La vanagloria
Per il Celano S. Francesco era convinto che “si deve amare diligentemente ciò che aiuta a progredire e allo stesso modo si deve evitare ciò che è dannoso” (FF 714). E perciò aborriva e stroncava sul nascere la vanagloria che poteva “offendere gli occhi del suo Signore. Spesso infatti, quando si sentiva molto elogiare, se ne addolorava e gemeva assumendo subito un aspetto triste”.
Troviamo parecchi esempi che dimostrano quanto la sua vita fosse coerente con le sue parole che esprimevano il desiderio di gloriarsi solo nel Signore.
Una volta di fronte ad una grande folla che si era radunata per ascoltarlo, per sminuire se stesso confessò pubblicamente di aver condito il cibo col lardo in tempo di Quaresima (cfr. FF 715). Un’altra volta regalò il mantello ad una vecchierella, ma “avvertendo che nell’animo stava infiltrandosi un sentimento di vano compiacimento, subito davanti a tutti confessò di averne provato vanagloria” (FF 716). “Cercava con ogni cura di nascondere nel segreto del suo cuore i doni del Signore, perché non voleva che, se gli erano occasione di gloria umana, gli fossero pure causa di rovina… Rivolto poi a sé diceva: «Se l’Altissimo avesse concesso grazie così grandi ad un ladrone, sarebbe più riconoscente di te, Francesco!»”(FF 717).

La religiosità apparente
Opponendosi alla superbia e alla vanagloria la Regola non Bollata mette in guardia dallo spirito della carne che “vuole e desidera una religiosità e una santità che appaia al di fuori agli uomini” (FF 48).
Si può anche apparire penitenti applicandosi insistentemente a preghiere ed uffici, astinenze e mortificazioni del corpo, ma queste pratiche possono essere del tutto superficiali e inefficaci se non si è poveri di spirito e ci si irrita per il solo sospetto di aver ricevuto un’ingiuria (cfr. FF 163).
S. Francesco ripeteva spesso: “Nessuno deve lusingarsi con ingiusto vanto per quelle azioni che anche il peccatore potrebbe compiere” (FF 718).
Il peccatore può digiunare, pregare, piangere…, ma “anche dalle lacrime può trarre profitto”! “Con la speranza di averne un compenso” (FF 178) compie le sue opere che considera come meritorie e non come servizio “fedele al suo Signore” (FF 718).Il come fa la differenza tra chi si converte e chi no!
S. Francesco ripeteva spesso: “Il peggiore nemico dell’uomo è la sua carne: è del tutto incapace di ripensare al passato per pentirsene” (FF 718).
Le buone opere non vanno compiute per coltivare una religiosità apparente ossia per autogratificarsi della propria capacità nel fare il bene, ma per purificare la propria affettività attraverso un cammino (che S. Bonaventura chiama “status viae”) che porti ad incontrare l’amore di Dio e ad assumerlo, cioè a trasformare il nostro amore di possesso in amore di dono.

Il servo fedele…
S. Francesco pone tra i beati il servo fedele che “rende tutti i suoi beni al Signore” (FF 168) dopo averli accettati come doni da non nascondere, ma da far fruttificare non appropriandosene e non inorgogliendosi (cfr. FF 161) per essi.
Riecheggia S. Bonaventura: “Noi dobbiamo gloriarci solo in questo caso: se rendiamo a Dio la gloria che è sua; se lo serviamo con fedeltà; se ascriviamo a Lui tutto quello di cui ci fa dono” (FF 1105).
L’orgoglio per aver fatto qualcosa di buono deriva dalla carne che è “sempre contraria ad ogni bene” (FF 161), mentre lo spirito del Signore vuole che “la carne sia mortificata e disprezzata, vile, abbietta e ricerca l’umiltà…” (FF 48).
Tale virtù era ritenuta da S. Francesco, architetto avveduto, il fondamento per edificare (cfr. FF 1103) se stesso. “Giudicando una stoltezza esaltarsi per la stima della gente del mondo, godeva nelle umiliazioni e si rattristava per le lodi. Sul proprio conto preferiva sentire insulti invece di lodi, perché sapeva che l’insulto spinge ad emendarsi; la lode a cadere”.

… si gloria di rendere gloria a Dio
Il servo fedele restituisce a Dio tutti i beni riconoscendo che procedono tutti da Lui al quale vanno “tutti gli onori e l’adorazione, tutta la lode e tutte le benedizioni, ogni rendimento di grazie e ogni gloria…” (FF 49).
S. Francesco desidera che “ogni creatura che è in cielo e in terra e nel mare e nelle profondità degli abissi renda a Dio lode, gloria e onore e benedizione, poiché egli è la nostra virtù e la nostra forza” (FF 202).
La gloria di Dio trova un’espressione fortissima nelle ultime parole della Regola non Bollata: “Nient’altro dunque si desideri, nient’altro si voglia, nient’altro ci piaccia e ci soddisfi se non il Creatore e Redentore e Salvatore nostro, solo vero Dio e che è pienezza di bene, totalità di bene, completezza di bene, vero e sommo bene, che solo è buono, misericordioso e mite, soave e dolce, che solo è santo, giusto, vero e retto, che solo è benigno, innocente e puro, dal quale, per il quale e nel quale è ogni perdono, ogni grazia, ogni gloria…” (FF 70).

Graziella Baldo

Il Cantico
ISSN 1974-2339
Pubblicazione riservata