Cresce l’ideologia del Gender
Giulia Galeotti

«In un asilo color ocra in una stradina della vecchia Stoccolma, le maestre evitano di usare i pronomi lui e lei, ma chiamano i loro 115 piccini semplicemente come “amici”. Riferimenti declinati al maschile o al femminile sono tabù, spesso sostituiti con “hen”, una parola artificiale e senza genere che la maggior parte degli svedesi evita ma che è popolare in alcuni circoli maschili e femminili». John Tagliabue, Swedish School’s Big Lesson Begins With Dropping Personal Pronouns New York Times, 13-11-2012

asiloAnche questo mese un asilo richiama la nostra attenzione. Ma se in ottobre era un asilo pericoloso (troppo vicino, secondo una mamma romana, a un istituto che ospita persone affette da gravi disabilità), questa volta si tratta invece di un asilo ambito, pubblicizzato, salutato come dimostrazione di apertura, progresso e lungimiranza. Un asilo in cui sono deliberatamente proibiti grembiulini, fiocchi o adesivi rosa e azzurri per contraddistinguere bimbi e bimbe, al pari dei pronomi lei e lui. Tutti semplicemente “amici”, senza differenze, senza genere sessuale. Una notizia molto simile aveva fatto il giro della stampa italiana a fine giugno 2011, quando era stato variamente commentato il progetto dell’asilo Egalia (uguaglianza), struttura di punta e ambitissima (lunga la fila di attesa a fronte dei soli trentatré posti disponibili) nel cuore di Stoccolma, che aveva scaricato – oltre al rosa e all’azzurro – anche Biancaneve e il Principe azzurro a favore della favola di due giraffi che adottano un uovo di coccodrillo.

Ora di un asilo pressoché identico – il Nicolaigarden – dà conto John Tagliabue sul New York Times. Ridicola, goffa e infantile agli occhi dei più, la parte della notizia su cui occorre riflettere è però quella relativa a ciò che la notizia sottintende. “Tears and dolls for everyone” è infatti espressione dell’idea che cancellare la differenza sessuale sia la sola via per raggiungere l’effettiva parità tra i due sessi. Ma – lo ripetiamo ancora – la discriminazione non si combatte fingendo una identificazione che non esiste. Che ancora oggi, finanche in Occidente ci sia qualche problema di reale ed effettiva parità tra maschi e femmine è indubbio. La necessità e il senso di un premio statunitense come il “Name it. Change it. Sexist Media Award”, assegnato ai giornalisti più misogini lo dimostrano ampiamente (quest’anno ha vinto l’intervista di tre giornalisti del Chicago Sunday Times – Dave McKinney, Fran Spielman e Natasha Korecki – a Lisa Madigan, in corsa per diventare governatore dell’Illinois: “come farà con i suoi due figli nel caso in cui verrà eletta?”, domanda che, evidentemente, nessuno si sogna di rivolgere a un candidato uomo). L’ideologia del gender – di cui il progetto dell’asilo svedese è espressione – deve il suo successo al fatto che i teorici sono riusciti a contrabbandarla come via per l’uguaglianza e per giustizia. Eppure sostenere che non vi siano differenze tra i maschi e le femmine in nome della parità, sottintende un pericoloso fraintendimento su cosa effettivamente sostenga il principio di uguaglianza.

Diritto e filosofia vanno ribadendo da tempo come il suo vero significato non risieda nel disconoscere le caratteristiche individuali (fingendo un’omogeneità che non esiste), ma, al contrario, risieda nel dare a tutti le stesse opportunità. Il filosofo laico Norberto Bobbio affermava che gli uomini non nascono uguali: è compito dello Stato metterli in condizione di divenire tali. Similmente si esprimono pensatori e giuristi cattolici come Francesco D’Agostino o Mary Ann Glendon. Il dato fondamentale, su cui (insieme alla Chiesa e a parte del femminismo), molti filosofi concordano da, è che si può benissimo essere differenti, senza per questo essere qualitativamente diseguali. Di per sé, infatti, la differenza non è sinonimo di discriminazione. Il principio di uguaglianza non deve né può escludere il riconoscimento della differenza. Anzi, potremmo dire che esso ha senso solo ed esclusivamente nella misura in cui la differenza esiste. Quest’ultima, infatti, non è il contrario dell’uguaglianza, ma è invece l’opposto di identità. Come scrive la filosofa laica francese Sylviane Agacinski, “due cose sono o identiche o differenti, anche se un oggetto può essere identico a un altro da un certo punto di vista, e differente da un altro punto di vista, o sotto un altro aspetto.

Quanto all’uguaglianza, essa si oppone alla disuguaglianza, e non alla differenza”. La vera uguaglianza, dunque, si verifica non solo quando soggetti uguali vengono trattati in modo uguale, ma anche quando soggetti diversi vengono trattati in modo uguale. La parità non si ottiene facendo entrare le donne in una categoria astratta di individuo (categoria che poi non esiste, essendo essa tarata sul modello maschile), la parità si persegue tenendo conto del fatto che la società è composta da cittadini e da cittadine. Gli asili meritano davvero tutta la nostra attenzione. Sono i luoghi in cui – volenti o nolenti – formiamo i nostri figli. Sono una parte sostanziosa del loro pane quotidiano. Anche se sarebbe più facile e comodo, non rinunciamo senza riflettere a valutare con attenzione il cibo che quotidianamente diamo loro.