Vandana Shiva, fisica ed economista indiana, è tra i massimi esperti internazionali di ecologia sociale. Ha vinto premi e riconoscimenti come il Right Livelihood Award (1993) e il City of Sidney Peace Prize (2010). Dirige il Centro per la scienza, tecnologia e politica delle risorse naturali di Dehra Dun in India. Ha scritto numerosi saggi tra cui il più recente (2015) è “Chi nutrirà il mondo? Manifesto per il cibo del terzo millennio”. Nell’articolo riportiamo alcuni degli assunti principali esposti in questo libro.

A cura di Lucia Baldo

Globalizzazione e agricoltura
img53Il cibo, il cui scopo fondamentale è dare nutrimento e salute, oggi costituisce il più grande problema sanitario mondiale per la minaccia incombente rappresentata a livello mondiale da un’agricoltura industriale e globalizzata mossa esclusivamente dal desiderio del profitto che trasforma il cibo da nutrimento in merce a vantaggio di poche, grandi aziende agricole e multinazionali che controllano la maggior parte dei semi, dell’acqua e della terra coltivabile nel mondo, e si stanno espandendo.
Esse affermano che il loro potere economico, usato per influenzare le elezioni, per controllare il mercato delle sementi e per dominare i nostri sistemi alimentari, rientra nella loro “libertà d’espressione”.Nel 2014 lo Stato del Vermont ha approvato, primo negli U.S.A., una legge sull’etichettatura degli Ogm. Per tutta risposta Monsanto e la principale lobby americana del cibo-spazzatura (Gma) hanno dichiarato che ciò “impone(va) gravose limitazioni alla libertà d’espressione”. Monsanto presentava il “diritto” di nascondere informazioni come parte della “libertà d’espressione”.
Il paradigma dominante è quello dell’industria e della meccanizzazione che ha portato alla crisi i sistemi alimentari e agricoli locali. Alla base di questo paradigma sta la legge dello sfruttamento che considera il mondo alla stregua di una macchina e la natura come materia morta, inerte. Secondo questa visione insetti e piante indesiderati sono nemici da sterminare con veleni (pesticidi, erbicidi…) venduti come “prodotti chimici per l’agricoltura”, diffondendo, così, la credenza che senza di essi la terra non potrebbe essere coltivata e la fame non potrebbe essere combattuta, nascondendo che:
1) il 75% del danno ecologico arrecato al pianeta è causato dall’agricoltura industriale;
2) il 40% di tutte le emissioni di gas serra responsabili dei cambiamenti climatici deriva dal sistema agricolo globale fondato sull’uso di combustibili fossili, impiegati per produrre fertilizzanti, per azionare macchinari agricoli e trasportare il cibo a migliaia di chilometri di distanza (uno studio del ministero dell’Ambiente danese ha dimostrato che 1 Kg di cibo trasportato intorno al mondo produce 10 Kg di anidride carbonica);
3) i fertilizzanti chimici azotati sprigionano ossido di azoto che per il clima è tre volte più nocivo dell’anidride carbonica;
4) le coltivazioni industriali hanno un ruolo importante nell’emissione di gas metano anch’esso responsabile del riscaldamento globale;
5) solo l’1% dei pesticidi agisce sul “parassita” specifico. Pertanto l’effetto sugli insetti benefici è devastante;
6) nonostante negli U.S.A. il 90% dei semi di grano sia ricoperto di pesticidi neonicotinoidi della Bayer, che hanno una grave responsabilità nella morte delle api, la produzione e l’uso di pesticidi continua ad aumentare. Ormai se ne trovano tracce nei fiumi, nelle acque di falda, nel latte materno, nel suolo, nel cibo e nell’aria.img63
Contrariamente a quanto si pensa, con l’espandersi dell’agricoltura industriale, il problema della fame si è aggravato: un miliardo di persone soffre la fame in maniera permanente, per effetto della globalizzazione che ha consentito massicce appropriazioni di terreni e lo sradicamento dei coltivatori.
Il paradosso è che la metà delle persone affamate coltivano la terra. Inoltre altri due miliardi di persone sono afflitte da disturbi dell’alimentazione quali l’obesità che non riguarda solo i paesi ricchi, poiché molto spesso sono i paesi più poveri a soffrirne di più, poiché la progressiva macdonaldizzazione diffonde nel mondo il cibo-spazzatura poco costoso, al posto dei nutrienti e sani piatti locali, privilegiando la durezza del prodotto al posto della delicatezza e della qualità. Ad esempio, i pomodori più succosi e gustosi scompaiono per lasciare il posto a pomodori durissimi e insapori, più adatti alla produzione di ketchup.
Nel 1994 PepsiCo ricevette l’autorizzazione all’apertura di sessanta ristoranti in India. Il Senato degli U.S.A. ha appurato che le carni e il pollame trattati distribuiti in questi ristoranti sono una delle cause dei tumori che in America si stanno diffondendo in maniera allarmante.
Nel 1995 l’ONU calcolava che l’agricoltura industriale avesse causato l’estinzione di oltre il 75% dell’agro-biodiversità, poiché promuoveva le monocolture, ossia le coltivazioni di un’unica varietà di piante. Da allora questa percentuale non è certo diminuita, anzi! Nonostante ciò, si sono diffuse false credenze, come il ritenere che senza le monocolture non avremmo più cibo. Al contrario non si considera che:
1) le sostanze chimiche velenose uccidono la biodiversità delle api, delle farfalle e di altri insetti benefici;
2) i fertilizzanti chimici uccidono gli organismi del suolo, distruggono il terreno e la sua fertilità;
3) i fertilizzanti azotati creano zone morte e uccidono la biodiversità acquatica e marina;
4) l’agricoltura chimica industriale, rispetto all’agricoltura ecologica, impiega una quantità d’acqua dieci volte superiore e molto più terreno per produrre un’identica quantità di cibo.

Colture biologiche o no?
Già nel 1978 il professor William Lockeretz confrontava i risultati economici di quattordici fattorie agricole e zootecniche organizzate secondo i principi dell’agricoltura biologica nel Midwest americano con quelli di quattordici aziende agricole dedite alle monocolture. Le aziende oggetto di studio erano abbinate sulla base delle caratteristiche fisiche e del tipo di impresa. Il valore di mercato del raccolto per unità di superficie era inferiore dell’11% nelle fattorie biologiche.
Poiché, però, anche i costi di produzione erano inferiori, perché l’agricoltura biologica non fa ricorso ai veleni delle sostanze chimiche, il ricavo netto per unità di superficie era pressoché identico. Tuttavia, poiché i coltivatori biologici producono una maggiore varietà di raccolti, la produzione delle loro aziende non è altrettanto esposta ai parassiti o agli eventi climatici stagionali. Inoltre i terreni coltivati con metodi biologici assorbono una maggiore quantità di acqua piovana, garantendo una maggiore autonomia in caso di siccità.
La varietà delle coltivazioni nelle fattorie biodinamiche è una difesa contro la caduta dei prezzi di una singola merce e offre una migliore distribuzione stagionale dei ricavi. I coltivatori biologici hanno meno bisogno di ricorrere ai prestiti in quanto il rendimento delle colture non dipende dall’uso di pesticidi e fertilizzanti e i costi sono distribuiti nel corso dell’anno perché si effettuano diversi raccolti.
Il Trattato di “libero scambio” stipulato nel 1994 tra i governi messicano, statunitense e canadese (Nafta), ha comportato la rimozione dei dazi sui prodotti statunitensi importati dal Messico.
Incapaci di competere con i prezzi del mais proveniente dagli U.S.A., i coltivatori messicani si sono visti costretti a chiedere prestiti alle mafie della droga. Incapaci di ripagare i debiti con il ricavato della vendita del granoturco coltivato, i contadini si sono dati alle coltivazioni illegali per conto dei cartelli. Oggi il Messico è il più grande coltivatore di marijuana e il terzo produttore di eroina nel mondo.
In India l’epidemia dei suicidi tra i contadini si concentra nelle regioni in cui l’intensificazione dell’uso di sostanze chimiche ha fatto lievitare i costi di produzione, mentre le monocolture destinate alla commercializzazione devono affrontare una diminuzione dei prezzi e dei ricavi a causa della globalizzazione. Gli alti costi di produzione sono la causa principale dell’indebitamento, perciò si può concludere che le monocolture sono la causa principale dei suicidi. In quindici anni 284.000 coltivatori indiani si sono suicidati a causa dell’insostenibilità dell’agricoltura a elevato impiego di capitali e di sostanze chimiche, fondata sull’uso di semi non rinnovabili.
Tra i coltivatori americani il suicidio è la prima causa di morte non naturale. Essi sono tre volte più a rischio di suicidio rispetto alla media dei connazionali.

La nuova rivoluzione agricola: gli orti domestici e urbani
Nonostante tutti i sussidi versati ai grandi coltivatori e tutte le politiche per promuovere l’agricoltura industriale, oggi il 70% del cibo al mondo, secondo la FAO, proviene dalle piccole fattorie. Se a queste aggiungiamo gli orti domestici e urbani, appare chiaro che gran parte del cibo consumato dalle persone viene prodotto in scala ridotta. Agricoltura e orticoltura sono le nuove rivoluzioni. Piccoli coltivatori e possessori di orti, madri e figli possono cooperare con la natura nella creazione e produzione di nutrimento. Chiunque può coltivare cibo: nelle città, nelle scuole, sui balconi e sui muri.
Invece ciò che cresce nelle grandi aziende non è cibo, bensì merce. Per esempio solo il 10% del granturco e della soia che dilagano nel mondo viene consumato come cibo. Il restante 90% serve per il biocarburante o è usato come mangime nelle grandi aziende biotecniche. Su meno del 30% della terra coltivabile del pianeta, i piccoli coltivatori producono il 70% del cibo consumato nel mondo.
L’agribusiness, invece, usa il 70% della terra coltivabile del pianeta, per produrre solo il 30% del cibo. Inoltre i coltivatori locali non si limitano a produrre cibo come nutrimento anziché come merce, ma sono anche custodi dei semi e del suolo, dediti alla conservazione dell’acqua e dei terreni, alla difesa e alla rigenerazione delle diversità culturali e biologiche.
Dice il poeta Rumi:
in questa terra in questo campo immacolato
non pianteremo alcun seme
se non per compassione
se non per amore.