Bellamonte, Sala Polifunzionale, 28-30 agosto 2013
Dal 24 al 31 agosto la Fraternità Francescana e Cooperativa Sociale Frate Jacopa si è ritrovata in Trentino, a Bellamonte, dove ha organizzato un Convegno aperto alla cittadinanza sul tema della “Custodia del creato come stile di vita: gratuità, reciprocità, riparazione” per celebrare nel meraviglioso contesto delle Dolomiti la 8^ Giornata della Custodia del creato. La presidente, Argia Passoni, mercoledì 28 agosto nel saluto d’inizio, ha sottolineato come la speciale apertura del Convegno con la presentazione della Enciclica Lumen Fidei ci pone nella condizione di richiamare al nostro cuore come la custodia del creato sia parte integrante della nostra fede: il rendere grazie del dono del creato, il custodirne la preziosità secondo l’intenzione buona dell’Altissimo Onnipotente Bon Signore (S. Francesco) attiene alla nostra fede, così come vivere il creato quale spazio di fraternità con ogni creatura richiede quel cammino perseverante nella fede che solo può aiutarci ad abitare con sapienza la terra. Ha poi espresso viva riconoscenza al Parroco di Predazzo per l’accoglienza data alla nostra proposta e per averla aperta significativamente a tutta la comunità con la solenne celebrazione della Messa nella Chiesa Parrocchiale domenica 25 agosto; ha inolte ringraziato il Comune di Predazzo per il Patrocinio concesso alla manifestazione ed al tempo stesso per aver condiviso la peculiare apertura con la Lumen Fidei, quasi a evidenziare che “la fede è un bene per tutti, è un bene comune”, come ci ricorda l’Enciclica.
Il parroco, don Giorgio Broilo, nel suo messaggio hainvitato i partecipanti ad ammirare le bellezze del creato, tra le quali spicca quella cattedrale naturale che sono le Pale di S. Martino, segno di una bellezza che parla di Dio a chi ha gli occhi per vedere. Il creato è la prima parola di Colui che è venuto a portare la sua tenda in mezzo a noi, il Verbo, che, insieme alle meraviglie della natura, ha creato la meraviglia più grande: l’uomo fatto a immagine e similitudine del Signore. Il Verbo ha assunto la nostra umanità per parlarci e per portare avanti la creazione. Dal modo con cui noi cristiani sapremo accogliere il Verbo, potremo costruire e continuare l’opera della creazione. Più bello sarà il creato, più bello sarà il cuore dell’uomo. L’importante è dialogare con il Creatore custodendo la prima Parola di Dio: la natura. Accogliendo questo primo segno di Dio, potremo incominciare a riflettere sulla fede. A fare questo ha aiutato tutti i presenti don Massimo Serretti (docente di Teologia Dogmatica, Università del Laterano) con la sua profonda riflessione sull’Enciclica “Lumen Fidei” scritta a quattro mani da Benedetto XVI e da Francesco. Si tratta di una Lettera che si presta alla nostra meditazione, poiché in essa è presente un vigore, un fuoco intangibile a una lettura epidermica. Queste pagine cristiane non comunicano solo un insegnamento, una dottrina, ma il mistero di Dio che si riverbera nella persona di colui che scrive. Non è questa la santità? La luminosità della testimonianza di fede, presente in grado straordinario in questa Lettera, ci riempie di stupore. Nella nostra esistenza ci sono tante piccole luci che procedono da noi e che non sono in grado di illuminare la totalità della nostra esistenza. Poi c’è la luce che viene da Dio, che illumina le luci piccole e le ravviva. La fede, virtù teologale, consiste in un’azione effettiva che Dio compie in noi. Come nell’incarnazione così anche nella fede sono presenti il mistero di Dio e la realtà dell’uomo in cui Dio prende dimora. Dio sta alla porta e bussa, se gli apriamo Egli entra e sta con noi. Allora la nostra umanità fiorisce e si corrobora. La cosa più grande che Dio fa siamo noi e quello che Lui opera in noi. La luce della fede porta le nostre vite verso un adempimento. Viene dal passato, ma è anche memoria del futuro, poiché, essendo la fede una realtà divina eterna, quello che Dio sta compiendo è futuro che non passa, ma che è presente con continuità nella nostra storia. La luce della fede ci porta al di là del nostro io circoscritto, isolato. Ci fa uscire dallo spazio angusto del nostro io. La fede vede nella misura in cui cammina. È camminare fidandosi di Dio, entrare in uno spazio aperto da Dio che ci promette la fecondità, come ad Abramo, nostro padre nella fede. Nell’Enciclica tutta la dinamica della fede è considerata nella virtù più grande che è l’amore. Nel suo aprirsi all’amore, l’esistenza si dilata oltre sé. Nella fede l’io del credente si espande per essere abitato da un Altro, per vivere in un Altro, e così la sua vita si allarga nell’amore. E la fede cambia il noi, introducendo una novità della relazione tra noi, rendendoci così capaci di rispondere della nostra natura comunionale. A conclusione della prima giornata, la Chiesa di Bellamonte ha accolto i partecipanti per la Veglia di Preghiera, guidata dal Parroco Don Broilo, “Alla scuola di S. Francesco cultore del creato” per immettere il Convegno in un clima di adorazione, di lode e di rendimento di grazie, in comunione con tutta la Chiesa Italiana nella prossimità della Celebrazione della Giornata per la Custodia del creato.
La giornata di giovedì 29 è entrata più direttamente nel tema guida “La custodia del creato come stile di vita: gratuità, reciprocità, riparazione” privilegiando l’ascolto della realtà locale, dello splendido territorio in cui il Convegno ha avuto luogo, entrando nel merito di un’esperienza che sembra aver fatto davvero della custodia del creato il proprio stile di vita. Il titolo del Convegno “custodia del creato come stile di vita” vuole ricordarci – ha sottolineato Argia Passoni – che non c’è prima la custodia del creato e poi gli stili di vita. La custodia del creato o emerge da un nostro sentire profondo, un sentire il creato come nostra casa, e quindi è in grado di essere parte integrante della nostra vita, o al posto della custodia si insinua il suo contrario: la dissipazione del dono. La custodia richiede cura, vigilanza, discernimento, richiede una coltivazione continua di noi stessi per essere in questo orizzonte di amore e non decadere in tutt’altra modalità di vita che è sempre nostro rischio: la natura vista come oggetto da sfruttare, materia inerte da consumare e non come “orma” dell’Altissimo. Quanto l’indifferenza, l’insipienza, la trascuratezza possono dissipare e inquinare, quanto possono produrre in termini di cultura dello scarto invece che di fraternità, è sotto gli occhi di tutti noi. Diventa allora importante mettersi in ascolto dell’esperienza dove cominceranno a prendere consistenza anche le parole“gratuità, reciprocità, riparazione”, tre assi portanti della custodia del creato come stile di vita.
Il Sindaco di PredazzoMaria Bosin, dopo aver ringraziato Argia Passoni e la Fraternità Francescana Frate Jacopa per aver assunto questa iniziativa, e Marilena Lochmann per essersi fatta carico dell’organizzazione a livello locale, si è soffermata a parlare di due entità caratterizzanti la storia della Valle di Fiemme: la Magnifica Comunità di Fiemme (MCF) e la Regola Feudale (RF). La prima, che risale al 1111, riguarda tutta la valle, mentre la seconda, costituita nel 1447, è esclusiva del paese di Predazzo. In entrambi i casi si tratta di proprietà collettive nate da accordi presi col principe vescovo di Trento in base ai quali vennero definiti privilegi riguardo all’utilizzo del legname nei boschi, delle acque, della caccia. Con il riconoscimento di questi privilegi si volevano colmare le lacune proprie di un territorio impervio e difficilmente coltivabile, ed evitare lo spopolamento della valle. La MCF e la RF non sono né enti di diritto pubblico né di diritto privato. Dunque non sono collocabili nell’ordinamento italiano. Il giurista Grossi definisce questo tipo di proprietà come “un altro modo di possedere”. Infatti mentre la proprietà privata indica qualcosa di cui disporre secondo il proprio arbitrio, un modo di gestire condiviso porta a scelte più oculate per preservare il bene collettivo, avendo sempre di mira la cura del patrimonio per il bene comune. Da questa gestione del patrimonio, che ha permesso di far sì che non esistessero situazioni di indigenza, è maturata anche un’idea del patrimonio pubblico come un qualcosa di “nostro”, e dunque da curare come “nostro”.
Giacobbe Zortea (Presidente del Parco di Paneveggio-Pale di S. Martino) ha illustrato le problematiche e il valore di un Parco come quello di Paneveggio che è diviso in riserve (integrali, controllate e guidate). Ogni Parco si può definire come un territorio di conflitti perché in esso sono presenti interessi ed esigenze diverse. Per garantire uno sviluppo sostenibile occorre trovare un’armonia fra tutte le esigenze e fare sinergia con le differenze culturali dei Parchi vicini del Friuli e dell’Alto Adige, in vista di uno scopo comune. A gestire bene, il Parco è agevolato sia dalla sua struttura sia dalle persone che vi abitano – ha proseguito Zortea –; i nostri avi hanno ben operato e noi non dobbiamo fare altro che continuare il loro lavoro. Stiamo svolgendo un’educazione a largo raggio (nelle scuole, con Convegni…) per creare una cultura favorevole a una buona politica ambientale e far percepire l’importanza di garantire nel territorio una buona qualità della vita. Dal 2008 si sta provvedendo alla revisione del Piano del Parco per creare nuove opportunità senza inficiarne le peculiarità. Questo è possibile anche perché la gestione del Parco è affidata a un Comitato formato sia da rappresentanti delle amministrazioni comunali sia da quelli della società civile. La carta vincente è dialogare con le amministrazioni comunali e con la popolazione. Nel territorio c’è coesione e sussidiarietà, e il volontariato è ben radicato. Questi sono buoni presupposti per poter consegnare ai nostri figli un territorio stupendo sotto tutti i punti di vista, come ha fatto con noi chi ci ha preceduto.
Bruno Crosignani (Direttore Uff. Distrettuale Forestale di Cavalese) ha concluso gli interventi delle autorità locali, osservando come il concetto di custodia indichi protezione, difesa da azioni che mettono in pericolo l’equilibrio ambientale, ma implichi anche una cura, un’azione attiva dell’uomo. Oggi più del 50% della popolazione mondiale vive in agglomerati urbani. Vivere in un ambiente artificiale e affollato può produrre la perdita della capacità di riflettere, di meditare, di avere un rapporto con la natura reale. Le piante non sono oggetti, ma esseri viventi. Le popolazioni vissute nelle Valli di Fiemme e Fassa hanno mantenuto per secoli la coscienza della necessità di usufruire dei beni naturali, senza perdere il senso del limite nel compiere interventi che, a lungo termine, potrebbero danneggiare l’ambiente. Presso la MCF è conservato un inventario dei boschi della valle che attesta l’esistenza di una Commissione, composta da un emissario del Principe Vescovo di Trento, uno del Tirolo e uno della MCF, la quale dal 1787 al 1788 percorse ogni zona, per identificare quale potesse essere la quantità di legname detraibile per i successivi 150 anni. Purtroppo nel mondo oggi prevale un modo di utilizzare la foresta basato su standard tecnologici molto elevati, senza tenere conto che distruggere il legname significa anche rovinare il terreno provocando fenomeni di erosione. In queste Valli fin dagli anni ’60 si è introdotto un sistema di utilizzazione del legname che crea ricchezza per la popolazione e per le industrie, avendo però la precauzione di preservare i beni territoriali e di limitare l’entità dei singoli tagli in modo che il piccolo danno fatto su una superficie venga bilanciato dalla permanenza del bosco nelle vicinanze e che “il taglio sia tanto grande quanto necessario e tanto piccolo quanto è possibile”. A conclusione della giornata dedicata alla conoscenza del territorio, è stato presentato il libro “Gli orti di Predazzo. Una storia, tante storie”. Sono intervenuti l’Assessore alla cultura Lucio Dellasega e l’autrice Lucia Baldo. Questo libro racconta scene di vita paesana ambientate negli orti a metà del secolo scorso, quando il legame con la terra, mai venuto a mancare in questo territorio così pervaso dall’amore per la natura, incominciò a essere minacciato dalla mentalità del benessere che, pur portando innegabili miglioramenti nel tenore di vita, ha compromesso in parte l’integrità di un costume volto alla cura e alla coltivazione delle varie forme di vita nell’orto e fuori di esso. Un costume e un “sapere” che è urgente rimeditare (cf. in questo numero del Cantico l’articolo di Simone Morandini p.22). Alla presentazione è seguita la proiezione di slides su orti predazzani d’epoca allestita da Marilena Lochmann con il contributo dei fotoamatori Livio Morandini e Fabio Dellagiacoma. L’assessore ha ringraziato tutti per la preziosa collaborazione. La terza giornata del Convegno venerdì 30 si è articolata in due parti, la mattinata particolarmente dedicata a cogliere la complessa questione ambientale a livello globale, il pomeriggio particolarmente volto a cogliere la soggettività del rapporto col creato. La custodia del creato come stile di vita infatti – ha sottolineato Argia Passoni introducendo i lavori – richiama ad una profondità. Come ci ha ricordato Papa Francesco il custodire è vocazione fondamentale dell’uomo. Rimanda ad una pretiositas consegnata a noi (basti pensare al Cantico delle Creature), rimanda a ciò che è fondamentale per la vita vera, altrimenti si deturpa il volto dell’uomo e del creato e abbiamo la distruzione e la morte. Il custodire rimanda a quella Alterità che ci costituisce e che ha voluto tutta la creazione per amore, e ha pensato ognuno di noi nella creazione come espressione del suo amore. Dunque la gratuità, il dono, sono un dato d’essere costitutivo del creato, di cui l’uomo è parte e in cui ha un compito specifico: rispondere del dono in una operosità generativa di amore perché il creato possa divenire spazio di vita, casa per tutti. Il custodire non può convivere con l’indifferenza e la chiusura in se stessi noncuranti dell’altro e della terra che ci ospita. Il custodire come stile di vita implica al contrario il confrontarsi con la situazione nell’oggi della storia: il confrontarsi con la condizione di alienazione in cui l’uomo si è posto ritenendosi padrone e arbitro di tutto, il confrontarsi con l’etica utilitaristica dominante che ormai contamina tutta la nostra vita, tanto da abituarci allo scandalo della fame, che si dispiega sotto i nostri occhi, e a renderci corresponsabili di quella “cultura dello scarto” che macina uomini e cose e che depreda il dono della creazione attirittura mercificando i fondamentali beni di creazione (acqua, aria, sole, suolo), con i disastri che questo comporta nel presente e ancor più per il futuro. Occorre renderci conto per “riparare”! I relatori ci aiuteranno, ciascuno a partire dalle proprie competenze, a porci in una prospettiva di conversione offrendoci stimoli per individuare possibili passi personali e sociali di risanamento.
Rosario Lembo (Presidente del Comitato Italiano Contratto Mondiale per l’acqua), intervenendo sul tema: “Questione ambientale e beni comuni: quali risposte individuali e collettive?”, ha offerto un ampio quadro della problematica ambientale oggi. Secondo l’Agenda 21, il XXI secolo dovrebbe costituire la soglia massima entro la quale riparare i danni arrecati al pianeta da uno sviluppo sconsiderato, che negli ultimi 50 anni ha eroso più risorse di tutti i secoli precedenti. In realtà siamo molto distanti da questo obiettivo. Lembo ha poi elencato le categorie dei problemi che oggi attanagliano il nostro pianeta: * Problemi relativi alla governance dei processi di sostenibilità globale; * Biodiversità, sicurezza alimentare, urbanizzazione, speculazione sull’accaparamento dei suoli; * Acqua, uso sostenibile delle risorse idriche e marine; * Cambiamenti climatici, assorbimento dei ghiacciai; * Problemi riguardanti l’energia e i rifiuti. A questi problemi – ha aggiunto – non abbiamo saputo dare una risposta. Alla Conferenza Mondiale di Rio de Janeiro non è emersa una convergenza di orizzonti su come intervenire per attuare un modello di sviluppo sostenibile. Permane la non volontà di mettere in discussione l’attuale modello di sviluppo. E in questo la maggior responsabilità è a carico dei paesi ricchi che risolvono il problema della scarsità delle risorse importando quelle di altri paesi anche in forma virtuale, come nel caso dell’acqua contenuta in prodotti provenienti da paesi lontani ai quali è stata sottratta. Di fronte a questi problemi prevale un atteggiamento di paura e di indecisione. Invece occorre risvegliare le coscienze e ricuperare la propria identità di cittadini consapevoli di appartenere all’umanità, le cui sorti dipendono dalle risposte che tutti insieme sapremo dare.
Antonio Verga (Amministratore Delegato Centro Epson Meteo) è intervenuto trattando il tema: “Le sfide del tempo”. Ha elencato i principali indicatori del cambiamento globale del clima. Uno dei più evidenti è la diminuzione del 9% della neve nell’ultimo decennio. La diminuzione della superficie innevata è la causa della diminuzione della riflessione dell’energia solare e porta all’accumulo di calore sulla terra e sui mari. La natura ha al suo interno tanta energia che basta poco per rompere il suo equilibrio. L’aumento del calore porta più energia nell’atmosfera e così aumentano i fenomeni atmosferici più violenti e i cicloni tropicali più intensi si verificano in territori in cui non erano mai stati prima. Mediamente le piogge sono aumentate del 2% nel secolo scorso. Sappiamo che la temperatura media ha cominciato a salire già dal 1880 quando ancora l’uomo non aveva contribuito ad inquinare come fa oggi. Possiamo allora concludere che l’uomo non ha responsabilità e che può comportarsi a suo piacimento? Possiamo aspettare che l’attuale era di riscaldamento si risolva da sé, come è già accaduto in passato quando ere glaciali o di riscaldamento si sono concluse autonomamente alternandosi tra loro? Oppure possiamo fare qualcosa? Pur sapendo che i cambiamenti climatici dipendono principalmente dall’attività del sole e dei vulcani, non è forse più ragionevole ascoltare i campanelli di allarme e chiederci cosa possiamo fare per non aiutare un processo già in atto? Certamente abbiamo la possibilità di evitare che esso si polarizzi nell’eccessivamente freddo o nell’eccessivamente caldo, nell’eccessivamente arido o nell’eccessivamente piovoso, nell’eccessivamente irrespirabile… L’unica possibilità di intervenire nel processo di riscaldamento consiste nel cambiare mentalità… Un esempio di limpida volontà del genere umano (prodotta dalla paura) ci è stato dato dall’abolizione delle bombolette di lacca per signora che avevano provocato il buco dell’ozono che ora si è ridotto. Con un simile atto di volontà potremmo evitare ad es. di costruire macchine che vanno velocissime o che vanno a benzina… Per concludere con un’osservazione che dia speranza possiamo constatare che già da un anno il sole ci è venuto in aiuto. Esso ha meno macchie solari e perciò c’è un minor trasferimento di particelle sulla terra atte ad impedire la formazione di nuvole. Forse le nostre preghiere sono state accolte! Ma noi siamo chiamati a fare la nostra parte. Dall’attenzione alla complessità sulla questione ambientale, il Convegno è passato a prendere in considerazione il mondo vitale per eccellenza, la famiglia.
P. Lorenzo Di Giuseppe (docente di teologia morale) ha proposto una lettura del significatrivo Messaggio dei Vescovi per la 8° Giornata per la custodia del creato: “La famiglia educa alla custodia del creato”. In un tempo in cui si vuole far apparire la famiglia priva di risorse, debole e insignificante, più che soggetto attivo di edificazione dell’umano, la Chiesa chiama la famiglia ad essere, come afferma il Concilio Vaticano II, “scuola di umanità più completa e più ricca”, “fondamento della società”. I Vescovi, in una rinnovata fiducia a questa realtà posta in essere direttamente dal Creatore, si domandano: “Come la famiglia può diventare una scuola per la custodia del creato?” Come risposta il Messaggio indica tre prospettive veramente interessanti: nella famiglia si vive la gratuità, la reciprocità e la riparazione del male. Queste tre prospettive riguardano la formazione dell’uomo, sono componenti della sua maturità. La famiglia è maestra di gratuità e riconoscere e vivere il dono è il suo volto e la sua identità. Nella famiglia si imparano le relazioni umane: composta da persone diverse, ognuno deve vivere la quotidianità non sfuggendo l’incontro, la collaborazione, il dialogo. In famiglia si fa di tutto per riparare il male compiuto da noi stessi o dagli altri, con umiltà e con spirito di servizio e di perdono. La conclusione è che educare alla custodia del creato è una formazione integrale della persona umana liberandola dalle strettoie della mentalità consumistica tutta incentrata sul guadagno e sull’uso devastante dei beni, e la famiglia ha risorse peculiari insostituibili per potersi muovere in queste direzioni di risanamento.
La “Testimonianza di stili di vita per un nuovo vivere insieme” di Marzia e Ignazio Ciampi (Fraternità Frate Jacopa di Roma) ha dato voce alla famiglia. Parlare di stili di vita – hanno detto i coniugi Ciampi – significa per noi parlare di un percorso di conversione. L’essere cristiani e in particolare francescani ci ha portato a valorizzare il discorso della fraternità, della relazionalità, e dunque innanzitutto il favorire lo stare insieme in famiglia con i figli (leggere insieme, passeggiare insieme, avere insieme attenzione ai vicini …), il curare la sobrietà per contrastare il consumismo e far comprendere che non serve un oggetto materiale per stare bene, sempre orientando a scegliere secondo criteri di giustizia sia rispetto all’ambiente sia rispetto ai fratelli, il darsi tempo per avvicinare al creato facendo sperimentare la gioia anche di piccoli lavori all’aperto … Sono cose semplici ma importanti che vanno perseguite con costanza crescendo insieme in una educazione perseverante dove alcune regole fondamentali servono da guida e fanno percepire il senso del limite, così importante oggi. Per tutto questo – hanno concluso – è per noi di grande aiuto l’esperienza della fraternità e il poterci confrontare come fraternità di famiglie.
Loretta Guerrini (docente di analisi del film, Dip. Arti Visive, Università di Bologna) ha trattato il tema: “Valorizzazione francescana dell’ambiente. L’esemplarità di “Home” di Y. Arthus Bertrand”. Bertrand si propone di rispondere al fallimento delle strategie ambientali e ci vuole dire che è ancora possibile fare qualcosa. Per fare questo ha girato il film “Home” che non è una finestra sul mondo, cioè non dà immagini legate ad un’oggettività. Pur inquadrando elementi reali il film è costruito attraverso immagini che sono dei veri e propri quadri. In questo modo vuole rispondere alla domanda: che cos’è l’ambiente in rapporto all’uomo? Attraverso la struttura del racconto sviluppa argomenti diversi.Il primo argomento esprime la meraviglia del pianeta-terra inanimato, ma vicino all’uomo. L’ambiente siamo noi. Attraverso il “gioco” della rappresentazione Bertrand dà una visione soggettiva del mondo: quello che vediamo riguarda il nostro stesso corpo. I fiumi sembrano le vene del corpo umano, gli alberi sembrano la rete del cervello… Filmando la terra dall’alto e a rallentatore il regista dà evocatività alle immagini. Rappresentandola attraverso il movimento in avanti della macchina da presa, crea vicinanza. Andando verso l’alto dà un senso irenico e drammatico, aperiente. La voce di sottofondo, filtrata attraverso il respiro, collega l’interiorità con l’esteriorità. Con queste strategie il rapporto con l’ambiente richiama il rapporto con il nostro corpo. Ecco allora che il problema dell’ambiente ci consente di conoscere maggiormente i nostri problemi e di definire la nostra identità. La malattia del pianeta indica la malattia del corpo umano. Per cambiare il rapporto con l’ambiente occorre cambiare il rapporto col corpo, il modo di pensare attorno al corpo. Oggi è diffusa la visione cartesiana secondo la quale conta solo il “cogito”, mentre il corpo è solo un’esteriorità da soddisfare o da dominare. Il pensiero francescano, che ha introdotto in occidente la rivalutazione del corpo dell’uomo, ci può aiutare a cambiare mentalità; infatti S. Francesco vede il corpo come immagine del corpo di Cristo (vedi Ammonizione V). Il Santo avverte la “preziosità” della natura oltre a quella della realtà corporea: i sassi diventano pietre preziose, l’acqua profuma, il fango diventa oro. E questa preziosità è espressa nel Cantico delle Creature. Il secondo argomento del film è la bios, la nostra origine. Il regista usa la cellula per rappresentare il microcosmo insieme al macrocosmo, così come aveva fatto prima unendo l’interiorità dell’uomo con l’esteriorità. Suggestiva è l’immagine della terra che racchiude il cielo (che in realtà si specchia nell’acqua). In un tutto armonico il cielo è ritagliato tutt’intorno dalla terra che designa il corpo dell’uomo. Tale immagine indica nel trascendente la strada per salvare l’ambiente e per salvare la nostra identità che trova il suo campo espressivo nel corpo non oggettivato e non ridotto ad una macchina, come invece accade nella visione cartesiana. Dobbiamo perciò lavorare per definire la nostra identità! Nell’ultima relazione del Convegno la Dott.ssa Maria Rosaria Restivo (Master Asa Università Cattolica di Brescia) ha presentato i passi per un nuovo stile di vita, a compendio del lavoro svolto in continuità con la Scuola di Pace Nazionale, incastonandoli nell’esperienza luminosa del Santo di Assisi. Ecco per tappe i punti più significativi: * Dallo stupore alla coscienza. Educare lo sguardo allo stupore, ascoltare con umiltà la creazione, è indispensabile per prendere coscienza del dono ricevuto ed imparare ad abitare la terra. * Dalla responsabilità alla testimonianza. Rispondere del dono ricevuto ci chiede di convertire i nostri stili di vita per vivere nel mondo non da padroni ma da amministratori, divenendo protagonisti delle nostre scelte per ridurre l’impatto ambientale e muoverci in una direzione di sviluppo sostenibile. * Dalla sobrietà al bene comune. Liberare la vita dalla mercificazione ci chiama a prenderci cura del bene comune, ad alimentare nuove prassi di tutela dei beni di creazione per renderne possibile l’accesso ad ogni uomo e ad ogni popolo. * Dalla convivenza alla fraternità. Riparare la casa della convivenza umana ci sollecita a educarci all’accoglienza, alla generosità e alla gratuità, valorizzando la famiglia come luogo per alimentare l’etica del dono e della convivialità, ripensando le regole della casa comune – il creato – per edificare con perseveranza la pace con tutti gli uomini e le donne di buona volontà.
Nelle conclusioni affidate a P. Lorenzo di Giuseppe e al Dott. Rosario Lembo è stato innanzitutto sottolineato che all’urgenza dell’impegno per una ecologia ambientale si affianca oggi l’urgenza di una ecologia umana. Un impegno che il dott. Lembo ha concretizzato sotto l’aspetto di responsabilizzazione e di mobilitazione come cittadini e come cristiani, anche in termini di atti politici, per sollecitare cioè da parte delle istituzioni locali, nazionali nuove politiche di sviluppo e nuovi atteggiamenti nei confronti dell’ambiente e per contrastare il primato del denaro, della economia e della finanza sulla vita, su ogni uomo o essere vivente. Di fronte alla crisi ambientale, è urgente e necessario evitare di cadere nel rischio della privatizzazione della nostra sensibilità ecologica riducendola solo a testimonianza personale. Occorre agire in termini di partecipazione e di responsabilizzazione collettiva. Questo impegno assume un rilievo ancora più forte per una comunità come la vostra fraternità francescana – ha ripreso il Dott. Lembo – che si richiama al grande messaggio a salvaguardia del creato di cui San Francesco rimane testimone nei secoli. Il Convegno sia di stimolo per far sì che ciascuno di noi possa tornare a casa con una sufficiente consapevolezza ed entusiasmo con cui mettere in pratica l’impegno personale e collettivo alla salvaguardia dei beni comuni della terra e del creato, che sono stati affidati in gestione all’umanità. Il Convegno è stato preceduto da alcuni giorni di vacanza e di riflessione sul nuovo testo di formazione, “Caritas Christi urget nos. Per una nuova evangelizzazione”, con una breve presentazione dei singoli capitoli da parte degli autori. Tutto si è svolto in un clima fraterno e di preghiera con la recita giornaliera dei Salmi e la celebrazione quotidiana della S. Messa nella chiesa settecentesca di Bellamonte, dove la Settimana si è conclusa con la S. Messa, celebrata dal Parroco, Don Giorgio Broilo, nel rendimento di grazie al Signore per quanto ricevuto.
A cura di Graziella e Lucia Baldo
Nel prossimo numero del Cantico proseguirà lo “Speciale” con la pubblicazione della relazione del Dott. Rosario Lembo assieme ad alcuni altri interessanti contributi.