Scuola di Pace, Roma 4-6 gennaio 2018

Relazione di Martìn Carbajo Nùñez ofm

img157 (2)Nel mio intervento presenterò il tema: “Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9). Vorrei sottolineare fin dall’inizio che questa beatitudine deve essere intesa nel contesto di tutte le altre. Prima di diventare operatore di pace, infatti, il soggetto deve fare un percorso di purificazione per trovare la pace dentro di sé, cioè deve assumere le altre beatitudini. Pertanto, dovrà riconoscere la propria povertà (essere povero in Spirito) (1) e sperimentare la consolazione di Dio, che accoglie il suo dolore e asciuga le sue lacrime (2). Questa esperienza della gratuità divina farà sorgere in lui la mitezza (3) la sete di giustizia (4) e la misericordia (5), oltre a renderlo consapevole di avere un cuore da purificare (6) e una missione da compiere (7). Fatto questo percorso, sarà in grado di subire le ingiustizie senza perdere la pace (8).
Tutti siamo chiamati ad essere operatori di pace armonizzando dinamicamente le quattro relazioni fondamentali, cioè vivendo in pace con Dio, con noi stessi, con gli altri e con il creato. Senza l’apertura alla diversità non è possibile la pace.
Parlare oggi di essere operatori di pace, accogliendo il diverso da sé, significa andare contro corrente. Molti vedono l’immigrazione come una minaccia e vogliono accogliere soltanto quelle persone che possono dare un contributo significativo al paese. Così si parla di costruire muri e si demonizzano interi ceti sociali.
Al tempo stesso, sorgono movimenti indipendentistici nelle regioni più ricche dell’Europa (Catalogna, Scozia, Fiandre, ecc.) che si appellano alla propria identità culturale per giustificare l’egoismo di voler essere ancora più ricchi, a scapito delle altre regioni del proprio paese.

1. La pace, dono del Risorto e compito permanente
La pace è un desiderio profondo del cuore umano, ma spesso viene capita in modo sbagliato. Ad esempio, risulta sbagliato vederla come un frutto del monopolio del potere (pax romana) o dell’equilibrio del terrore (“guerra fredda”)1, che portano alla tranquillità apparente di un ordine senza giustizia.
La vera pace non può essere l’effetto del militarismo, delle alleanze difensive o della politica dei blocchi.
La pace non può essere ridotta neanche a un spiritualismo disincarnato, che invita a fuggire dal mondo per vivere “da soli con Dio”, mentre si cerca di annullare i sentimenti e desideri legati al proprio corpo. Questo tipo di religiosità intimistica disprezza il mondo come se fosse un ostacolo da superare, perché ci “trattiene”, bloccando il nostro pellegrinaggio e la nostra ascesa verso Dio. Anziché “coordinare” tutto quanto siamo (anima e corpo), si parla piuttosto di “subordinare”, “soggiogare”. La santità richiederebbe il disprezzo e la sottomissione del corpo, con la sensualità e la materialità ad esso connesse.img158
Alcuni pensano di trovare la pace chiudendosi in sé stessi ed evitando qualsiasi rapporto potenzialmente conflittuale con gli altri. Internet offre molte opportunità di rapportarci soltanto con quelli che “la pensano come me”. Chiudendosi nell’ambito privato, queste persone evitano qualsiasi coinvolgimento nell’aiutare il bisognoso e nel cercare soluzioni ai problemi sociali ed ecologici.
Il cristianesimo afferma che la pace è il dono del Risorto, la situazione ideale della storia, l’ordine voluto da Dio creatore. Al tempo stesso, la pace è compito permanente (GS 78), promessa ed esigenza, opera della giustizia2, della verità, della libertà e dell’amore.
Essa esige di morire a sé stesso per fare spazio all’Altro, agli altri e al creato.
La pace cristiana presuppone una concezione antropologica positiva, che vede l’uomo come intrinsecamente sociale, anche se condizionato dal peccato. Pertanto, la pace esige la mortificazione, indirizzata non ad annullare una parte di sé, ma piuttosto a coordinare tutto quanto siamo perché niente ci distolga dall’amore.
Francesco d’Assisi vede il mondo non come un ostacolo, ma come una via che conduce all’Altissimo. Pertanto, non sente il bisogno di allontanarsi dal mondo o di trascenderlo, perché in ognuna delle creature scopre il Creatore, vivo e presente, umile e amoroso. Il mondo intero è per lui un chiostro in cui si incontra con Dio3.

1.1. La pace nell’Antico Testamento
L’AT non si riduce al concetto greco Eirene, cioè a una pace che è sinonimo di assenza di contesa o tensione, ma usa il concetto ebraico Shalom, che significa serenità interiore, pienezza di vita nei rapporti con Dio, con sé stesso, con gli altri e con la natura. Dio non può che parlare di pace (Sal 85,9). Questa pace è distrutta dal peccato4, dal dominio5 e dall’oppressione, che è rinnegamento di Dio 6.
Il tema shalom sarà centrale nei profeti, che spesso la identificano con l’attesa messianica7. Essi proclamano una pace che è frutto della giustizia, cioè di relazioni senza dominio8 e presentano la giustizia e la pace come i principali beni di salvezza nel tempo messianico. Pertanto, lottano contro l’ingiustizia9 e difendono il povero, l’orfano, la vedova, lo straniero, il debole. Inoltre, nel nome di Dio, chiedono benevolenza gratuita, misericordia, cura del debole. Soltanto chi opera così, conosce Dio 10.
L’escatologico shalom porterà definitivamente la giustizia11 e sarà la quintessenza della salvezza messianica e dei beni escatologici12. Il Re-messia sarà chiamato principe della pace13 e si prenderà cura dei poveri per rendere loro giustizia14. La pace, infatti, è l’orizzonte escatologico dell’umanità. Tutti i popoli sono chiamati alla pace messianica, che sarà il rovesciamento della situazione creatasi a Babele 15.

1.2. Nuovo Testamento
Gesù stesso è la nostra pace (Ef 2,14- 18). Tutta l’avventura terrena di Gesù è segnata dal tema della pace, in coerenza con l’ideale messianico. Già Maria, nel Magnificat (Lc 1,51-55), enuncia i contenuti della pace. La sua nascita è salutata dall’annuncio della pace (Lc 2,14) ed è l’inizio di un cammino di pace (Lc 1,79). Il suo messaggio è un “vangelo di pace” (Ef 6,15).
img161Nella persona di Cristo si adempiono le promesse messianiche di pace e liberazione16, anche se deve affrontare ostilità, conflitto, persecuzioni e martirio17. Infatti, il prezzo della pace è l’offerta della propria vita 18.
Gli ultimi momenti della sua vita sono segnati dal tema della pace (Gv 14,27). Lui è il servo sofferente che non risponde alla violenza. Infatti, il suo ultimo miracolo è a favore di colui che si prepara ad ucciderlo (Lc 22,51).
Il Dio della pace si rivela nella morte e risurrezione di Gesù: il Padre risuscita il suo figlio incarnato, il quale, risuscitando, diventa fonte dello Spirito. La risurrezione, infatti, suppone la sconfitta di qualsiasi tipo di violenza, forza o imposizione.
La Pace è dono e missione del Risorto, il potere della Risurrezione in noi19. Il saluto “pace a voi” è collegato al dono dello Spirito e all’affidamento della missione20. Cristo, per mezzo dello Spirito, ci dona quella pace che il mondo non può dare (Gv 14,27) e supera ogni divisione (Ef 2,11-20).
Adesso è compito della Chiesa il proseguire la sua opera di riconciliazione21, per ristabilire l’armonia tra Dio, gli uomini e il creato22. Nelle Beatitudini, il Regno di Dio è collegato alla misericordia, alla giustizia e alla pace: “Beati gli operatori di pace”23.
La Chiesa è chiamata a proseguire l’opera di pace di Cristo, arrivando pure a non far valere i propri diritti, rispondendo alla violenza con la non violenza 24.
La pace ha una portata universale (nello spazio) ed escatologica (nel tempo)25. In quanto dono escatologico, la pace è motivo e oggetto dell’invocazione religiosa: chiediamo a Dio la sua pace. In quanto compito umano, la pace è incombenza della responsabilità etica 26. La meta sarà l’unità di tutta la famiglia umana 27. L’amore ai nemici mostra il tipo di relazioni che il Regno inaugura (Lc 6,27), un Regno che è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo 28.

1.3. La pace in Gaudium et Spes (nn. 77-78 e 91-93)
Gaudium et Spes presenta la pace come dono del Risorto e impegno attivo per la giustizia. Bisogna convertirsi alla verità della pace (GS 77), che non è solo concordia pattista fra stati sovrani, ma immagine ed effetto della pace di Cristo.
Il concilio sottolinea il concetto di “Universa familia humana”. Auschwitz e Hiroshima avevano evidenziato che tutta la famiglia umana condivide lo stesso destino mentre naviga nella stessa piccola barca.
Facendosi ecco di questa nuova sensibilità, il Vaticano II afferma che il progetto di Dio è sempre rivolto all’umanità intera, intesa come un unico corpo sociale potenziale che ha per fine Cristo (GS 45)
GS dà priorità al bene comune di tutto il genere umano. I testi preconciliari definivano il bene comune come il fine proprio della società civile, concepita quest’ultima come sovrana, cioè come società perfetta nell’ordine naturale. Il Vaticano II, invece, fa prevalere il bene comune dell’umanità e mette in questione il concetto stesso di stato sovrano e di società civile perfetta. In questa prospettiva universale, il bene comune di ogni stato o società particolare è giudicato e relativizzato.

1.4. Paolo VI
La pace è un dovere29, un impegno personale, sociale e politico 30. Nessuno è esente da questo impegno. “La pace non si gode, si crea”31; è più un percorso che una meta.
La pace è possibile 32, ma si raggiunge soltanto con la riconciliazione, non con la guerra, perché la pace non la si può ottenere con percorsi che la negano. Riconciliarsi significa ritrovare il senso dell’intangibile dignità umana, nel contesto del bene comune 33.
“Lo sviluppo è il nuovo nome della pace” (PP 87), perché la vera pace è possibile soltanto dove regna la giustizia 34. “La pace è anzitutto una condizione di spirito” 35. Prima di essere esteriore e diventare pratica di vita, deve essere interiore, cioè deve farsi costitutiva dell’individuo.

1.5. Giovanni Paolo II
Giovanni Paolo II sottolinea che l’opera della solidarietà è la pace (SRS 39). Le disuguaglianze tra Nord e Sud rappresentano serie minacce per la pace nel mondo.
Il Papa presenta la collaborazione internazionale come l’unica via sicura per la pace, superando qualsiasi forma di colonialismo. Afferma pure che i pilastri della pace sono la verità, la giustizia, l’amore e la libertà 36.

1.6. Benedetto XVI
Benedetto XVI mette la pace in rapporto con la cura del creato: “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”. “La salvaguardia del creato e la realizzazione della pace sono realtà tra loro intimamente connesse”37.
Esiste un nesso tra le questioni ecologiche e la cosiddetta “ecologia umana”.
Non si può salvare il creato proponendo un “egualitarismo” che elimina la differenza ontologica e assiologica tra tutti gli esseri viventi e la persona umana 38. Rifiutando questa impostazione, il Papa ricorda che “i doveri verso l’ambiente derivano da quelli verso la persona, considerata in se stessa e in relazione agli altri”39.

1.7. Papa Francesco
Papa Francesco insiste sull’importanza di ritrovare le basi sulle quali Francesco d’Assisi e la Tradizione francescana hanno costruito il loro messaggio di pace e di armonia universale. Dice il Papa:
“La pace francescana non è un sentimento sdolcinato. Per favore: questo san Francesco non esiste! E neppure è una specie di armonia panteistica con le energie del cosmo… Anche questo non è francescano! La pace di san Francesco è quella di Cristo”40.

2. L’esempio di Francesco di Assisi
Contraddicendo la logica della guerra, che sempre incomincia demonizzando il futuro nemico, Francesco vede in tutti gli uomini un regalo divino 41, un invito a costruire la vera pace. Essa non consiste in patti né in equilibrio di interessi, bensì nel “timore divino”, nella “divina saggezza” e nel “divino amore” (Rnb 17,16).
Perciò, Francesco rinuncia ad ogni tipo di violenza o imposizione, si presenta disarmato e si espone ad oltraggi e vituperi 42. Non importa se lo ingiuriano o lo disprezzano (Rb 10,11). Egli vuole obbedire a tutti 43, senza considerare il peccato altrui 44, senza mormorare, calunniare, giudicare né condannare nessuno 45. La perfetta letizia consisterà nell’accettare il rifiuto dei più prossimi, la mancanza di ospitalità, senza perdere la pace né il senso della propria missione 46.

2.1. La pace, frutto della giustizia
“L’uomo è un lupo per l’uomo”47, ripetono quelli che guardano con diffidenza l’essere umano e quelli che difendono la corsa agli armamenti come l’unico modo di mantenere la pace (Si vis pacem, para bellum). Francesco contraddice quella logica.
Il racconto del lupo di Gubbio (Flor 21) è una bella parabola sull’ospitalità incondizionata di Francesco, in forte contrasto con la diffidenza che porta a guerre e conflitti. Di fronte al lupo feroce, che divora uomini ed animali, gli abitanti di Gubbio vivono terrorizzati, reclusi nella loro propria città, armati come se andassero alla “guerra”.img169 (1)
Il lupo li attacca perché ha fame (ingiustizia); essi si difendono perché i loro beni e le loro vite sono in pericolo. La chiusura di entrambi le parti aumenta la sfiducia mutua, ostacola l’apertura all’altro ed obbliga ad armarsi “fino ai denti”. Tutti sono, contemporaneamente, vittime e colpevoli.
In questa situazione di odio accanito, Francesco sente compassione verso entrambe le parti e, facendo il segno della “croce”, si situa in mezzo, disarmato, come agnello tra i lupi (minorità). Grazie alla sua fiducia in Dio, Francesco vince i pregiudizi di quelli che cercano di dissuaderlo ed è capace di riconoscere tutti come fratelli. Si appoggia sulla presenza dei suoi compagni, ma essi finiscono per vacillare 48. Proseguendo da solo, con l’audacia della fede, Francesco non si limita a denunciare la violenza, ma svela le cause che la provocano e propone un patto reciproco, tra uguali, per ristabilire la giustizia 49. La gente di Gubbio si pente dei propri peccati e promette di alimentare il lupo, mentre questi rinuncia a far loro del male. Ora tutti possono uscire dalla propria chiusura e riunirsi all’aperto, senza paure, avendo la natura come alleata.

2.2. L’apertura incondizionata all’altro
In un racconto chiarificatore 50, un frate guardiano, di origine nobile, respinse con asprezza tre pericolosi ladri che si erano avvicinati all’eremitaggio a chiedere cibo. Venendo a saperlo, Francesco rimproverò fortemente il guardiano e gli comandò, per santa obbedienza, di andare incontro a quei banditi e chiedere loro il perdono. L’esperienza di gratuità mosse i ladri ad accogliere la grazia della conversione e Francesco li ricevette gioiosamente nell’Ordine.
L’atteggiamento pacifico che Francesco chiede ai suoi frati quando vanno tra gli infedeli non è frutto della paura né del compromesso, bensì manifestazione di un profondo rispetto verso tutti i figli di Dio. In realtà, i frati confesseranno che sono cristiani e saranno disposti a morire per amore. La sottomissione ad ogni creatura, di religione o cultura differente, non può tradursi nel negare la propria fede e neppure nel cercare di imporla con la forza.
Mentre i crociati attaccano, i fratelli “vanno tra”, si espongono personalmente e sopportano con amore a causa della fede le tribolazioni. Giacché si tratta di un’opera di Dio, i frati annunceranno apertamente il vangelo solo quando “vedranno che piace al Signore” (Rnb 16,8).
La forza della loro testimonianza non passava inavvertita. In quell’ambiente bellicoso, risultava provocante, per esempio, che Francesco iniziasse sempre i suoi sermoni col saluto: “Il Signore vi dia pace!”51.
“Ma poiché la gente non aveva ancora udito dalla bocca di alcun religioso un tale saluto, molto se ne stupiva. Altri, seccati, replicavano: «Cosa vuol dire questo vostro saluto?». Talmente che quel frate cominciò a sentirsi imbarazzato, e disse a Francesco: «Concedimi di dire un altro saluto». Rispose Francesco: «Lasciali dire, ché non comprendono le cose di Dio»”52.

2.2.1. Il racconto della perfetta letizia
Nel racconto della perfetta letizia (Flor 8), due frati sono respinti ed umiliati dal loro confratello portinaio, ma essi continuano ad amarlo e scusarlo, in attenzione alle sofferenze di Cristo. Il portinaio ha molti motivi per non accoglierli, secondo le norme dell’ospitalità condizionata, poiché essi arrivano troppo tardi e non possono provare la loro identità. Egli temeva che quella comunità di “istruiti” potesse essere in pericolo se lui ospitava due incolti mendicanti.
Inoltre, il portinaio non esce ad incontrarli faccia a faccia, evitando così la possibilità di provare compassione e di vincere i propri pregiudizi. Ma, perfino se li avesse accolti nel convento, per il fatto di averli riconosciuti, quell’ospitalità sarebbe ancora condizionata, relativa, frutto di un patto. L’altro sta “alla mia altezza”, mi è utile e, pertanto, lo accolgo.
L’ospitalità assoluta, incondizionata, si manifesta qui nell’atteggiamento dei frati appena arrivati. Ambedue sopportano tutto con serenità, perché la loro carità verso il fratello portinaio non dipende da favori né cerca controprestazioni.
Il racconto afferma che questo tipo di disposizione accogliente è superiore a tutto quanto l’essere umano possa ottenere, perché essa nasce dalla fede, si alimenta della speranza e si manifesta nella carità. Il modello è il Verbo incarnato, che ci ama e ci offre la salvezza, malgrado noi “siamo ignobili, miserevoli e contrari al bene”53.

2.2.2. L’incontro con il sultano
L’apertura fraterna, incondizionata, di Francesco verso tutti gli uomini, amici o nemici, si manifesta chiaramente nel suo atteggiamento verso le crociate 54.
Come nel racconto del lupo di Gubbio, Francesco sente compassione verso entrambe le parti, crociati e saraceni, e si mette in mezzo, amichevolmente, rischiando la sua vita per cercare la pace.
img174Umile e disarmato, senza ascoltare quelli che lo deridono, Francesco avanza, con fede e speranza, all’incontro della diversità 55. I crociati non ascoltano i suoi consigli, giacché per loro sono pura sciocchezza; i saraceni lo sferzano 56.
Finalmente, Francesco riesce a presentarsi davanti al Sultano Melek-al-Kamel, senza paura né imposizioni, senza rinunciare alla sua fede né tentare nessun tipo di sincretismo religioso. Anche il Sultano risponde con rispetto e benevolenza, offrendo a Francesco la sua ospitalità e mostrandosi aperto ad un’eventuale scoperta della verità: “Prega per me, perché Dio si degni mostrarmi quale legge e fede gli è più gradita”57.

Conclusione Operare la pace è sinonimo di essere figli di Dio. Essa non può ridursi a fare un’opera buona. Il cammino della famiglia umana verso la pace è parte integrante della storia della salvezza; è quindi compito, dovere morale irrinunciabile. Perciò, la missione della Chiesa è essere operatrice di pace nella storia.
La pace è frutto della giustizia, presuppone ed esige l’instaurazione di un ordine giusto 58. Questo ordine è presente come appello morale nella coscienza di ogni essere umano. Tutti gli uomini sono interiormente chiamati a portare la pace sulla terra. Il cristiano deve dialogare (GS 92) e collaborare con loro (GS 78) per raggiungere questo scopo comune.
La pace si costruisce con l’aiuto positivo, che significa servizio, solidarietà, corresponsabilità verso l’intera famiglia umana. Questo esige di studiare le forme e le cause strutturali dell’oppressione e le vie di aiuto, per poter lottare contro ogni forma di dominio, sfruttamento e oppressione.
Anche in questo, Francesco d’Assisi è il nostro modello. In Cristo incarnato, umile fratello maggiore, egli si scopre fratello di tutte le creature. Sentendosi immerso nella rete di relazioni e di vita che Cristo ha restaurato, Francesco si apre all’alterità, all’incontro affettuoso con l’Altro, con gli altri e con la natura. Più si unisce al Verbo incarnato, più egli trascende sé stesso per abbracciare l’alterità. La consapevolezza di essere una povera creatura lo apre all’amore divino manifestato in Cristo e rafforza la sua unione con tutti gli esseri.

p. Martin Carbajo Nùñez ofm
Teologia Morale Pontificia Università Antonianum

1 “La corsa agli armamenti, alla quale si rivolgono molte nazioni, non è una via sicura per conservare saldamente la pace, né il cosiddetto equilibrio che ne risulta può essere considerato pace vera e stabile”. CONCILIO VATICANO II, «Costituzione pastorale Gaudium et spes», [=GS], 7-12-1965, n. 81.
2 GS 77; GIOVANNI XXIII, “Lettera enciclica Pacem in terris”, [=PT], 11-04-1963, n. 76, in AAS 55 (1963) 257-304. La pace sarà frutto della giustizia, cioè della ricerca sincera del bene comune di tutta la famiglia umana nelle sue dimensioni politiche, economiche, culturali e di comunicazione.
3 «Sacrum commercium», [=SC], n. 63, Fonti Francescane [=FF], EF, Padova et al. 2011, 1959-2028, qui 2022.
4 Per esempio, l’omicidio di Caino, l’inimicizia fra i popoli a Babele; la violenza come causa del diluvio (Gn 7,13)
5 Qo 8,9. Il desiderio di dominio è la radice di tutte le guerre. Oggi, la forte cultura di guerra esalta modelli di forza e violenza, presentando la pace come una scelta debole e sterile.
6 Ger 6,14.
7 Ez 34,25ss; Is 57,19; 66,12; Ger 33,6.
8 Is 32,15-17. “La pace non è la semplice assenza della guerra, né può ridursi unicamente a rendere stabile l’equilibrio delle forze avverse; essa non è effetto di una dispotica dominazione, ma viene con tutta esattezza definita opera della giustizia» (Is 32,7)”. GS 78.
9 Is 5,7; 32,5; Am 5,7; 2,6.
10 Ger 22,3; 8-9; 16-17.
11 Alla fine dei tempi, Jahvé stringerà una nuova alleanza con Israele e instaurerà il regno escatologico di pace, in cui domineranno il diritto e la giustizia (Mic 4,3). Allora “misericordia e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno. La verità germoglierà dalla terra e la giustizia si affaccerà dal cielo”. Sal 85,11- 12.
12 Is 52,7. Cf. Lc 1,79; 2,14. Lo Shalom dell’AT è il compendio di tutti i beni messianici, pienezza di vita e salvezza.
13 Is 9,5; 11,1-9. L’alleanza è berit shalom (Nm 25,12), legata al Messia, che istaurerà e porterà la pace (cf. Is. 9,5; 11,1-11; Mi 5,4; Zc 9,10). Cf. A. RUBERTI, Percorsi per una nuova teologia della pace, in RdT 44 (2003) 371-396.
14 “Ai miseri del suo popolo renderà giustizia, salverà i figli dei poveri e abbatterà l’oppressore”. Sal 72,4; 12.
15 Is 66,18-21; Mic 4,1-6. “Un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra”. Is 2,2-5.
16 In Cristo si adempie il lieto messaggio per i poveri. Lc 4,18-19.
17 Il Nuovo Testamento evita qualsiasi euforia pacifista e romantica riguardante la pace. Infatti, Gesù afferma che “non sono venuto a portare pace, ma una spada” Mt 10,34; Lc 12,51.
18 “La croce e la resurrezione sono il culmine della sua vita e il fondamento di quella pace che il mondo non può dare”. CONFERENZA EPISCOPALE TEDESCA, La giustizia crea la pace, 2,3. “Nella croce di Gesù si rivela tutta la dimensione dell’umana assenza di pace”. A. BONANDI et alt., L’agire morale del cristiano, = Amateca 20, Jaca, Milano 2002 86.
19 Rm 5,1; Fil 1,2; Col 1,20.
20 Is 32; Gv 20; Gal 5,19-22
21 “È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo… affidando a noi la parola della riconciliazione” 2Cor 5,19.
22 Rm 8,18-22; Col 1,12-20. 23Mt 5,9. B. Il Discorso della Montagna richiederebbe la non-violenza. B. HÄRING, La contestazione dei non violenti, Brescia 1969, 26.
24 Mt 5,38-42.
25 “Globalmente si può affermare che il concetto stesso di pace, necessariamente, rimanda ad una sua comprensione in senso escatologico”. O.F. PIAZZA, Escatologia, in Dizionario di Teologia della Pace, a cura di L. Lorenzetti, Edb, Bologna 1997, 430.
26 “Non così dovrà essere fra voi” (Mt 20,27). Il Figlio dell’uomo “non è venuto per essere servito, ma per servire” Mt 20,28.
27 Gv 17, 22-23.
28 Rm 14,17; Mt 5.
29 “Solo nel clima della Pace si attesta il diritto, progredisce la giustizia, respira la libertà. La Pace è un dovere”. PAOLO VI, «Messaggio II Giornata Mondiale della Pace», [GMP], 1969.
30 “La Pace bisogna volerla. La Pace bisogna amarla. La Pace bisogna produrla. Dev’essere un risultato morale”. GMP 1969.
31 “La pace dipende anche da te”. GMP 1974. La pace “non è una ideologia soporifera; è una concezione deontologica”. GMP 1970.
32 “La pace è possibile”. GMP 1974.
33 GMP 1975. “Solo la pace genera la pace”. Ibid.
34 “L’invito a celebrare la pace suona invito a praticare la giustizia”. GMP 1972. “L’umanità tende ad una perfezione, che chiamiamo pace”. GMP 1970.
35 GMP 1973.
36 Cf. PT 3. “La verità sarà fondamento della pace, se ogni individuo con onestà prenderà coscienza, oltre che dei propri diritti, anche dei propri doveri verso gli altri.”. GMP 2003.
37 GMP 2010, 1.
38 “Se il Magistero della Chiesa esprime perplessità dinanzi ad una concezione dell’ambiente ispirata all’ecocentrismo e al biocentrismo, lo fa perché tale concezione elimina la differenza ontologica e assiologica tra la persona umana e gli altri esseri viventi.”. GMP 2010, 13.
39 GMP 2010, 12. il Papa appella all’inviolabilità della vita umana”. Ibid.
40 FRANCESCO, «Omelia. S. Messa ad Assisi», 4- 10-2013, n. 2.
41 “Il Signore mi donò dei frati”. FRANCESCO D’ASSISI, «Testamento», n. 16, in FF 99-104. I frati devono accogliersi l’un l’altro incondizionatamente, soprattutto nei momenti di necessità (ID., «Regola bollata», [=Rb], n. 6,8, in FF 89-98; ID., «Regola non bollata», [=Rnb], n. 9,10, in FF 61- 88) o malattia (Rnb 10,1; Rb 6,9).
42 “Dobbiamo godere […] quando possiamo sostenere qualsiasi angustia o afflizione”. Rnb 17,9. “E quando gli uomini faranno loro ingiuria e non vorranno dare loro l’elemosina, ne ringrazino Iddio”. Rnb 9,7.
43 Il frate deve ubbidire sempre allo Spirito (FRANCESCO D’ASSISI, Lodi delle virtù [=SalVirt] 15-16), al suo ministro (Test 27-28; Rb 10,2-3) ed al proprio fratello, seguendo l’esempio del Verbo incarnato (Rnb 5,13-15).
44 Test 9; FRANCESCO D’ASSISI, «Lettera a un Ministro», n. 5-11, in FF 153-154.
45 Rnb 11,7-12. Non sparlino di quelli che mangiano e vestono bene. Rb 2,17; Rnb 9,12.
46 «I Fioretti di san Francesco», [=Fior], n. 8, in FF 1125-1231. “Se mi dovessero perseguitare voglio ricorrere ad essi. […] poiché in essi io vedo il Figlio di Dio e sono miei signori. Test 8-11. “Dove non saranno ricevuti, fuggano in altra terra a far penitenza”. Test 32.
47 “Homo homini lupus”. Questa affermazione di Plauto (Asinaria atto II) largamente ripetuta, riflette una concezione antropologica pessimista. Tommaso d’Aquino preferiva affermare: “Homo homini naturaliter amicus”. S.Th II-II, q.114, a.1, ad.2.
48 Anche i discepoli di Gesù rimangono addormentati nel Getsemani, lasciandolo solo in quel momento sublime di angoscia. (Mt 26,41).
49 Francesco ha una prospettiva teologica della giustizia. La fede nel Dio creatore e previdente, che si manifesta come servo in Cristo, non può lasciarci indifferenti davanti alle necessità dei nostri fratelli (Rnb 9,10-12). “Ci sarebbe imputato a furto, se non lo dessimo ad uno più bisognoso”. T. DA CELANO, «Memoriale nel desiderio dell’anima [Vita seconda]», [=2Cel], n. 87, in FF 355-510.
50 L’episodio è narrato in Fior 26, ed è anche testimoniato nella Leggenda Perugina (=LP) 115 e nello “Specchio di perfezione”, n. 66, [=EP], in FF 999-1124.
51 Rnb 14,2; Test 23; T. DA CELANO, “Vita del beato Francesco [Vita prima]”, [=1Cel], n. 23, in FF 241-349.
52 EP 26. Quelli che “percepiscono le cose di Dio” incarnano nella propria vita quella pace che proclamano, essendo “miti, pacifici e modesti, mansueti e umili”. Rb 3,10-11.
53 Rnb 22,6.
54 Le otto crociate più famose, realizzate tra il 1095 e il 1279, cercarono di ristabilire il dominio cristiano sui sacri luoghi della Palestina. Nel 1215, il IV Concilio Lateranense convoca la “Expeditio pro recuperanda Terra Sancta” (V) che riuscirà a prendere la città egiziana di Damieta, l’anno 1219.
55 Prima di arrivare a Damietta, in Egitto, Francesco aveva cercato di andare in Dalmazia (1211-1212) ed in Marocco (1213-1214), ma non ci era riuscito. 1Cel 55.
56 Cf. 1Cel 57; 2Cel 30; BONAVENTURA, “Leggenda Maggiore”, [=LM], n. 11,3, in FF 396-510.
57 G. DAVITRI, Historia Occidentalis, in FF 2214-2230. Il Sultano Melek-al-Kamel (1218-1238) lo ascoltava “con gran piacere”. 1Cel 57. Questo incontro avviene nel mese di tregua che ci fu tra la fine del primo assedio a Damieta (20-08-1219) e il successivo riavvio delle ostilità (26-09-1219).
58 PT 167; PP 76.