In seguito alla Nota Pastorale:“Come può nascere un uomo quando è vecchio?” (2021/22) dell’arcivescovo Matteo Zuppi, la Zona Pastorale Fossolo ha promosso un “percorso biblico” di riflessione e preghiera sullo Spirito Santo. Nel secondo di questi incontri ci si è soffermati sul brano tratto dalla Lettera agli Efesini (Ef 6,10-18). Riportiamo alcune risonanze.

Il brano di S. Paolo, tratto dalla Lettera agli Efesini, presenta il cristiano come colui che ha il coraggio di “propagare il vangelo della pace” e non vuole trattenerlo per sé; ce lo presenta come colui che non è vittima debole, rassegnata e arrendevole dei “dominatori di questo mondo tenebroso” o degli “spiriti del male che abitano nelle regioni celesti”.
Per dare vigore e fiducia agli Efesini in momenti di grandi prove e persecuzioni, S. Paolo si rifà a un linguaggio che fa riferimento alle armi spirituali di cui è necessario rivestirsi per combattere il male ed evitare di assumere quell’atteggiamento passivo di rilassatezza e tiepidezza che ci porta ad assuefarci alla mentalità di questo mondo che rifiuta Cristo. Tra queste armi l’unica ad essere offensiva, cioè in grado di vincere gli avversari, è la “spada dello spirito, che è la Parola di Dio”.
Tuttavia non c’è un solo modo di accostarsi alla Sacra Scrittura: lo si può fare mostrando un interesse puramente dottrinale, intellettualistico oppure con l’atteggiamento materno di chi porta la Sacra Scrittura nascosta nel proprio cuore come un tesoro celeste e la avvicina con “l’affetto dell’amante” (2Cel. FF 689).
S. Francesco ci insegna come adorare Dio in spirito e verità nell’avvicinarci alla Parola di Dio: “E sono vivificati dallo spirito della divina Scrittura coloro che ogni scienza che sanno e desiderano sapere, non l’attribuiscono al proprio io carnale, ma la restituiscono con la parola e con l’esempio all’altissimo Signore Dio, al quale appartiene ogni bene” (ivi).
S. Caterina de Vigri, clarissa, la “santa” dei bolognesi, ci ha lasciato un’opera di alta spiritualità, che assume questo combattivo linguaggio paolino e che si intitola: “Le sette armi spirituali”. Più in alto di tutte, al settimo posto, la santa pone “la memoria della sancta Scriptura” che dobbiamo avvicinare con l’affetto che si ha per una “fidellissima madre” onde poter ricevere prontamente consiglio da essa.

Lucia Baldo

In chiusura della Lettera agli Efesini, come raccomandazione finale, S. Paolo ci presenta la sua esperienza di vita combattiva per la conquista del regno di Dio attraverso il Figlio che gli ha consentito di superare le prove a cui è stato assoggettato dallo spirito del male.
Ma quando e come possiamo combattere per entrare nel regno di Dio? S. Paolo risponde: “in ogni occasione, pregate con ogni sorta di preghiere”.
Questa affermazione non solo dà importanza alla preghiera, ma ne allarga l’orizzonte. Sembra voglia dire che tutto l’agire della vita cristiana è una preghiera rivolta al Padre quando è partecipazione alla vita di Gesù che è sempre in dialogo col Padre.Partecipando ai gesti e alle parole del Figlio, mossi dallo Spirito Santo diventiamo anche noi figli. Figli adottivi in dialogo col Padre, in preghiera del Padre.
Entriamo nei dettagli offerti da S. Paolo! Diventiamo figli adottivi quando ci rivestiamo dell’armatura della verità che ci è stata rivelata dalle parole e dai gesti di Gesù, quando lottiamo contro il mondo che disprezza la verità, mentre ritiene fondamentale avere un’opinione qualsiasi.
Combattiamo per il regno di Dio quando operiamo il bene con le opere di giustizia dei figli di Dio, che non confondono la carità con la filantropia o con una certa degnazione e superiorità verso i cosiddetti bisognosi. Combattiamo come figli di Dio quando, rivestiti di pace, testimoniamo il coraggio del Vangelo di Cristo che ha fatto pace col mondo sulla croce dove non ha distrutto coloro che gli volevano male, ma ha detto loro quanto li amava.
Ci difendiamo dalle “frecce infuocate del Maligno” con lo scudo della fiducia in Dio, cioè della fede. E quando usiamo la spada della Parola che anche Cristo ha usato nelle tentazioni nel deserto.
Concludendo dobbiamo evitare una religiosità vuota fatta di facili gratificazioni, di sentimentalismi, di attivismo che ci fanno perdere il senso di essere di fronte a un Dio che ci ama e che ci vuole far ritornare alla “sublime condizione” in cui si trovava Adamo prima del peccato quando fu creato “a immagine del suo diletto Figlio secondo il corpo e a sua similitudine secondo lo spirito” (FF 153).

Graziella Baldo

Il Cantico
ISSN 1974-2339
Pubblicazione riservata