In S. Francesco e in S: Chiara

Consacrare il mondo
sLa volta scorsa abbiamo parlato della diversità tra la cultura medievale improntata sul “De contemptu mundi” del monaco Lotario e la nuova cultura fondata da S. Francesco che mira a una rivalutazione della dignità dell’uomo, anima e corpo. Per comprendere meglio questa interpretazione dell’uomo in S. Francesco, ricordiamo il passo delle Fonti Francescane in cui il Santo dice che l’uomo deve fare del suo corpo una cella, un tempio dove stare in presenza del Figlio dell’uomo, mentre l’anima deve essere l’eremita che sta in perenne atteggiamento di adorazione: “Infatti dovunque siamo e andiamo, noi abbiamo la cella con noi: fratello corpo è la nostra cella, e l’anima è l’eremita che vi abita dentro per pregare il Signore e meditare su di lui. Perciò se l’anima non rimane in tranquillità e solitudine nella sua cella, di ben poco giovamento è per il religioso quella fabbricata con le mani” (FF 1659).
Il messaggio e la vita di S. Francesco e di S. Chiara consistono proprio in questa armonizzazione profonda del corpo allo spirito dell’uomo, in modo che il corpo sia chiamato dalla forza dello spirito a vivere di fronte al Signore. Pensiamo al Natale da poco trascorso e all’Immacolata Concezione che ci dicono la dignità del corpo dell’uomo quando diventa tempio del Figlio di Dio. In questo modo Dio si avvicina all’uomo conferendogli una dignità.
Per S. Bonaventura io posso amare Dio solo se diventa corpo. Altrimenti posso solo onorarlo, adorarlo, temerlo, ma non amarlo.
Il passaggio dalla cultura del disprezzo del mondo a quella di S. Francesco si riconosce chiaramente nel “Cantico delle creature”, in cui si esprime il nuovo che riconsacra il mondo e lo eleva nell’orizzonte di una sacralità rivelatrice della bontà dell’“Altissimo, onnipotente, bon Signore”.
Secondo questa visione non esiste nessun male al mondo, se non il peccato. Anche le malattie del corpo umano non vanno viste come un male, ma come una crescita verso “cieli nuovi e terra nuova”. Neppure la morte appare come una maledizione, bensì come una sorella, poiché Cristo nel morire in croce ha consacrato la dignità della morte.

La penitenza del corpo
Alla visione del corpo come di un nemico che va soggetto a penitenze fisiche, poiché impedisce lo slancio dello spirito, S. Francesco contrappone un concetto di penitenza del corpo incentrata sul lavoro inteso come quella modalità di servizio a cui il corpo umano è chiamato per poter raggiungere l’armonia dello spirito nei confronti del Signore. Prima del Concilio Vaticano II il lavoro era considerato un impedimento dello spirito.
Di domenica non si potevano fare le opere servili, ma solo quelle intellettuali.
Invece per S. Francesco il corpo umano che lavora diventa espressione di uno spirito rivolto completamente al Signore. Il lavoro serve per perfezionare chi compie l’opera e per rendere il corpo obbediente al servizio di Dio. Se mediante il lavoro il corpo si fa espressione del servizio allo spirito, viene una luce, un’armonia interiore che rende possibile la contemplazione del Figlio di Dio, del Bambino di Betlemme.

Cristo, specchio senza macchia
Anche la contemplazione di S. Chiara è sempre di fronte a Gesù Cristo. Nella IV lettera a S. Agnese da Praga, ella scrive: “E poiché egli è splendore della gloria, candore della luce eterna e specchio senza macchia, guarda ogni giorno questo specchio, o regina sposa di Gesù Cristo, e in esso scruta continuamente il tuo volto…” (FF 2902).
Nello specchio del corpo di Cristo S. Chiara vede in alto la povertà (è lo spirito che vuole la povertà del corpo), al centro l’umiltà e al fondamento la carità.
La grande lezione di Chiara è l’invito a porsi di fronte a Gesù Cristo per vedere in lui la propria immagine e, quindi, sentire la dignità del corpo anche quando è ammalato e morente, poiché Gesù si è incarnato per addossarsi il grande mistero della corporeità umana che è unita allo spirito e con la quale Cristo ha salvato il mondo morendo in croce.

Lucia Baldo