaggio razionale. Non crediamo i misteri perché sono assurdi ma perché non contraddicono la ragione, anzi ne ampliano l’orizzonte e danno risposte al cuore dell’uomo. Il nostro razionalismo cristiano – dice Frossard – non è il razionalismo degli altri che si turano le orecchie quando la ragione li fa pensare aDio e al suo mistero. Anche a livello umano la nostra ragione è aperta a Dio.
Già l’autore sacro si chiedeva: il mondo, l’universo … che cosa conosciamo noi? E ogni giorno ci rendiamo conto che la vita supera continuamente la nostra capacità di conoscenza. E Dio interviene nella storia e si fa presente. Come spieghiamo la storia senza il mistero di Dio? Invece il mondo di oggi si è inebriato della scienza e l’ha proclamata come unica fonte della conoscenza, negando quanto supera la capacità della ragione! Il mondo della scienza e della conoscenza scientifica è bello. Ma il solo mondo della scienza è povero. È assente la conoscenza dell’uomo, della sua grandezza, del suo destino eterno e del suo mistero, che va ben oltre la scienza e la conoscenza così detta scientifica! La sola scienza empirica non dà ragione del mondo e dell’uomo. La ragione stessa rifiuta di essere ricondotta a sola conoscenza empirica, quando ogni giorno si trova di fronte al mistero e all’infinito. Bene a ragione diceva Pascal: l’atto più grande per la ragione è riconoscere il mistero e chinarsi all’adorazione dell’assoluto che le si presenta!
La visione secolarizzata in cui noi oggi siamo immersi e che viene continuamente proposta evidenzia che le tenebre incombono sull’uomo. L’uomo secolarizzato sa tante cose del mondo ma corre il rischio di sapere poco o niente su se stesso. L’uomo secolarizzato non sa dire nulla sulle sue origini e sul suo destino finale; non è niente altro che un essere che avviene nel tempo per caso e scompare dopo un certo numero di anni nel nulla. Purtroppo i mezzi di comunicazione danno spazio a questa visione secolarizzata dell’uomo, al punto che il mondo è secolarizzato dappertutto. Noi parliamo dell’Europa però ancora l’Europa riesce a diffondere queste dottrine che vengono accolte persino dagli africani oggi. Perché? Il fascino del benessere; e poi siamo traditi anche in questo, perché proprio noi europei occidentali che pensavamo di avere almeno il benessere, adesso siamo pieni di paura, perché non siamo più sicuri neanche di questo benessere. Ed è vero: senza Dio, senza senso, senza verità, senza moralità, come si può pensare al futuro? La speranza è stata secolarizzata: si è tolto Dio e al suo posto ci siamo messi noi. Si è tolta la speranza trascendente della vita eterna e abbiamo messo al suo posto la speranza del benessere. E adesso che speranza abbiamo?
La responsabilità di ritornare ad annunciare Cristo
Abbiamo bisogno di riscoprire il mistero di Dio che si è rivelato in Cristo Gesù. La lezione che ci viene è proprio questa: abbiamo bisogno di riscoprire il mistero di Gesù, abbiamo bisogno di rimetterlo al centro della nostra vita, perché lui è la nostra speranza: “io sono la via, la verità, la vita”. Il mondo ha fatto un salto qualitativo quando è venuto Gesù. Se noi oggi vogliamo cacciarlo dalla nostra casa e fare senza di Lui, ritorniamo nelle tenebre e nel non senso della vita.
Noi cristiani abbiamo questa grande responsabilità. Per superare la frattura che è nata da questa mentalità secolarizzata, scientista, positivista, che si è posta in contrasto con la fede cristiana, abbiamo pensato troppo ingenuamente che non siamo stati abbastanza in ascolto. Allora abbiamo predicato di metterci in ascolto, di entrare in dialogo con loro. Sono tutte cose belle se non si perseguissero a scapito di tante altre realtà. Altrimenti, per dialogare con coloro che non credono, anche noi corriamo il rischio di mettere da parte Dio, il rischio di diventare semplicemente dei filantropi e non facciamo rilevare che la nostra fede nasce dall’amore di Dio e si sviluppa perché crediamo alla presenza di Gesù Cristo risorto che ci apre le porte dell’eternità.
Dobbiamo ritornare ad annunciare Cristo. Gli apostoli, quando hanno cominciato la loro avventura, non si sono preoccupati delle conseguenze dell’annuncio; hanno parlato dell’annuncio e, una volta che c’è l’annuncio, le conseguenze vengono da sé. Se non riconosciamo il mistero di Cristo morto e risorto per noi; se non riconosciamo che Gesù è la nostra vita, il nostro modello di vita, se non riconosciamo che Gesù è l’uomo riuscito, quale modello noi abbiamo di uomo? Oggi i modelli che abbiamo li critichiamo, ma quasi perché vorremmo essere anche noi ricchi, persone di successo. Qui si tratta di un modello che dà senso alla propria vita: “Chi vuole salvare la propria vita, la perderà”. Chi vuole salvare la propria vita. Supponiamo che siamo noi che salviamo la nostra vita? L’uomo cosa può fare della vita? La può prolungare un po’ nel tempo, ma fin dove può arrivare? E ci fanno vivere più tempo, ma come? Se la vita fosse affidata solo a noi, non avrebbe senso, perché noi non possiamo dare un senso pieno. Noi viviamo nel tempo e vivere nel tempo significa che viviamo solo per uno spazio limitato, invecchiamo e siamo chiamati a morire. La vita temporale non ha scampo. E l’uomo, che vive nel tempo, non può dare la speranza eterna all’altro uomo. Noi secolarizzati siamo ridotti a questo tipo di speranza: far crescere un po’ di benessere, far vivere un po’ più a lungo ma forse con più sofferenza. Pensiamo al problema dell’eutanasia: ma se uno non crede a niente e pensa che la vita sia solo questo, perché costringerlo a non praticare l’eutanasia? Abbiamo bisogno disignificati eterni, di significati che annuncino la pienezza di vita e non la morte. E questo ce lo dà solo il mistero cristiano. Gesù è l’uomo vero perché ha vissuto come noi, ma ha vissuto in modo eminentemente migliore di noi: invece di ricercare se stesso, ha ricercato gli altri e ha fatto il dono della vita, è morto per noi sacrificandosi sull’altare della croce. Una vita donata per amore, per amore del Padre, per amore nostro. Questa è vita eterna, e di fatto il sepolcro non ha potuto trattenerlo. Chi vive così, vive la speranza eterna e non ha come legge la morte, ha come legge e termine finale la vita eterna. Se rimaniamo immersi solamente nel secolare, nel tempo, nella transitorietà, siamo perduti, non abbiamo speranza. Ritorniamo al mondo pagano che diceva “veniamo dal nulla e ritorniamo al nulla”. Siamo pagani noi oggi. La secolarizzazione è la presentazione del mondo pagano. La novità cristiana la possiamo ammirare sempre e nuovamente in Cristo. Noi siamo chiamati a vivere il mistero di Cristo nella nostra vita.
La nostra vita è fatta per essere donata
Qui ritorna il concetto paolino del bellissimo testo della Lettera ai Romani. S. Paolo aveva queste grandi visioni: la storia. Noi possiamo leggere la storia e la sintesi della storia è il mistero pasquale. Provate a pensare alla liturgia del sabato santo (purtroppo stiamo diventando pigri: abbiamo tempo per tutte le cose transitorie e abbiamo poco tempo per il senso della pienezza della vita): la sintesi di questa storia sacra è meravigliosa. Inizia con la creazione, la genesi, prosegue col peccato, continua con l’assicurazione di Dio che non ci abbandona. Quindi c’è la promessa che la lotta tra il bene e il male sarà il cammino della storia, ma il trionfo del bene è continuamente annunciato. Anzi, ogni volta che c’è una crisi, c’è un’offerta più grande del mistero di Dio che è in noi.
All’inizio una pallida idea dell’uomo e del mistero di Dio. E tutta la storia ci rivela il mistero di Dio. Dio è amore, un amore che è stato garantito lungo tutto il cammino. Chi è l’uomo? L’uomo è figlio di Dio All’inizio è solo immagine di Dio, poi quando Gesù avrà parlato, l’uomo è ricreato nello Spirito Santo. Tutto viene trasformato e la storia procede con queste tappe (Abramo, la liberazione dall’Egitto, l’alleanza, il segno della nuova alleanza, la Pasqua, la Pasqua dell’Ultima Cena del Signore, la sua morte e la sua gloriosa resurrezione). E noi che viviamo in questa storia, inseriti nel mistero di Gesù, siamo chiamati a conoscerlo sempre meglio, perché siamo chiamati ad essere suoi fratelli e a immedesimarci nel dono della sua vita divina (Rom. VIII).
Per coloro che amano Dio, che hanno la conoscenza di Dio, tutto viene trasformato. Noi che siamo schiavi della secolarizzazione, brontoliamo dal mattino alla sera. Niente va bene; ed è anche vero. Noi non abbiamo più fiducia reciproca, diventiamo litigiosi, se la nostra vita si esaurisce nel tempo, tutti cerchiamo di salvarci nel tempo. E facciamo concorrenza l’uno all’altro. La vita impostata sull’egoismo. Ma quando noi ci apriamo all’orizzonte di Dio, questo orizzonte della storia che noi vediamo riassunta nel mistero pasquale, ecco che il mondo si apre. C’è un Dio presente nella storia, che guida la storia, la porta a compimento. E in ogni cosa alla luce della fede, vediamo come il tempo di Dio è sempre un dono di grazia, il kairos; non è più il tempo che fluisce e scompare nel nulla, cronos. La divinità del tempo antico era Saturno che mangiava i suoi figli, il tempo fa tante cose, ma le divora tutte. Invece il tempo non è un fluire soltanto, ma è la storia della presenza di Dio che compie il suo disegno. E il compimento del disegno è Gesù Cristo. E tutti noi misuriamo il tempo rispetto a Cristo, prima e dopo di Cristo.
S. Paolo scandisce le tappe di questo cammino. Dio ci ha conosciuto prima ancora che esistesse il tempo. Non è vero che noi veniamo nel tempo per caso. Siamo nel cuore di Dio da tutta l’eternità. E poi arriva il momento in cui siamo chiamati alla vita, arriva il momento in cui siamo chiamati alla fede, e poi sappiamo anche la meta finale che è la glorificazione con Cristo, essere conformi all’immagine di Cristo. Questo è il disegno grandioso che è il cuore della nostra fede che noi dobbiamo riproporre. Alla fine questa storia si presenta come una storia d’amore. Nasciamo dal cuore di Dio, siamo protesi verso la pienezza della comunione con Dio e viviamo nell’amore di Dio. Quel Dio che ci accompagna, che ci ha fatto dono di se stesso, che ci ha fatto dono della figliolanza divina, che ci ha fatto vivere nella sua amicizia e nel suo amore. Vedete quanto è diversa la visione della vita!
Quando assistiamo ai talk shows della TV, con personaggi che si fanno paladini della visione illuminista, come presentano la visione della vita? Nasciamo per caso, tutto termina con la morte, niente ha senso. Ha fascino questa visione? Una visione titanica, prometeica. Noi abbiamo una visione più bella, quella che ci indica S. Paolo: essere conformi all’immagine di Gesù. Una storia di amore che si deve realizzare in noi.
La nostra vita è fatta per essere donata. Se ci chiudiamo nel nostro egoismo, siamo perduti. Se ci chiudiamo nel nostro egoismo, termineremo col nostro egoismo. La nostra vita è fatta per essere donata. Entrare nel cammino di Gesù, percorrere il cammino di Gesù. Chi è il modello della nostra vita? Chi è l’uomo pienamente realizzato, che ha raggiunto il massimo della possibilità umana? Nostro Signor Gesù Cristo! E noi siamo chiamati a vivere in Lui. E dove lo troviamo questo ideale? In un libriccino molto piccolo, il Vangelo. Il Vangelo contiene la grande storia di amore di Dio in Cristo Gesù, e il Vangelo ci indica anche la strada che siamo chiamati a percorrere.
S. Em. Card. Velasio De Paolis
(Testo trascritto dalla viva voce)